Svolgimento del processo

Con ricorso del 21 giugno 1979 al Giudice Conciliatore di Siena ROMAS e MARZIANO MORI, comproprietari di un vano terraneo condotto in locazione da ERMADA BIANCIARDI per attività commerciale, chiedevano la condanna di costei al rilascio del locale, perché necessario – con il consenso degli altri comproprietari – all’attività commerciale esercitata da ROMAS MORI in un contiguo negozio, inidoneo per carenza di spazio.

La BIANCIARDI eccepiva il difetto di Legittimazione attiva dei ricorrenti, e contestava la sussistenza della addotta necessità.

Il conciliatore, con sentenza del 15 settembre 1980, respingeva la domanda del MORI per mancata prova della necessità a termini degli articoli 29 e 73 della legge Numero 292 del 1978 (mod. alla legge Numero 93 del 1979). Avverso questa decisione i suddetti ricorrenti proponevano appello ribadendo la sussistenza dell’indicata necessità di ottenere la disponibilità del locale per la loro attività commerciale.

La BIANCIARDI resisteva al detto gravame, riproponendo le difese di 1° grado.

Disposta l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa “ope iudicis” di VINCENZO BRIGIDI, altro comproprietario del locale condotto dalla BIANCIARDI, il Pretore di Siena, con sentenza del 20 marzo 1981, accoglieva l’appello e, così, la domanda dei Mori, ordinando alla detta conduttrice il rilascio dell’immobile per il 10 luglio 1981, con la previa corresponsione dell’indennità per avviamento commerciale di lire 1.800.000.

Dal detto giudice di secondo grado si considerava, in ispecie, che i MORI, avendo acquistato una quota di due terzi della proprietà del locale (per il terzo residuo di proprietà del BRIGIDI), erano subentrati per quota ideale all’originario locatore, assumendo con il BRIGIDI la veste di locatore in un contratto di locazione rimasto unico, con conseguente litisconsorzio necessario fra i suddetti tre comproprietari, rilevandosi peraltro come. disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio nei confronti del BRIGIDI, questi era rimasto contumace, ma che, successivamente documentata con una lettera, la sua adesione all’azione dei MORI, la legittimazione attiva dei detti ricorrenti doveva ritenersi sussistente, sia sotto il profilo della proprietà dell’immobile che la riguardo della relativa titolarità della locazione.

Quindi, si assumeva che, seppure la licenza di commercio era intestata alla madre dei MORI, la previsione degli articoli 29 e 73 (modif.) della legge Numero 392-1978, circa la necessità non solo del locatore ma anche dei parenti entro il secondo grado in linea retta, comportava che la domanda di rilascio poteva essere proposta dai MORI nell’interesse della madre, ed anche, indipendentemente dall’esercizio in via diretta di un’attività commerciale, quali semplici soci di una attività personale attraverso il conferimento del godimento dell’immobile, concludendosi che comunque ROMAS MORI era il vero gestore del negozio, ed aveva quindi un interesse personale e diretto al rilascio dell’immobile, come locatore avente necessità di adibirlo all’esercizio in proprio, oltre che della madre, dell’attività commerciale esercitata in rapporto societario.

Infine, dal Pretore si riteneva che il dedotto stato di necessità era stato determinato dal provato sviluppo della attività di commercio di calzature esercitata nel negozio contiguo al locale occupato della BIANCIARDI, estesa alla vendita di tutti gli articoli in cui, e dalla accertata mancanza di spazio per il deposito, l’esposizione e la prova degli articoli da parte dei clienti, alla quale poteva esperire il vano locato, di dimensioni ridotte ma della stessa profondità del negozio e provvisto di vetrina sulla strada.

Contro questa sentenza la BIANCIARDI ha proposto ricorso per la sua cassazione con atto – contenente cinque ordini di censure – notificato soltanto a ROMAS e MARZIANO MORI.

I suddetti resistono con controricorso.

Disposta con ordinanza del 25 gennaio 1985 di questa Corte Suprema l’integrazione del contraddittorio nei confronti di BRIGIDI VINCENZO, questi, con ricorso incidentale, richiede la cassazione senza rinvio della sentenza di appello in ordine alla sua chiamata in causa, instando, nel resto, per la reiezione del ricorso principale della BIANCIARDI.

Motivi della decisione

In via preliminare occorre provvedere a norma dell’articolo 335 codice procedura civile alla riunione del ricorso principale proposto dalla BIANCIARDI (Numero 6017-81 R.G.) e di quello incidentale formulato da BRIGIDI (Numero 2039-85 R.G.), essendo rivolti all’impugnazione della medesima sentenza: quella del Pretore di Siena del 20 marzo 1981.

