Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., al Giudice del Lavoro del Tribunale di Genova Paolo Cornaglia Ferraris – dipendente dell’Istituto Giannina Gaslini con la qualifica di “dirigente medico di 1^ livello” – conveniva in giudizio (dopo avere esperito procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. conclusosi sfavorevolmente per il ricorrente in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.) l’Istituto datore di lavoro esponendo:-) di avere svolto attivita’ di medico-chirurgo per circa venti anni alle dipendenze di detto Istituto;-) di avere vinto nel 1994 il concorso per responsabile del modulo di oncologo, ma l’Istituto deliberatamente non lo aveva posto nella condizione di svolgere attivita’ di ricerca oncologica;-) di essere stato estromesso dall’ottobre 1998 al marzo 1999 dall’attivita’ di ricerca e clinica e, da tale epoca, di non aver potuto esercitare la sua attivita’ all’interno dell’ospedale per diversi comportamenti di mobbing perpetrati nei suoi confronti dall’Istituto; -) di avere ricevuto in data 17 marzo 2000, da parte del responsabile dell’Ufficio Operativo Gestione del Personale, lettera di contestazione dei seguenti addebiti tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario: 1) avere rilasciato in data 2 marzo 2000 un’intervista ad un settimanale ove aveva manifestato “apprezzamenti diffamatori e lesivi della dignita’ e dell’immagine dell’Istituto, nonche’ del direttore generale e dei medici che vi lavorano”, 2) avere dichiarato, con lettera in data 9 marzo 2000 all'”Ufficio Rilevazioni presenze e assenze”, che non era obbligato a fornire alcuna giustificazione in merito all’omessa effettuazione della timbratura del cartellino;-) di avere impugnato la fondatezza dei cennati addebiti sotto il profilo formale e sostanziale;-) di essere stato licenziato in tronco con delibera del 17 aprile 2000 del “commissario ad acta” dell’Istituto. Il ricorrente richiedeva, quindi, all’adito Giudice del lavoro di voler dichiarare la nullita’ o l’illegittimita’ del licenziamento, con conseguente reintegra nel proprio posto di lavoro; in via subordinata, qualora fosse stato ritenuto validamente interrotto il rapporto di lavoro, di voler dichiarare l’illegittimita’ del recesso e condannare l’istituto convenuto al pagamento delle indennita’ risarcitone.
Si costituiva in giudizio l'”Istituto Giannina Gaslini” che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.
Il Giudice del lavoro – dopo che all’udienza di discussione il difensore del ricorrente aveva dichiarato di rinunziare alla domanda di reintegra – rigettava il ricorso del Cornaglia Ferraris e la Corte di Appello di Genova – su impugnativa del soccombente e ricostituitosi il contraddittorio – respingeva l’appello confermando cosi’ la sentenza di primo grado.
Per quello che rileva in questa sede la Corte territoriale ha rimarcato che: a) in relazione all’eccepita mancata costituzione dell'”ufficio competente per i procedimenti disciplinari” ex art. 59, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993, “nella fattispecie in esame detto ufficio, sia al momento della contestazione dell’addebito al Cornaglia, sia al momento della sua audizione, non era regolarmente costituito … tuttavia nell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 non e’ dettata alcuna disciplina relativa alla composizione dell’ufficio con la conseguenza che, al momento, il potere di esercizio e di gestione del rapporto disciplinare non poteva che spettare a colui che, essendo stato formalmente incaricato della gestione del procedimento disciplinare stesso, rappresentava detto ufficio”; b/1) sulla valutazione della giusta causa del licenziamento disciplinare, “una delle due contestazioni concerneva la lettera 9 marzo 2000 a firma del Cornaglia, che con riferimento a diverse richieste di giustificare le omissioni di timbratura del cartellino cosi’ testualmente rispondeva: ‘in ragione del contenzioso in essere, non intendo giustificare la timbratura’”; b/2) “anche a voler intendere, che l’inciso ‘in ragione del contenzioso in essere’ fosse riferibile alle asserite condotte di mobbing rivolte al ricorrente da parte dell’azienda, nondimeno deve osservarsi che la reazione del dipendente non poteva certo risolversi in rifiuto di sottoporsi al potere gerarchico datoriale, quale e’ invece la condotta estrinsecata dal dipendente”; b/3) “infatti, non vi puo’ essere alcun nesso tra l’eventuale inadempimento del Gaslini – relativo all’asserito isolamento del Cornaglia all’interno della struttura aziendale ed all’asserita sua impossibilita’ di dedicarsi a proficua attivita’ di lavoro, per non aver posto in essere dolosamente quelle condizioni di fatto che glielo consentissero – e l’inadempimento del Cornaglia, che con la suddetta missiva ha voluto escludere una qualsiasi ingerenza relativa alla sua presenza sul posto di lavoro ed un qualsiasi controllo da parte dell’ufficio competente per la rilevazione”; c) in ordine all’eccepita nullita’ del licenziamento in quanto discriminatorio, la rinunzia del Cornaglia Ferraris alla domanda di reintegra rende del tutto ultroneo l’esame della questione attinente l’asserito licenziamento discriminatorio, perche’ l’eventuale pronuncia favorevole al Cornaglia dichiarativa della nullita’ del licenziamento avrebbe il solo effetto di ordinarne la reintegra nel posto di lavoro, ex art. 18 della L. n. 300 del 1970, non costituente oggetto di un petitum, il che non e’ consentito non esistendo un interesse pubblico ad accertare la verita’ di fatti sui quali non vi e’ richiesta giuridicamente azionabile”.
