Svolgimento del processo

1. G.A.M. conveniva dinanzi al Pretore di Latina D. L.B. e chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma di L. 20.714.835 a titolo di differenze retributive, T.F.R., nonchè di sei mensilità di stipendio a titolo di risarcimento per licenziamento ingiustificato. Il Pretore dichiarava l’attrice decaduta dal diritto di impugnare il licenziamento e improcedibile il ricorso. L’attrice proponeva appello, insistendo nelle proprie domande. La Corte di Appello di Roma accoglieva parzialmente l’impugnazione, condannando il D.L. al pagamento del solo T.F.R.; confermava nel resto la sentenza appellata, così motivando: – la domanda inerente alle differenze retributive consiste nell’esposizione di “dati numerici criptici” ed è di incomprensibile significato; manca inoltre la produzione del C.C.N.L. del settore; – il mancato assolvimento dell’onere di specificare i motivi della domanda e di produrre il C.C.N.L. implica la reiezione del relativo capo della domanda; – è fondata la sola rivendicazione relativa al T.F.R.; – l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento è precluso dalla decadenza, onde non è possibile accogliere la domanda relativa al risarcimento del danno da presunto licenziamento illegittimo.

2. Ha proposto ricorso per Cassazione G.A.M., deducendo quattro motivi. La controparte non si è costituita.

Motivi della decisione

3. Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 604 del 1966, artt. 2, 3, 6, 8, della L. n. 300 del 1970, art. 18, e artt. 1453 e 1455 c.c. e della sentenza n. 44/1996 della Corte Costituzionale: la Corte di Appello non ha tenuto conto che, ai fini della presente causa, è irrilevante la decadenza dalla facoltà di impugnare il licenziamento, perchè è stata esperita la normale azione risarcitoria.

4. Il motivo è infondato. “La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro, bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento a sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18. Ne consegue che, nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata la decadenza dall’impugnazione, è concesso al lavoratore di esperire la normale azione risarcitoria in base ai principi generali che governano questa azione, sempre che ne ricorrano (e siano dal lavoratore allegati) i relativi presupposti” (Cass. 2.3.1999 n. 1757). Dall’esame della motivazione della citata sentenza, si ricava che nella specie un lavoratore aveva azionato, nonostante la intervenuta decadenza, l’azione di reintegra ed aveva chiesto il risarcimento del danno. La sentenza sfavorevole al lavoratore è stata confermata, con la statuizione che non era possibile nè la reintegra nè il risarcimento del danno.

5. Nella specie, risulta che col ricorso in primo grado l’attrice ha azionato le differenze retributive di cui sopra, oltre a chiedere sei mensilità di retribuzione data l’illegittimità del licenziamento.

Essa pertanto non ha esperito, come apprezzato dai giudici di merito, la normale azione risarcitoria in base ai principi generali, ma per l’appunto una azione la quale, previo accertamento dell’illegittimità del recesso, doveva mettere capo, in difetto dei presupposti per la tutela reale, al risarcimento del danno nella misura di sei mensilità della retribuzione. L’accoglimento della domanda presuppone l’accertamento della mancanza di giusta causa o di giustificato motivo del recesso; ma tale accertamento è precluso dalla decadenza dall’impugnazione. La L. n. 604 del 1966, art. 8 prevede il risarcimento del danno da licenziamento ingiustificato nella misura massima di sei mensilità di retribuzione; l’art. 6 della citata L. n. 604 del 1966 prevede che il licenziamento debba essere impugnato entro sessanta giorni dalla sua comunicazione, a pena di decadenza. Dal combinato disposto delle due norme si ricava che, ove si verifichi decadenza, non è possibile impugnare il licenziamento, e quindi ottenere l’accertamento della sua illegittimità, il quale costituisce a sua volta il presupposto per il risarcimento del danno.

6. La “normale azione risarcitoria” da fatto illecito, secondo i principi generali, richiede anzitutto l’indicazione e l’allegazione del fatto ingiusto il quale si sia accompagnato al licenziamento: a titolo di esempio, può citarsi il licenziamento ingiurioso, il licenziamento come atto finale di un “mobbing”, il licenziamento pubblicizzato al di fuori dell’azienda con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore. In altri termini, al licenziamento intrinsecamente ingiustificato deve accompagnarsi un “fatto ingiusto” secondo i principi generali, che nella specie non è allegato.

7. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 112, 133, 416 e 421 c.p.c.: la Corte di Appello, in virtù del principio di ricerca della verità, avrebbe dovuto acquisire di ufficio il C.C.N.L. del settore, la cui applicabilità era pacifica.

8. Il motivo è infondato. Il potere-dovere del giudice del lavoro di disporre prove di ufficio non vale a colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa la parte. Nella specie, il giudice di primo grado ha ritenuto incomprensibile la rivendicazione di differenze retributive, affermate apoditticamente nel ricorso e non assistite da alcuna motivazione e allegazione. E’ stata inoltre rilevata la mancata produzione del C.C.N.L.. Il giudice di appello ha dato atto della produzione di un conteggio sindacale in secondo grado, ma ha ritenuto ugualmente di non poter procedere ad alcuna verifica stante la mancata produzione del contratto. Trattasi di onere che incombe alla parte attrice, onde il mancato esercizio della potestà di acquisizione non è censurabile in Cassazione. Si rileva inoltre che parte ricorrente non indica in quale atto del processo di merito abbia chiesto, sia pure tardivamente, l’acquisizione del ripetuto C.C.N.L..

9. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: la Corte di Appello nulla ha detto circa la necessità di ammettere una consulenza tecnica di ufficio a carattere contabile.

10. Il motivo è infondato. La ricorrente non indica in quale atto del processo ha chiesto la consulenza tecnica di ufficio. Ove si intenda che la Corte di Appello avrebbe dovuto disporla autonomamente, valgono le considerazioni di cui al motivo che precede.

11. Col quarto motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 91, 92 e 336 c.p.c., sotto il profilo della compensazione delle spese di appello e non anche di quelle di primo grado.

12. Il motivo è infondato. La condanna alle spese rappresenta una facoltà discrezionale del giudice di merito. Nella specie, il giudice di primo grado ha posto le spese a carico della G. in applicazione del principio della soccombenza. Il giudice di appello ha compensato le spese limitatamente al secondo grado: tale statuizione non è soggetta a censura, essendosi risolta in un temperamento del criterio della soccombenza a favore dell’attrice.

13. Il ricorso, per i suesposti motivi, deve essere rigettato. Non essendosi la controparte costituita, non vi è luogo a pronunciare sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso; nulla per le spese del processo di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2006