Con il primo motivo del ricorso la BIANCIARDI lamenta “violazione degli articoli 102 e 107 c.p.c. in relazione all’articolo 344 c.p.c.“, per avere il Pretore disposto, in gradi di appello, ad integrazione del contraddittorio, l’intervento del comproprietario BRIGIDI ex articolo 107 c.p.c., è consentito soltanto in primo grado, violando così il principio del doppio grado di giurisdizione.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Infatti, va osservato – come questa Corte Suprema ha già avuto occasione di affermare – che in ordine alla domanda di recesso per un immobile locato, che – come nella specie – appartenga a più proprietari, ciascuno di essi è legittimato ad agire contro il conduttore, purché risulti il consenso, anche tacito, degli altri comproprietari (da ritenersi presunto fino a prova contraria), senza che sia configurabile al loro riguardo un’ipotesi di litisconsorzio (Vedere Cassazione 16 maggio 1981 Numero 3248; Cassazione 8 gennaio 1981 Numero 174; Cassazione 4 febbraio 1980 Numero 766; Cassazione 6 dicembre 1974 Numero 4068).

Ne deriva – invero – con riguardo alla assenza di una prova contraria al presunto consenso del comproprietario (il BRIGIDI) non presente nel giudizio – anzi all’accertamento da parte del giudice del merito della sua espressa adesione all’azione di recesso dagli altri contitolari dell’immobile instaurata – non soltanto la piena legittimazione ad agire di questi ultimi nei confronti del conduttore ma vieppiù, proprio per l’insussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario di tutti i comproprietari dell’immobile locato, la mancanza della necessità di integrare il contraddittorio rispetto al detto comproprietario pretermesso, con la conseguenza dell’inesistenza del presupposto stesso per l’emanazione di quel provvedimento del giudice di appello (di chiamata in causa del BRIGIDI), e del venir meno della necessaria sua incidenza nel primo grado del giudizio, e così con quella ulteriore della irrilevanza e, quindi, dell’inammissibilità delle censure che alla irritualità di quel provvedimento ed alla violazione del principio del doppio grado di giurisdizione si ricollegano.

Con il secondo motivo la BIANCIARDI si duole per la “violazione dell’articolo 345 c.p.c.“, per avere il Pretore pronunciato su una domanda di rilascio basata sulla necessità del locale da parte di ROMAS MORI, quale proprietario dell’azienda o gestore dell’impresa o coadiutore nella comunione familiare, e, quindi, nuova rispetto alla domanda proposta in primo grado dai MORI, fondata sulla necessità di disporre dell’immobile per adibirlo alla propria attività commerciale.

Con il terzo motivo la BIANCIARDI denuncia la “violazione degli articoli 29 e 73 della legge Numero 392 del 1978, per avere il Pretore accolto la domanda di rilascio dell’immobile in considerazione del fatto che, a norma dell’articolo 29 della detta legge, essa poteva essere proposta nell’interesse della madre dei ricorrenti, intestataria della licenza di commercio, senza rilevare che la domanda era stata in concreto proposta dai MORI in nome e nell’interesse proprio, e che non trattavasi nella specie di diniego della rinnovazione del contratto alla prima scadenza, consentito dall’articolo 29 della legge del 1978 per la necessità di adibire l’immobile all’esercizio, anche da parte di parenti entro il secondo grado in linea retta, delle attività indicate nell’articolo 27 della stessa legge.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la “violazione dell’articolo 59 – Numero 1 della legge Numero 392 del 1978“, per avere il Pretore accolto la domanda degli attori, considerando che poteva essere proposta anche in nome della madre e che la dedotta necessità di disporre del locale derivava dall’estensione del commercio di articoli di cuoio diversi dalle calzature originariamente trattate.

La Bianciardi deduce al riguardo che l’articolo 59 della legge del 1978 disciplina il recesso del locatore per la necessità (verificatasi dopo l’instaurazione del rapporto locatizio) di destinare l’immobile ad uso proprio, del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado, e che nella specie la domanda era stata basata dagli attori sulla necessità di adibire il locale non ad attività della madre ma a propria attività commerciale; e che le merci alle quali si asseriva estesa la loro attività commerciale non rientravano nelle tabelle merceologiche in possesso della titolare della licenza di commercio.

Gli esposti motivi – che vanno esaminati congiuntamente per la loro chiara connessione – non sono meritevoli di accoglimento.

Invero, va rilevato che la impugnata decisione del pretore di Siena, oltre ad avere ritenuto la sussistenza della necessità invocata da ROMAS MORI in correlazione alla sua posizione di socio nella società con la madre titolare della licenza di commercio relativa al negozio di cui si adduceva l’esigenza di ampliare l’attività, ha, in via conclusiva, riguardato quella necessità in corrispondenza alla posizione personale del predetto, individuando nello stesso il vero gestore del negozio e, così, riconoscendo la sussistenza dell’interesse e della necessità di adibirlo all’esercizio in proprio della attività commerciale.