Per la cassazione di tale sentenza Paolo Cornaglia Ferraris propone ricorso assistito da dodici motivi.
L'”Istituto Giannina Gaslini” resiste con “controricorso a valere, occorrendo, come ricorso incidentale”: ricorso incidentale assistito da un unico complesso motivo e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1^ -. Deve essere disposta la riunione dei due ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
2^ -. Con i primi cinque motivi del ricorso “principale” il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 55, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 e vizi di motivazione nella sentenza impugnata addebitando alla Corte di Appello di Genova: 1) di non avere considerato che la procedura sancita da detta norma era inderogabile e che il vizio della cennata procedura comportava l’annullamento della stessa ed il venir meno degli effetti del recesso (primo motivo); 2) di non avere rilevato che ‘l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” nei confronti dei dirigenti non era stato individuato e, quindi, la sanzione del recesso irrogata al Cornaglia Ferraris-dirigente medico era radicalmente nulla (secondo motivo); 3) di non avere considerato in motivazione che effettivamente non era stato costituito “l’ufficio competente per i procedimenti” nei confronti di dirigenti dopo avere ammesso nella descrizione dei “fatti di causa” la sussistenza di tale circostanza (terzo motivo); 4) di avere trascurato il disposto normativo “che stabilisce l’identita’-unicita’ dell’ufficio durante tutta la fase della procedura e, inoltre, esclude che l’ufficio disciplinare possa essere “il capo della struttura”, cioe’ il vertice aziendale” (quarto motivo); 5) di aver erroneamente sostenuto che nel complesso normativo applicabile al caso di specie non si rinvenga alcuna disposizione che sanzioni la violazione di una norma inderogabile di legge quale l’art. 59, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 (e successive modifiche) con la nullita’ e gli artt. 1418 e 1324 c.c. che hanno previsto la sanzionabilita’ degli effetti giuridici discendenti da atti realizzati in contrasto con norme inderogabili con la nullita’ e/o inefficacia degli stessi” (quinto motivo).
Con il sesto motivo del ricorso “principale” il ricorrente -denunciando “violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 2106, 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970, nonche’ vizi di motivazione” – censura la sentenza impugnata per non avere la Corte territoriale considerato che “l’Istituto aveva privato il Cornaglia Ferrarsi del suo potere di difesa, laddove, in sede di audizione, non avendo avuto in precedenza percezione della contestazione e neanche della gravita’ della stessa, non era stato in grado di poter esplicare le difese adeguate”.
Con il settimo, ottavo, nono, decimo ed undicesimo motivo il ricorrente “principale” denuncia la sentenza riguardo al “punto” in cui e’ stata ritenuta sussistente la giusta causa del licenziamento impugnato, addebitando alla Corte di Appello di Genova: 1) di non avere affatto considerato lo stato fisiologico di esso ricorrente al momento della redazione della lettera del 9 marzo 2000 (settimo motivo); 2) di avere violato il principio di proporzionalita’ tra la sanzione irrogata e l’asserita infrazione che, comunque, non avrebbe potuto integrare gli estremi della gravita’ ex artt. 2104, 2106 e 2119 c.c. (ottavo motivo); 3) di non avere considerato che esso ricorrente, con la dichiarazione di non voler piu’ giustificare le omesse timbrature, al piu’ avrebbe esercitato un suo diritto di sospensione di una obbligazione contrattuale ex art. 1460 c.c. (nono motivo); 4) di non avere considerato, quale “ulteriore ed autonomo vizio di errata interpretazione del cennato art. 1460 c.c., che, a fronte di una inattivita’ forzosa a cui era stato costretto esso ricorrente, ben poteva questi omettere di dare indicazioni circa le timbrature del cartellino, non senza rilevare che tale diritto (eccezione di inadempimento) era stato chiaramente azionato nella missiva stessa” (decimo motivo); 5) di “avere illogicamente ritenuto che vi fossero delle azioni tipiche di tipo diverso da esercitare in caso di demansionamento cosi’ grave da sfociare nell’inattivita’” (undicesimo motivo).
