Svolgimento del processo

Il 9 novembre 1972, a causa di una deflagrazione verificatosi nello stabilimento adibito alla lavorazione di esplosivi della S.p.A. Esplodenti Sabino, riportavano lesione mortali gli operai Nicolino Cirulli e Maria Petaccia. L’INAIL, avendo indennizzato gli infortuni sul lavoro con l’erogazione di L. 57.551.707, conveniva in surroga la detta Società – quale responsabile civile – davanti al Pretore del Lavoro di Chieti, ai sensi dell’art. II del T.U. n. 1124 del 1965, dopo che il procedimento penale a carico di Salvatore Sabino si era concluso con sentenza di proscioglimento per morte dell’imputato.

A seguito del rigetto della domanda da parte del Pretore (sentenza dell’II.12.1980), l’INAIL proponeva appello. La società – a sua volta – proponeva appello incidentale, insistendo in primo luogo sull’eccezione di prescrizione triennale (ex art. 10 e 11 del citato testo unico) ed eccependo altresì la decadenza dell’INAIL dalla produzione di documenti non depositati contestualmente al ricorso introduttivo davanti al Pretore; sostenendo poi l’estraneità di essa società all’evento infortunistico, ad essa non riferibile neppure sotto il profilo dell’art. 2560 c.c.

Il Tribunale di Chieti, con sentenza del 21.5.1981, in accoglimento dell’appello principale dell’INAIL, riformava “in toto” la sentenza del Pretore e condannava la società al pagamento a favore dell’istituto della somma richiesta, interessi legali e spese.

Rilevato che il credito dell’INAIL non si era prescritto, come del resto già ritenuto anche dal Pretore, passava all’esame del merito, costituito dai due punti: a) se i due lavoratori deceduti nell’infortunio fossero, all’epoca di questo, dipendenti della società; b) se ricorresse la responsabilità civile del datore di lavoro. Sul primo punto osservava che, come risultava dal verbale in data 13.6.1972 (anteriore quindi all’infortunio di circa cinque mesi) del consiglio di amministrazione della società, riunitosi sotto la presidenza di Sabino Salvatore (il quale dichiarò di voler conferire l’azienda, già stimata in . 215.000.000, ai fini dell’aumento del capitale sociale), non potessero esservi dubbi, giacché il conferimento fu compiuto in quella sede, in cui risultarono conseguentemente distribuite le azioni (per complessive L. 250.000.000) fra i vari soci. Sul secondo punto il Tribunale, dopo essersi soffermato a rigettare l’eccezione di decadenza dalla produzione dei documenti in primo grado, rilevando che la parità di posizioni processuali fra attore e convenuto (proclamata da C. Cost.

n. 13-1977) non potesse ritenersi violata dal deposito di documenti avvenuto appena dopo tre giorni dal deposito del ricorso, con ampia possibilità per la controparte di esaminarli, e che, in ogni caso, nessuna eccezione a riguardo era stata sollevata in primo grado, osservava che dagli atti del procedimento penale – e particolarmente dalla relazione dei periti – emergeva chiaramente la responsabilità penale del Salvatore Sabino in relazione all’imputazione di incendio ed omicidio colposo.

La società ricorre con tre motivi di annullamento; presenta successiva memoria.

L’INAIL resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo (violazione DPR 30.6.65 n. 1124, 1965, 2112 e 2158 c.c.) si contesta la ritenuta dipendenza degli infortunati, all’epoca dell’infortunio, da essa società ricorrente, per non avere il Tribunale considerato gli elementi (decisivi in senso contrario a quello desunto dal verbale dell’organo sociale) desumibile invece da altri documenti prodotti da essa società, quali il certificato della camera di commercio, un accertamento della Tributaria e le sentenze penali di primo grado e di appello, che attestavano, l’esistenza della ditta individuale.

Il motivo è infondato.

Sotto l’apparente denunzia di violazione di legge e al tempo stesso di vizi di motivazione, si propone in realtà una censura di merito, tendendosi a svalutare il convincimento, raggiunto dal Tribunale sulla base delle chiare e formali risultanze confessorie di un verbale del consiglio di amministrazione della società per azioni, anteriore alla data del tragico plurimo infortunio, per opporre ad esso una diversa ricostruzione della realtà (praticamente la titolarità individuale di Salvatore Sabino dell’azienda da cui dipendevano gli infortunati) desunta da una documentazione con esso contrastante, che il Tribunale aveva evidentemente ritenuto di superare, sul piano della sua efficacia probatoria (di mero carattere indiziario) a fronte del menzionato verbale. Tale censura dev’essere quindi disattesa, non configurandosi concretamente in essa le condizioni di cui all’art. 360 n. 5 cpc che postula la ipotetica decisività dei punti trascurati e l’inadeguata o contraddittorio procedimento logico seguito dal giudice di merito.

