Svolgimento del processo

Con citazione del 7 dicembre 1990 Podestà Francesco Alessandro, nella veste di assegnatario di un appartamento di edilizia popolare sito in Montagnoso, conveniva dinanzi al Tribunale di Massa l’azienda ATER, quale proprietaria dello stabile, e ne chiedeva la condanna alla esecuzione di lavori urgenti di rifacimento del tetto ed al risarcimento dei danni, patrimoniali ed alla salute, conseguenti alla situazione di insalubrità dei locali a causa di infiltrazioni di acqua.

La lite era istruita con espletamento di consulenze tecniche sull’immobile e sulla persona dell’attore, nel contraddittorio con l’ente proprietario, ed all’esito il Tribunale accoglieva la domanda del Podestà e condannava l’Ater (che nelle more aveva riparato il tetto) alla rifusione dei danni patrimoniali e biologici, che liquidava in L. 8.109.000 per danni patrimoniali ed in lire 50 milioni per danni alla salute (cfr. sentenza del tribunale di Massa del 18 aprile 1997).

La decisione era appellata dall’ATER, sia per l’an che per il “quantum debeatur”, sotto il profilo che una parte del danno poteva essere evitata dal danneggiato con l’impiego della normale diligenza; resisteva il Podestà chiedendo il rigetto dell’appello e svolgendo appello incidentale sulla mancata liquidazione del danno morale e del danno da mobili e da suppellettili.

Con sentenza del 14 dicembre 1999 la Corte di appello di Genova così decideva:

in parziale riforma riduce l’importo dei danni alla somma di lire 14 milioni ai valori attuali, incluso il danno morale; conferma nel resto la sentenza impugnata e condanna l’appellante a rifondere all’appellato i due terzi delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Contro la decisione ricorre il Podestà deducendo quattro motivi di censura; resiste la controparte con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento per i primi tre motivi, rigettandosi il quarto per le seguenti considerazioni.

Precede l’esame del motivo preliminare in cui si deduce la nullità dell’atto di appello per la mancata sottoscrizione del difensore. Il motivo è infondato, infatti l’originale dello atto di appello reca la firma del difensore sia per l’atto che per la procura.

Venendo all’esame dei motivi di merito, essi possono così riassumersi:

Nel primo motivo: si deduce l'”error in iudicando” ed il vizio della motivazione sul punto relativo alla riduzione del risarcimento, sul rilievo che il danneggiato avrebbe contribuito nella misura di un terzo alla produzione dei danni ai sensi del secondo, comma dell’art. 1227 c.c.

Osserva il danneggiato, in punto di diritto, che egli, per le condizioni economiche precarie (svolgendo la faticosa attività di carpentiere) non era in grado di anticipare le notevoli spese per la riparazione del tetto dell’edificio e neppure era in grado di trovare diversa sistemazione abitativa; la sua ordinaria diligenza era consistita nel sollecitare l’ente alle riparazioni ed infine ad affrontare una dispendiosa azione giudiziaria, peraltro rivelatasi fondata, tanto che l’ente aveva infine riparato il tetto.

Non poteva dunque accollarsi alla diligenza del danneggiato l’onere di ovviare alla inerzia dell’ente pubblico, con la assunzione di attività e di spese al di fuori delle sue risorse e comunque il ritardo nell’azione giudiziaria intrapresa non poteva essere di per sé considerato come indice di negligenza. Infine osservava (citando una recente decisione di Cass. 9 maggio 2000 n. 5883) che grava sul debitore responsabile del danno l’onere di provare la violazione, da parte del danneggiato del dovere di correttezza impostogli dal citato art. 1227 c.c. e l’evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, configurabile come eccezione in senso stretto.

Nel secondo motivo si deduce l'”error in iudicando” sulla riforma peggiorativa della valutazione della lesione della salute, data la natura della malattia (broncopneumopatia di natura polmonare) che le condizioni di insalubrità della abitazione, interessata da costanti e rilevanti infiltrazioni di acqua aggravavano, con episodi acuti tali da rendere necessario il ricovero ospedaliero.

I giudici del merito, anziché ricorrere ai criteri equitativi puri seguiti dal primo giudice, che aveva liquidato un congruo importo, avevano considerato unicamente i due episodi di infezione tubercolare acuta, ricorrendo peraltro ai parametri di una invalidità temporanea, e così ignorando la chiara consulenza medico legale che accertava gli esiti permanenti (broncopneumopatia cronica di natura tubercolare e Deficit della funzionalità respiratoria al 56,99%)… Lamentava inoltre la esiguità del concesso danno morale (6 milioni ridotti di un terzo) in relazione alla continuità e gravità della condotta colposa dell’ente ed alla gravità della menomazione delle condizioni di salute.

Nel terzo motivo si deduce che il giudice di appello, nel ridurre le somme a soli 14 milioni avrebbe pretermesso di considerare la natura di debito di valore del danno da fatto illecito e quindi di rivalutare adeguatamente le somme.

I motivi riassunti appaiono fondati su censure che debbono condividersi in punto di principi di diritto, che il giudice del rinvio dovrà osservare.