Con il dodicesimo, ed ultimo, motivo il Comaglia Ferraris -denunciando “violazione dell’art. 3 della L. n. 108 del 1990, dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970, degli artt. 1418, 1324 e 2119 c.c., art. 30 del c.c.n.l. 30 dicembre 1996 e dell’art. 112 c.p.c., nonche’ vizi di motivazione” – rileva che la Corte territoriale “ha commesso un error in procedendo nell’avere omesso di pronunciarsi sui fatti tutti commessi affermati (e dedotti) circa la discriminatorieta’ del licenziamento in tronco inflittogli” ed evidenzia che “la rinunzia azionata da esso ricorrente altro non era che l’esercizio dell’opzione concessa dalla legge al lavoratore, che consente allo stesso di maturare nei confronti del datore l’indennita’ sostitutiva prevista dall’art. 18 della L. n. 300 del 1970 pari a quindici mensilita’, sicche’ di per se’ il ricorrente stesso avrebbe avuto comunque diritto a che fosse accertato e dichiarato dal giudicante che il licenziamento era discriminatorio (come instato) ed avrebbe avuto diritto a percepire le quindici mensilita’ richieste e previste dalla legge”.
Con l’unico complesso motivo del ricorso “incidentale” l’Istituto Giannina Gaslini – denunciando “violazione degli artt. 2, 21, 45 e 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, dell’art. 7 delle L. n. 300 del 1970 e dell’art. 36 del c.c.n.l.” – assume che “la questione della procedura di recesso non e’ stata affrontata correttamente, anche se la decisione cui e’ pervenuta la Corte di Appello e’ sul piano sostanziale del tutto conforme a diritto” rilevando a tal uopo che “il D.Lgs. n. 29 del 1993 e’ una norma residuale, il cui ambito di applicazione e’ limitato alla materia in cui vi e’ un vuoto di disciplina nella contrattazione collettiva, per cui la materia del contendere e’ regolata dal contratto collettivo applicabile nella specie”. Il ricorrente in via incidentale propone, inoltre, una cd. “istanza subordinata” con cui, “nella denegata ipotesi in cui la Suprema Corte (riformando la sentenza della Corte di Appello in accoglimento anche parziale dei motivi di ricorso avversari) non ritenesse giusta causa di licenziamento la condotta gravemente insubordinata tenuta dal Cornaglia, le condotte diffamatorie contestate dall’Istituto (documentalmente provate e mai smentite dal Comaglia poste a fondamento del licenziamento) dovranno costituire nell’eventuale giudizio di rinvio oggetto di valutazione, in quanto automaticamente legittimanti il licenziamento stesso”.
3^ -. I primi cinque motivi del ricorso “principale” debbono essere esaminati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi e in tale disamina e’ da ricomprendere pure l’esame dell’unico motivo del ricorso “incidentale” concernente anch’esso – con deduzioni e conclusione specularmene contrapposte a quelle contenute nel ricorso “principale” – la valutazione della medesima questione attinente alla regolarita’ del procedimento disciplinare instaurato dall’Istituto Gaslini nei confronti del dirigente sanitario Cornaglia Ferraris.
Benvero, al fine di un corretto approccio della questione specie con riferimento all’individuazione dell’ufficio dell’ente competente a irrogare il licenziamento per giusta causa, occorre anzitutto verificare il contenuto della normativa applicabile nella specie attribuendo alla stessa “il significato fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla valutazione del legislatore” in relazione, altresi’, al processo storico-evolutivo della cennata normativa.
Al riguardo, la norma da applicare nel presente giudizio – la cui errata interpretazione e’ stata censurata dal ricorrente sotto diversi profili – e’ costituita dall’art. 59, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 rimasto inalterato a seguito delle modifiche di cui al D.Lgs. n. 546 del 1993 (sub art. 27 del D.Lgs. n. 546 del 1993), al D.L. n. 361 del 1995 (sub art. 2 del D.Lgs. n. 29 del 1993), al D.Lgs. n. 80 del 1998 (sub art. 27 D.Lgs. n. 546 del 1993 e art. 45 del D.Lgs. n. 29 del 1993) e, da ultimo, al D.Lgs. n. 165 del 2001 (sub art. 55 del D.Lgs. n. 165 del 2001) che statuisce che “ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente”.