Col secondo motivo (violazione artt. 414, 415, 416 e 420 c.p.c.) la ricorrente lamenta l’avvenuta utilizzazione ai fini probatori della responsabilità civile del datore di lavoro (in dipendenza di quella penale del preposto), degli atti del procedimento penale a carico del defunto Sabino Salvatore, prodotti dall’INAIL non all’atto del deposito del ricorso introduttivo, ma successivamente.

Il motivo è infondato.

Dichiarandosi esplicitamente consapevole dello stato della questione relativa alla parità di posizione processuale dell’attore e del convenuto nel rito del lavoro e della conseguente preclusione che colpisce non solo il convenuto (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 416 c.p.c.) ma anche l’attore per l’omesso deposito dei documenti contestualmente al deposito del ricorso (primo comma art. 415), come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 13 del 14.1.1977, il Tribunale ha tuttavia ritenuto di poter superare l’ostacolo (derivante dal non contestuale deposito da parte dell’INAIL delle copie degli atti del processo penale), considerando che in sostanza quello che si intendeva salvaguardare con l’estensione della decadenza all’attore era solo il diritto di difesa del convenuto, diritto che nella specie non poteva ritenersi violato, dato che le copie degli atti in questione erano state depositate appena tre giorni dopo il deposito del ricorso, lasciando quindi un ampio margine di tempo alla controparte per esaminare quei documenti e controdedurre su di essi.

Tale modo di argomentare non è coerente alla logica del sistema generale dell’ordinamento che, collocando il giudice-indipendente da ogni altro potere – in funzione di soggezione alla sola legge ( art. 101 Cost.), pone come suo primo compito quelle di applicare la norma, che egli stesso è peraltro chiamato ad individuare (attraverso l’interpretazione delle relative disposizioni) quale fonte regolatrice del caso concreto. Il Tribunale di Chieti ha bene individuato la norma da applicare, condividendo l’autorevole indicazione della Corte Costituzionale la quale – per negare fondamento alla questione di illegittimità costituzionale allora sollevata – ha ritenuto (come anche questa Suprema Corte, ritiene) che l’onere dell’attore di depositare i documenti contestualmente al ricorso fosse sanzionato di decadenza, nonostante il difetto di esplicita declaratoria nella legge. Ma non si vede come, poi, possa logicamente conciliarsi con ciò il “correttivo” introdotto dai giudici di appello della valutazione – necessariamente discrezionale

– della sufficienza del termine residuo nel caso di non contestuale deposito) a salvaguardia del diritto di difesa della controparte.

Ai termini processuali perentori (e quindi non prorogabili) è insito necessariamente il carattere della rigidità, senza del quale verrebbe meno la finalità che il legislatore si è prefissa con la loro posizione, diretta appunto ad impedire una valutazione di congruità diversa da quella che esso stesso ha già fatta preventivamente.

Erroneamente perciò il Tribunale ha ritenuto di poter modificare sul punto la decisione del Pretore che aveva fatto esatta applicazione della norma, rifiutandosi di prendere in considerazione i documenti, per la cui tardiva produzione non era stata chiesta alcuna autorizzazione né era stato dedotto alcun grave motivo.

Al quale proposito è inoltre da affermare la rilevabilità d’ufficio della decadenza, che, attenendo all’ordine del processo (di natura pubblicistica), non è soggetta alle regole dettate per la decadenza di diritto sostanziale, ma a quelle del diritto processuale, che non prevedono alcun eccezione di parte per il caso in esame. Così come erroneamente (a maggior ragione ed in difetto di alcuna giustificata richiesta da parte dell’interessato INAIL) ha poi ritenuto il Tribunale di potere di potere utilizzare quei documenti ai fini della valutazione del merito nel suo riesame in sede di appello, non potendo – come è noto – sanarsi con la semplice proposizione dell’appello gli effetti di una decadenza processuale già realizzatasi e rilevata dalla controparte appellata (v. conclusione riportate nella sentenza impugnata).

La cassazione della sentenza sul punto di cui sopra comporta naturalmente l’illegittimità dell’esame di merito condotto dal Tribunale sui documenti stessi, così restando assorbito il terzo motivo del ricorso, che concerne appunto detto esame, e la desunta colpa di Salvatore Sabino, posta a base della responsabilità civile della società.

La causa va rinviata ad altro giudice di appello (che si designa nel Tribunale di Lanciano) il quale, nell’esaminarla nuovamente, si atterrà ai sopra enunciati principi di diritto. Provvederà il medesimo giudice sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa – anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione alla Sezione del Lavoro del Tribunale di Lanciano.
Roma, 16 aprile 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 FEBBRAIO 1986