Primo principio:

In tema di responsabilità contrattuale, l’art. 1227 c.c., secondo comma, nello escludere il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, pone un onere a carico del creditore medesimo, di non concorrere con un comportamento contrario a buona fede, ad aggravare i danni derivanti dall’inadempimento, ma non anche di sostituirsi al debitore nell’adempimento dell’obbligazione (cfr. Cass. 27 maggio 1977 n. 2179 e Cass. SU 25 maggio 1971 n. 1540). Peraltro è da rilevare che l’eccezione relativa alla applicabilità del principio riduttivo di cui al secondo comma dell’art. 1227 c.c. è eccezione in senso tecnico, deducendosi una circostanza riduttiva o addirittura estintiva della pretesa risarcitoria (conf. Cass. 9 maggio 2000 n. 5883) di guisa che il relativo onere della prova competeva al debitore eccipiente e doveva essere rigorosamente verificato.

Al contrario la motivazione configura la negligenza del danneggiato sul rilievo che la azione di danno venne proposta con ritardo rispetto alle infiltrazioni e che potevano essere sollecitati anche interventi di natura cautelare, sottovalutando la esosità delle opere di riparazione e ripristinazione delle condizioni di salubrità dello alloggio popolare e la colpevole e grave inerzia dell’ente che ben conosceva (per la segnalazione dell’ufficiale sanitario del comune sin dal 1979) lo stato di inabilità e di insalubrità dell’alloggio. Inerzia superata solo dopo l’introduzione della lite.

In definitiva la motivazione è assolutamente carente sia sul punto dello accertamento della violazione dell’ordinaria diligenza da parte del danneggiato, sia sul punto di diritto in ordine all’onere della prova che fa carico alla parte eccipiente.

Secondo principio di diritto (in relazione al secondo motivo).

Costituisce “ius receptum” il principio del risarcimento integrale del danno biologico, come menomazione della salute fisica e psichica medicalmente accertabile.

Anche le recenti riforme legislative in tema di circolazione e di infortuni del lavoro rappresentano tale esigenza, pur prospettando automatismi e tabelle medico legali di valutazione. Ma a prescindere dalle riforme le fonti di diritto positivo sono codificate e si rinvengono negli artt. 1218, 1223 e 1224 c.c. per la responsabilità da inadempimento o contrattuale e negli artt. 2043, 2056 e 2059 c.c. per la responsabilità extracontrattuale.

Nel caso di lesione della salute, il principio dell’integralità del risarcimento assume una valenza primaria costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione tra di loro coordinati, e la nozione di salute non è intesa in senso stretto di perdita economica o patrimoniale, ma di menomazione anche stabile e permanente della salute, come fattore dinamico esistenziale ed interrelazionale.

Nel caso di specie l’errore compiuto dai giudici del merito, in mancanza di tabelle medico legali specifiche (posto che la tubercolosi è malattia sociale regolata da leggi speciali) è stato quello di confondere la natura della malattia e del suo accertato aggravamento, con esiti permanenti (vedi la C.T.U. medico legale) con gli esiti di una inabilità temporanea, circoscritti agli episodi acuti.

In tal modo applicando i parametri patrimoniali giornalieri, si è addivenuti ad una drastica ma illogica riduzione del danno, che era stato già equitativamente valutato dal primo giudice nella miglior somma di cinquanta milioni.

Orbene il danneggiato non ha impugnato la prima liquidazione, ma entro tali limiti egli giustamente si lamenta per una riduzione illogica ed in violazione del principio della integralità o totalità del ristoro per la perdita permanente della propria salute.

Parimenti illogica appare la riduzione del danno morale ad una quota parte del danno biologico, specialmente dopo gli arresti delle SU civili del 2002 (sent. 2515/02 e 9556/02) che hanno rimarcato la piena autonomia ontologica del danno morale, come figura generale, eziologicamente dipendente dal fatto reato, o dalle particolari fattispecie che ne ammettono la speciale configurazione (ad es. danno morale da violazione della riservatezza privata, danno morale da mobbing o da violazione della personalità morale del lavoratore, ai sensi dell’art. 2087 c.c.).

Il giudice del rinvio, pertanto, nel liquidare il danno morale in relazione al fatto storico costituente ipotesi di reato di lesioni colpose gravi, dovrà parimenti ispirarsi all’autonomo principio del risarcimento della lesione della integrità morale, adeguando i parametri alla entità della sofferenza e del dolore, oltre che al parametro della lesione della dignità, della persona, costretta a sopravvivere, a rischio di salute, in un ambiente malsano affidato alle cure di un ente pubblico con connotazioni di solidarietà.

Resta assorbito il terzo motivo, per la ragione che il giudice del rinvio dovrà attenendosi ai principi di diritto come sopra enunciati, considerare il danno alla salute ed il danno morale come debiti di valore da liquidare come danni reali al tempo della corretta liquidazione.

All’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso segue la cassazione con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

P.Q.M.

Rigetta il quarto motivo, accoglie gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.
Roma 9 gennaio 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 LUG. 2003