E’ da rilevare, altresi’, che il precedente comma 3 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, citato (come sostituito dall’art. 27 del D.Lgs. n. 80 del 1998) dispone che “salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1, del D.Lgs. 29 del 1993 e art. 58, comma 1, del D.Lgs. n. 29 del 1993 (art. 21 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e art. 53, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 secondo l’art. 55 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all’art. 58 bis del D.Lgs. n. 29 del 1993 (art. 54 del D.Lgs. n. 165 del 2001 sempre secondo l’art. 55 del D.Lgs. n. 165 del 2001, citato), la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni e’ definita dai contratti collettivi”.
Tale norma (definita) di “riforma” rispetto alla regolamentazione ex artt. 100 e 123 del D.P.R. n. 3 del 1957 – fondamentalmente caratteristica della cd. “privatizzazione” del procedimento disciplinare nell’ambito dell'”impiego pubblico privatizzato” proprio in relazione alla materia disciplinare questa Corte ha statuito che “la sanzione disciplinare e’ irrogata mediante negozio giuridico, con il quale viene esercitato il diritto potestativo di incidere sulla sfera giuridica del dipendente, diritto conferito all’amministrazione dalle regole del rapporto come determinate dalla legge e dal contratto” (Cass. n. 3373/1999) – sostituisce alla “vecchia” “commissione di disciplina” “l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” (in acronimo: ‘u.c.p.d.’) e, con essa, il legislatore ha inteso superare il macchinoso e farraginoso procedimento disciplinare gia’ vigente nel pubblico impiego connotato da una serie di passaggi di competenze tra strutture burocratiche diverse e, pragmaticamente, ha fatto venir meno la precedente impalcatura formale della “vecchia” regolamentazione densa di termini, fasi e sottofasi con la previsione di una disposizione “di chiusura” a garanzia del dipendente incolpato costituita dalla perenzione del procedimento disciplinare quando fossero trascorsi novanta giorni dall’ultimo atto del procedimento senza che alcun ulteriore atto venisse compiuto (art. 120 del D.P.R. n. 3 del 1957) -disposizione che, a parere della dottrina, si e’ dimostrata aggiratale dalla pubblica amministrazione nonostante la cennata finalita’ di protezione del dipendente -.
La “nuova” regolamentazione del procedimento disciplinare -improntata alla necessita’ di semplificare (“rendere leggero”) il procedimento disciplinare – si fonda essenzialmente sull’u.c.p.d., in cui si concentrano – salvo le residue attribuzioni devolute al capo della struttura ex ult. alinea del comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 – tutte le attribuzioni in materia disciplinare (incisivamente si e’ accennato di “sua monofunzionalita’ rispetto al resto dell’apparato amministrativo”) conservandosi sostanzialmente la peculiarita’ del “pubblico impiego”tradizionale (cd. terzieta’ della “commissione di disciplina” su cui, da ultimo, Cass. n. 12684/2000) – che si era fatta preferire per una maggiore garanzia di imparzialita’ rispetto al settore del “lavoro privato” che cumulava nel datore di lavoro le funzioni di “accusatore”, “istruttore” e “giudice sanzionante la pena privata” – in quanto anche se per l’u.c.p.d. non e’ possibile piu’ parlare di posizione di “terzieta’”, sicuramente la “specializzazione” di tale organo e in special modo il suo distacco rispetto al capo della struttura del dipendente incolpato (cioe’, a chi e’ – sia pure “in posizione attiva” – implicato direttamente nella vicenda disciplinare) tendono significativamente all'”imparzialita’” del momento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato.
Dall’interpretazione del quarto comma dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 si evince, quindi, che:
a) l’u.c.p.d. costituisce l’organo competente a irrogare le sanzioni disciplinari (ad eccezione del “rimprovero verbale” e della “censura”) e deve essere individuato dall’ente in modo istituzionale (scilicet, a prescindere e, comunque, anteriormente rispetto ad uno specifico procedimento disciplinare).
b) Tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall’u.c.p.d. (che – testualmente e a conferma dell’esclusivita’ di tale competenza – “contesta l’addebito”, “istruisce il procedimento disciplinare” e “applica la sanzione”), mentre il capo della struttura in cui il dipendente lavora si limita a “segnalare” l’asserito addebito del dipendente all’u.c.p.d. (che potra’, poi, anche ritenere, in propria competenza, di non iniziare il procedimento disciplinare con la notifica della contestazione come e’ confermato dalla distinzione ex lege della “segnalazione” – atto interno non avente rilievo disciplinare vero e proprio – rispetto alla “contestazione” costituente, invece, primo atto del procedimento disciplinare), non condividendosi al riguardo quanto affermato – in modo apodittico e in chiaro contrasto-alterazione con il contenuto della norma – da autorevole dottrina secondo la quale “le sanzioni piu’ gravi sono irrogate dal dirigente capo del personale, su proposta dell’apposito ufficio per i procedimenti disciplinari, istituiti presso ogni amministrazione”.
c) Il procedimento disciplinare instaurato da un soggetto o un organo dell’ente diverso dall’u.c.p.d. e’ illegittimo e, pertanto, la sanzione irrogata a seguito di un procedimento come dinanzi illegittimo e’ viziata di nullita’ in quanto il provvedimento e’ stato adottato in violazione di norma di legge inderogabile sulla competenza: in questa ipotesi, infatti, la norma determinatrice di competenza e’ espressione non solo di tecnica organizzativa, ma anche di una esigenza di giustizia (o almeno di garanzia della giustizia degli atti considerati), atteso che il legislatore ha stabilito che solo un determinato organo si trova nelle condizioni di poter rettamente iniziare e decidere in ordine ad un determinato provvedimento disciplinare, con la conseguenza che lo stesso provvedimento, se compiuto da altro organo o soggetto o struttura dell’ente, si connota di patente illegittimita’ ed i suoi effetti dovranno essere eliminati mediante il suo annullamento: non rientrando, infatti, la norma sulla competenza nell’ambito di una norma permissiva suppletiva o minus quam perfecta, il consequenziale accertamento della sua inderogabilita’ o imperativita’ non puo’ che comportare l’applicazione del comma 1 dell’art. 1418 c.c. (con “rinvio” dall’art. 1324 c.c.) dell’atto o provvedimento adottato da organo o soggetto dell’ente ex lege non competente.
I summenzionati principi – che, vale ribadirlo, si evincono chiaramente dall’interpretazione della norma di legge applicabile nella specie – debbono valere per tutti i procedimenti e i provvedimenti disciplinari ricadenti nella previsione legislativa e, pertanto, non possono venire derogati dalla contrattazione collettiva e cio’, in linea generale, per il principio gerarchico delle fonti e, in particolare, con riferimento a quanto disposto dal terzo comma dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 che riserva alla contrattazione collettiva la possibilita’ di “definizione della tipologia e dell’entita’ delle infrazioni” – competenza, quindi, limitata a tale specifico ambito e che non puo’ essere arbitrariamente estesa all’individuazione del soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare se non a patto di una patente violazione della norma inderogabile del comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 -.
4^/a -. Tanto verificato e ritenuto in ordine al quadro normativo in cui si colloca la presente fattispecie con riferimento alle censure proposte su tale punto dal ricorrente, e’ necessario ora rapportare la cennata normativa – come dinanzi interpretata con le relative conseguenze “di principio” – alle vicende fattuali giudizialmente accertate.
Nella specie Paolo Comaglia Ferraris e’ stato licenziato per giusta causa dall’Istituto Giannina Gaslini quando l’u.c.p.d. non era costituito e, quindi, il procedimento disciplinare e’ stato instaurato ed e’ stato svolto (nelle varie fasi procedimentali della “contestazione”, dell'”istruzione” e dell'”adozione della sanzione”) da un organo o soggetto non competente ex comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993.
In merito alla circostanza della mancata costituzione dell’u.c.p.d. la Corte di Appello di Genova conclude nel senso che “detto ufficio, sia al momento della contestazione dell’addebito al Comaglia, sia al momento della sua audizione, non fosse regolarmente costituito”, tant’e’ che “il progetto di riorganizzazione dell’area amministrativa e gestionale” – in forza di cui si sarebbe dovuto costituire l’u.c.p.d. – rimase, appunto, alla stadio di un progetto non realizzato poiche’ “l’attivita’ di organizzazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari nel concreto non venne espletato”.
Il Giudice di appello, in luogo di trarre da tale accertata situazione le dovute conseguenze (idsunt: illegittimita’ del procedimento disciplinare instaurato da soggetto non competente e nullita’ della sanzione ugualmente irrogata), e’ incorso – cosi’ come puntualmente indicato dal ricorrente – nella violazione della normativa di legge in materia.
