Svolgimento del processo

Sulla domanda proposta dal Dott. Andrea Buquicchio contro l’Azienda ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino, per l’accertamento di dequalificazione e lesione della professionalità, e per la condanna alla reintegrazione nell’esercizio delle mansioni proprie della qualifica di dirigente medico di chirurgia plastica di primo livello “fuori dell’istituto di chirurgia plastica diretto dal prof. Bocchiotti”, nonchè al risarcimento del danno, il Tribunale di Torino, con sentenza in data 28.3.2002 ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per la parte delle pretese concernente il periodo di lavoro fino al 30 giugno 1998, mentre ha rigettato le pretese inerenti al periodo successivo alla predetta data.

Sull’impugnazione del Buquicchio, la Corte di appello di Torino ha dichiarato sussistere la giurisdizione ordinaria per tutte le pretese avanzate con il ricorso introduttivo, rimettendo la causa al primo giudice.

Hanno ritenuto i giudici dell’appello che il dipendente avesse denunciato l’inadempimento dell’azienda all’obbligo di conferimento di mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita, in una con comportamenti asseriti “mobizzanti”, inadempimento che, iniziato in epoca anteriore al 30 giugno 1998, si era protratto nel periodo successivo, concretando un unico illecito di carattere permanente;

che, di conseguenza, non potendosi frazionare i singoli episodi, la declaratoria della giurisdizione ordinaria concerneva l’intera controversia, travolgendo la decisione di merito resa in relazione al periodo del rapporto di lavoro successivo alla data del 30 giugno 1998.

La cassazione della sentenza è domandata dall’Azienda ospedaliere S. Giovanni Battista di Torino con ricorso per tre motivi, al quale resiste con controricorso Andrea Buquicchio.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione delle regole sulla giurisdizione perchè, nella stessa prospettazione del Buquicchio, risultavano nettamente distinti due periodi: l’uno, compreso tra il 1993/1994 ed il mese di aprile del 1997, era caratterizzato dalla prestazione professionale con inserimento (per effetto di comando) nell’Istituto di chirurgia plastica dell’Università di Torino, periodo durante il quale i comportamenti di demansionamento e di emarginazione venivano imputati al direttore dell’Istituto (prof. Bocchiotti); l’altro, dall’aprile del 1997, in relazione al quale gli asseriti comportamenti illeciti erano imputati direttamente all’Azienda datrice di lavoro.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1362 ss. cod. civ., 99 e 112 cod. proc. civ., 24 Cost. nonchè vizi della motivazione, per avere la Corte di Torino ritenuto che fosse stata proposta dal Buquicchio una domanda unica di risarcimento del danno, articolata in parte come domanda di reintegrazione in forma specifica e in parte come domanda di risarcimento per equivalente. Al contrario, erano state proposte due domande autonome: una rivolta ad ottenere rassegnazione di mansioni corrispondenti alla qualifica e, dunque, di adempimento del contratto: l’altra di risarcimento del danno derivato dall’inadempimento consistito nella dequalificazione e nella situazione di emarginazione professionale.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 353 cod. proc. civ. perchè, a causa dell’errore consistito nell’aver ritenuto che fosse stata proposta un’unica domanda, la Corte di Torino aveva rimesso l’intera causa al primo giudice, anzichè limitare la rimessione alle domande per le quali la giurisdizione era stata declinata, secondo la previsione dell’art. 104 cod. proc. civ. Il Tribunale, infatti, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione unicamente per la domanda risarcitoria relativa al periodo di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, mentre aveva rigettato sia la domanda di assegnazione alle mansioni proprie della qualifica, sia la domanda di risarcimento del danno per i fatti accaduti dopo la predetta data.

4. I tre motivi di ricorso devono essere esaminati unitariamente perchè rivolti ad ottenere la cassazione dell’unica statuizione della sentenza impugnata, affermativa della giurisdizione ordinaria sulla controversia, con rimessione di tutta la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 353, comma primo, cod. proc. civ. Vanno considerati, di conseguenza, tutti attinenti alla questione di giurisdizione.

La Corte, a sezioni unite, li giudica privi di fondamento.

5. Va premesso che la deduzione, come motivo di ricorso per Cassazione, di una questione riguardante la giurisdizione, non può farsi se non sotto il profilo delle norme che regolano tale presupposto del processo, e non anche in relazione a vizi di motivazione sui punti di fatto dai quali esso dipende, giacchè in materia di giurisdizione la Corte di Cassazione è giudice del fatto e, come tale, può conoscere ed interpretare direttamente tutti gli atti del processo utili ad accertare l’esistenza del vizio denunciato (vedi, tra le numerose decisioni, Cass. s.u. 10 gennaio 2003, n. 261;

10 luglio 2003, n. 10840).

6. La decisione sulla giurisdizione dipende sulla specie dall’interpretazione e applicazione della norma transitoria contenuta nell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, che recita: Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.