Inoltre, le ragioni addotte dalla Corte di Appello di Genova per pervenire alle cerniate violazioni di legge sono state sviluppate in base ad un percorso argomentativo sicuramente inesatto, con carenze motivazionali che possono essere valutate anche in sede di legittimita’ in considerazione delle circostanziate censure svolte in proposito dal ricorrente e rilevato, soprattutto, che il controllo di legittimita’ da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attivita’ ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma e’ esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. SS.UU., n. 5/2001), e che, comunque, spetta al giudice di legittimita’ il controllo sulla logicita’ della motivazione del giudice di merito (cfr., Cass. n. 16805/2002).
A tale riguardo la Corte ritiene che il Giudice di appello non abbia tenuto conto dei principi sopra enunciati e non abbia dato una corretta motivazione del proprio convincimento in ordine a molteplici punti della controversia a comprova della erroneita’ della decisione assunta.
In particolare, la Corte territoriale ha errato ove ha affermato che; a) “il Fiorucci (responsabile dell”ufficio gestione del personale’) fosse il titolare del procedimento disciplinare e impersonificasse l’ufficio competente”; b) “l’art. 36 del c.c.n.l,, dopo aver dettato disposizioni attinenti i casi del recesso e le modalita’ del procedimento disciplinare, prevede l’annullamento della procedura di accertamento della responsabilita’ del dirigente soltanto per la violazione dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, comma 5 e segg.”; c) “l’art. 38 del c.c.n.l. disciplina i casi di nullita’ del recesso tra i quali non rientra la costituzione o la composizione dell’ufficio di cui si discute”; d) “nel complesso normativo applicabile al caso di specie non si rinviene alcuna disposizione che sanzioni con l’annullamento la irregolare costituzione dell’ufficio e, d’altra parte, non puo’ equipararsi la situazione in cui vi sia inesistenza dell’organo a quello in cui si sia verificato unicamente il mancato completamento dell’organo stesso: nel primo caso il provvedimento adottato da persona non competente comporta la nullita’ dell’atto, nel secondo caso la mera irregolarita’ che resta priva di effetti sul piano sostanziale”; e) “l’art. 59, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 altro non e’ che una disposizione di carattere organizzatorio generale, con la quale viene previsto che presso ciascuna amministrazione debba esistere un ufficio competente per i procedimenti disciplinari, senza nulla specificare in relazione alla sua concreta articolazione, con la conseguenza che e’ sufficiente l’individuazione del titolare dell’ufficio, in assenza di previsione sanzionatoria sia nel D.Lgs. che nel c.c.n.l. per le ipotesi di irregolare costituzione”;) “con riferimento alla diversa persona tra colui che ha inviato la lettera di contestazione e colui che ha intimato il recesso, non si rinviene nel D.Lgs. e nelle norme di legge, nonche’ nel c.c.n.l., alcuna disposizione in base alla quale la persona che gestisce il procedimento e la sanzione debba essere la medesima che in concreto la irroga”; g) “il commissario ad acta, con la delibera del 17 aprile 2000 – avente ad oggetto il recesso del Cornaglia -, ha ratificato l’operato ed il giudizio espresso da altri facendolo proprio con lunga ed articolare motivazione”.
In ordine ai surriferiti punti erroneamente considerati nella sentenza impugnata vale rilevare e, sotto taluni profili, ribadire che: a/1) per quanto dinanzi statuito l’ufficio titolare del procedimento disciplinare era unicamente l’u.c.p.d. pacificamente non costituito presso l’Istituto Gaslini, per cui il responsabile di altro e diverso ufficio non poteva considerarsi titolare del procedimento disciplinare e impersonificasse l’ufficio all’uopo competente ancora non costituito al momento dell’instaurazione del procedimento disciplinare de quo; b/1) il contratto collettivo di lavoro – anche se approvato con D.P.R. – rientra nell’ambito di una fonte di legge sottordinata rispetto alla norma dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 e la previsione contenuta al comma 4 dell’art. 36 del c.c.n.l. di “annullamento della procedura di accertamento della responsabilita’ del dirigente disciplinato dall’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, comma 5 e segg.” non esaurisce con tutta evidenza ulteriori ipotesi di nullita’, come e’ comprovato dal successivo art. 38 dello stesso contratto collettivo sanzionante “la nullita’ del recesso in tutti i casi in cui lo prevedano il codice civile e le seguenti disposizioni di legge”; di) quest’ultima disposizione contrattuale-sindacale viene considerata dalla Corte territoriale – contraddittoriamente rispetto alla precedente affermazione – per tentare di escluderne l’efficacia al caso del licenziamento del Cornaglia Ferraris quando, peraltro, in tale caso la nullita’ del recesso deriva proprio “in forza del codice civile e delle vigenti disposizioni di legge” e, cioe’, in applicazione degli artt. 1418 e 1324 c.c. per patente violazione della disposizione inderogabile sulla competenza sancita dal quarto comma dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993; d/1) quanto teste’ rilevato conferma l’esistenza di una disposizione sanzionante con l’annullamento la irregolare costituzione dell’u.c.p.d. e quanto accertato nella stessa sentenza comprova l’assoluta inesistenza (e non certo il mancato completamento) dell’organo neppure parzialmente costituito – donde il verificarsi dell’ipotesi in cui la stessa Corte di Appello conclude per “la nullita’ dell’atto adottato da persona non competente” -; e/1) il comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 quale norma sulla competenza deve essere considerata, per quanto dinanzi argomentato, una norma inderogabile o imperativa che determina, quindi, l’applicazione nella specie del comma 1 dell’art. 1418 c.c. (con “rinvio” dall’art. 1324 c.c.) dell’atto o provvedimento adottato da organo o soggetto dell’ente non competente; f/1) l’art. 59, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 sancisce espressamente che “l’organo che gestisce il procedimento e la sanzione debba essere il medesimo” quando prevede con assoluta chiarezza che “l’u.c.p. d. contesta l’addebito al dipendente, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione”; g/1) il “commissario ad acta” non puo’ certo “ratificare” un provvedimento nullo specie se lo stesso sia stato adottato da soggetto non competente ex lege in quanto, a parte l’inammissibilita’ ex art. 1423 c.c. (con “rinvio” sempre dall’art. 1324 c.c.) della convalida di un atto nullo, la cd. “ratifica” tenderebbe illegittimamente a spostare la competenza dall’organo legittimamente competente ad un diverso organo (in questo caso il “commissario ad acta”, il cui operato resta altrimenti definito dalla normativa in materia) sicuramente non competente.
La confermata erroneita’ delle argomentazioni addotte dalla Corte territoriale comprova, in conclusione, l’inesattezza della decisione dalla stessa adottata in merito alla sanzione disciplinare irrogata a Paolo Cornaglia Ferraris dall’Istituto Giannina Gaslini, sicche’ i primi cinque motivi del ricorso “principale” sono meritevoli di accoglimento con ogni relativa conseguenza.
4^/b -. L’accoglimento dei primi cinque motivi del ricorso “principale” non puo’ che comportare la valutazione del ricorso “incidentale” come dinanzi proposto dall’Istituto Gaslini sulla base delle seguenti argomentazioni: a) “il comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 e’ una norma transitoria, o meglio residuale, destinata ad essere sostituita dalle norme disposte dai singoli contratti collettivi nel rispetto dei principi generali sanciti per il diritto del lavoro privato … il cui ambito di applicazione e’ limitato alle materie in cui vi e’ un vuoto di disciplina nella contrattazione collettiva”; b) “il comma 4 dell’art. 36 del c.c.n.l. effettivamente opera un richiamo ad un art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 che in assenza di indicazioni ulteriori o diverse, non puo’ che essere quello contenuto nel c.c.n.l. medesimo, per cui alla fattispecie in esame la procedura disciplinare prevista dall’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 non si applica affatto, ma si applica esclusivamente la procedura stabilita ad hoc dall’art. 36 del c.c.n.l. applicabile”.
Anche le cerniate argomentazioni – che, pure addotte a censura della sentenza impugnata, ne confermano sostanzialmente il decisum – si appalesano errate.