Questa norma, scrutinata nei profili di conformità alla Costituzione (art. 76, nonchè 3, 24, 97 e 113 Cost.), è stata ritenuta da numerose decisioni delle Sezioni unite esente da sospetti di illegittimità, con declaratoria di manifesta infondatezza delle relative questioni (da ultimo, Cass. s.u. 2 luglio 2004, n. 12137; 29 gennaio 2004, n. 1240; 6 febbraio 2003, n. 1809).

7. Con orientamento consolidato, le Sezioni unite precisano il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa con riferimento non ad un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, bensì al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base della pretesa avanzata (tra le pronunce più recenti, si menzionano le sentenze 2 luglio 2004, n. 12137, e 29 aprile 2004, n. 8213).

8. All’affermazione della persistenza della giurisdizione amministrativa, nei limiti temporali suindicati, non è d’ostacolo la circostanza che l’esaminata norma di diritto transitorio ponga una sanzione di decadenza con riguardo alle controversie conservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma non introdotte prima della data del 15 settembre 2000. Infatti, per effetto di consolidata giurisprudenza di queste Sezioni unite, è diritto vivente quello che ritiene essere stata fissata la data ora indicata, non quale limite alla persistenza (relativamente alle questioni caratterizzate dagli esposti requisiti temporali) della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni questione sul punto ai limiti interni della giurisdizione, senza che rilevi la diversa formula usata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 (…”qualora siano state proposte”…), rispetto a quella già presente nell’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998 (…”e debbono essere proposte”…), trattandosi di una differenza semantica giustificata non da una nuova ratio della disciplina sopravvenuta, bensì soltanto dall’essere stata superata, al momento dell’emanazione del provvedimento normativo più recente, la data presa in considerazione originariamente (vedi, tra le numerose decisioni: 2 luglio 2004, n. 1237, cit.; 12 marzo 2004, n. 5184; 3 febbraio 2004, n. 1904; 20 novembre 2003, n. 17633).

9. Ciò premesso, nel caso di specie, la questione di giurisdizione deve, pertanto, trovare soluzione sulla base della collocazione temporale dell’inadempimento imputato dal Buquicchio all’Azienda ospedaliera e posto a base delle pretese avanzate.

Contrariamente all’assunto della parte ricorrente, tutte le pretese avanzate dal Buquicchio (petitum formale) assumevano a presupposto (causa petendi) un comportamento di inadempimento del soggetto datore di lavoro agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, consistito sia nell’assegnazione di compiti non coerenti con il livello professionale, sia nel porre in essere, o consentire che altri li realizzasse, stati di emarginazione nel lavoro riconducibili al c.d. mobbing. L’inadempimento, pur descritto con riferimento atte diverse manifestazioni che aveva assunto nei diversi periodi, è stato prospettato dal Buquicchio come iniziato ben prima del 30 giugno 1998 e continuato oltre tale data, cosicchè è stato chiesto non solo il risarcimento il danno, ma anche la cessazione (con la domanda di adempimento in forma specifica) del comportamento stesso.

10. E, dunque, la prospettazione di un illecito permanente, impone di fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso, coincidente con il tempo di cessazione della permanenza, cosicchè la questione controversa risulta attinente a periodo successivo al 30 giugno 1998 (Cass. s.u. 27 gennaio 2005, n. 1622;. 4 marzo 2004, n. 4430; 18 ottobre 2002, n. 14835; 7 novembre 2000, n. 1154; 14 febbraio 2000, n. 41).

Erroneamente, dunque, la parte ricorrente insiste sulla diversità dei periodi e sulla pluralità delle domande proposte, siccome sarebbe stato rilevante, ai fini della giurisdizione, unicamente la cessazione della permanenza al fine di consentite l’identificazione di inadempimenti distinti. In particolare, quanto al primo profilo, vengono dedotte dalla ricorrente circostanze attinenti al merito della pretesa e prive di rilievo ai fini della decisione sulla giurisdizione (asserita non imputabilità dell’inadempimento all’Azienda datrice di lavoro, a causa dell’inserimento del Buquicchio nell’organizzazione universitaria); quanto al secondo, come già in sostanza prima osservato, non rileva che la pretesa di restituzione ai compiti confacenti alla qualifica e di cessazione delle situazioni di emarginazione fosse di adempimento, e perciò distinta da quella risarcitoria, siccome ciò non incideva minimamente sulla considerazione unitaria dell’inadempimento, quale dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base delle pretese avanzate.

11. Correttamente, infine, la Corte di Torino ha ritenuto travolta, dall’affermazione dell’appartenenza della controversia alla giurisdizione ordinaria perchè interamente inerente a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro posteriore alla data del 30 giugno 1998, anche la decisione di merito relativa al periodo successivo, dovendosi considerare caducata la detta decisione con il venir meno del presupposto del difetto di giurisdizione che ne costituiva il fondamento.

12. Per queste ragioni il ricorso va respinto e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia.

La parte ricorrente è condannata al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di Cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in E. 100,00 (cento/00) e degli onorali in E. 1.500,00 (millecinquecento/00).
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 24 febbraio 2005.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2005