In particolare, nel ribadire quanto statuito sub “capo 3^”, si rimarca che: a/1) il quarto comma dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 non costituisce affatto una norma “transitoria” o “residuale” in quanto – posta con il D.Lgs. n. 29 del 1993 – e’ stata integralmente confermata dal D.Lgs. n. 546 del 1993, dal D.L. n. 361 del 1995, dalla L. n. 437 del 1995, dal D.Lgs. n. 80 del 1998, dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (norme queste che hanno modificato parzialmente altre disposizioni del D.Lgs. n. 29 del 1993 ma, significativamente, hanno lasciato inalterato il comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993) sicche’ sarebbe del tutto illogico o, meglio, contraddittorio sostenere la “transitorieta’” della cennata norma; a/2) in ogni caso, la possibilita’ di cd. sostituzione della normativa legale da parte dei contratti collettivi e’ prevista (e puo’, quindi, verificarsi) esclusivamente entro la vasta materia “della definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni” giusta quanto sancito dal comma 3 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 e non certo per “l’individuazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” che, appunto, “ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua”, in forza del comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 – norma “perfectcta e “inderogabile”, per cui nelle specie non esisteva l’asserito “vuoto di disciplina” bensi’ un “vuoto” nell’attivita’ amministrativa dell’Istituto Gaslini che non provvide a individuare tempestivamente e istituzionalmente (cioe’, in generale prima di ogni procedimento disciplinare) “l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari”; b/1) a parte l’inammissibilita’ della censura sull’esclusiva applicabilita’ dell’art. 36 del c.c.n.l. per la mancata indicazione dei canoni ermeneutici asseritamene violati – che, per il principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente aveva l’onere (rimasto inadempiuto) di specificare in sede di ricorso non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata -, il comma 4 dell’art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993 resta comunque applicabile in quanto, vale conclusivamente ribadirlo, sancisce che l’unico organo competente a istruire il procedimento disciplinare e ad applicare la relativa sanzione e’ l’u.p.c.d. e tale norma, in quanto imperativa, non puo’ essere derogata da parte della contrattazione collettiva (competente, ripetesi, sul diverso versante della “definizione della tipologia delle infrazioni e della relativa sanzione”).
Risulta, pertanto, confermata l’infondatezza del ricorso “incidentale” dell’Istituto Giannina Gaslini che, quindi, deve essere rigettato.
5^ -. Si conferma, in conclusione, l’erroneita’ della sentenza impugnata “per avere la Corte di Appello dichiarato che la mancata regolare costituzione dell”ufficio competente per i procedimenti disciplinari’ ex art. 55, comma 4, del D.Lgs. n. 29 del 1993 non abbia comportato l’annullamento della sanzione disciplinare irrogata”, per cui i primi cinque motivi del ricorso “principale” debbono essere accolti e l’unico motivo del ricorso “incidentale” deve essere respinto.
A seguito della cassazione della decisione della Corte territoriale la causa deve essere decisa “nel merito” ex art. 384 c.p.c., secondo alinea del primo comma – non essendo necessari sul punto ulteriori accertamenti di fatto – in ordine al “capo” dell’originaria domanda giudiziale del Cornaglia Ferraris concernente la declaratoria di nullita’ del licenziamento per giusta causa intimatogli dall’Istituto Gaslini; mentre – in ordine al “capo” dell’originaria domanda attinente il risarcimento del danno derivato dall’illegittima estinzione del rapporto lavorativo – la causa deve essere rimessa ad altro giudice ex art. 384 c.p.c., primo alinea del primo comma, per la quantificazione del cennato danno.
6^ -. L’accoglimento dei primi cinque motivi del ricorso “principale” non puo’ che comportare l’assorbimento degli ulteriori motivi di tale ricorso e – quatenus opus – della cd. “istanza subordinata” contenuta alla pag. 18 del “controricorso e ricorso incidentale”.
7^ -. In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, vanno accolti i primi cinque motivi del ricorso “principale” e rigettato il ricorso “incidentale”, con assorbimento degli ulteriori motivi del ricorso “principale”.
Di conseguenza, la sentenza della Corte di Appello di Genova va cassata e, A) decidendo nel merito in ordine al capo della domanda concernente la declaratoria di nullita’ del licenziamento disciplinare, va dichiarata la nullita’ della sanzione del licenziamento per giusta causa irrogata a Paolo Cornaglia Ferraris dall’Istituto Giannina Gaslini con provvedimento del 17/18 aprile 2000 e, B) rimettendo la causa ad altro giudice limitatamente al capo della domanda concernente la richiesta di risarcimento del danno derivato dall’illegittima estinzione del rapporto di lavoro, va demandato al Giudice di rinvio di quantificare il risarcimento del danno provocato dall’Istituto Giannina Gaslini a Paolo Cornaglia Ferraris a causa della statuita nullita’ del provvedimento disciplinare.
Il Giudice di rinvio – che si designa nella Corte di Appello di Torino – provvedera’, inoltre, alla liquidazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie i primi cinque motivi del ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; dichiara assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara la nullita’ del licenziamento per giusta causa intimato dall’Istituto Giannina Gaslini a Paolo Cornaglia Ferraris con provvedimento del 17 aprile 2000; limitatamente alla domanda giudiziale relativa al risarcimento del danno conseguente a detta declaratoria, rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Torino.
Cosi’ deciso in Roma, il 2 dicembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2004