Orbene, di fronte all’articolarsi nella detta decisione di accoglimento della domanda del MORI di due autonome e ben distinte ragioni, l’una correlata alla posizione societaria del predetto locatore ed alle attività ed esigenze commerciali di quella società di fatto instaurata con i cennati congiunti, e l’altra in corrispondenza della posizione personale dello stesso quale effettivo gestore del negozio e titolare della relativa attività commerciale, le esposte censure della BIANCIARDI, che afferiscono alla prima di dette argomentazioni – denunciandone la novità della introduzione del relativo tema nel giudizio di appello e la conseguente illegittimità della pronuncia pretorile che su di essa si era fondata -, si disvelano del tutto carenti di interesse e, quindi, inammissibili, in quanto il loro eventuale accoglimento non toccherebbe la detta seconda ragione non censurabile, con la logica conseguenza che la decisione pretorile impugnata deve rimanere ferma in base ad essa (Vedere Cassazione 8 maggio 1985 Numero 2866; Cassazione 18 febbraio 1983 Numero 1248; Cassazione 5 gennaio 1983 Numero 3; Cassazione 9 novembre 1982 Numero 5880; Cassazione 7 agosto 1982 Numero 4445).

A tal proposito, giova osservare che la seconda delle riferite ragioni della decisione impugnata non soltanto non appare investita dalle cennate censure della ricorrente, ma specificamente correlata proprio a quella originaria “causa petendi” della personale posizione imprenditoriale del MORI e della corrispondente esigenza di ampliarne l’attività, che la stessa ricorrente indica quale unico fondamento della iniziale domanda di recesso del detto locatore, e benanco suffragata da un motivato apprezzamento delle risultanze processuali che risulta, oltre che non toccato da censure, del tutte immune da vizi logici e giuridici, in quanto frutto di quell’accertamento dell’addotta necessità del locatore (in relazione allo sviluppo del commercio delle calzature nel locale contiguo a quello locato alla BIANCIARDI ed in rispondenza della correlativa mancanza di spazio) che esattamente appare ispirato all’indirizzo al riguardo di questa Corte Suprema.

Si è, infatti, riconosciuto come la necessità del locatore, giustificativa del recesso dal contratto di locazione di immobile ad uso diverso da quello abitativo, secondo la previsione dell’art. 73 della legge 27 luglio 1978 numero 392 (modificato dall’articolo unico della legge 31 marzo 1979 Numero 93), sussiste non soltanto quando il locatore medesimo sia privo di ambienti idonei per lo svolgimento dell’attività che già eserciti, ma anche quando – come nella specie

– abbia l’esigenza di disporre di altri locali per l’incremento dell’attività stessa, o per una sua più razionale articolazione, od anche per l’espletamento di servizi accessori ad essa connessi (Vedere Cassazione 16 marzo 1984 Numero 1814; Cassazione 23 febbraio 1983 Numero 1408; Cassazione 3 luglio 1982 Numero 3973); senza che al riguardo possano assumere rilievo negativo le invocate limitazioni derivanti dalla licenza di commercio, le quali, oltre che presupporre, nella logica generalità dei casi, la raggiunta disponibilità dei locali, non possono incidere nell’ambito della disciplina sulle relazioni intersoggettive del rapporto privatistico della locazione, stante la loro esclusiva attinenza alla normativa pubblicistica (Vedere Cassazione 9 giugno 1984 Numero 3461; Cassazione 25 giugno 1983 Numero 4376).

Infine, con il quinto motivo la ricorrente si duole per la contraddittorietà della motivazione in ordine alla idoneità del vano locato rispetto alle dedotte esigenze di spazio per l’esercizio dell’attività commerciale del negozio dei Mori e rispetto alla considerazione dello stesso locale in relazione all’indennità di avviamento.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento. Invero, il motivato apprezzamento del giudice del merito in ordine all’idoneità del locale in locazione alla BIANCIARDI a soddisfare le esigenze di sviluppo del commercio del locatore come non ha trovato ostacolo ex adverso, mancando l’asserzione probatoria della sua inidoneità assoluta per le attività del locatore e neppure essendo dedotta la disponibilità da parte dello stesso di locali equivalenti a quello per cui richiede il recesso, così non può essere sindacato per la pretesa contraddizione con la considerazione dello stesso ai fini della determinazione dell’indennità di avviamento dovuta al conduttore, trattandosi di valutazioni che attengono a piani diversi di indagini aventi distinti oggetti, correlata l’una all’individuazione della idoneità del locale al soddisfacimento dello sviluppo del commercio esercitato dal locatore e l’altra alla determinazione del valore di avviamento dell’impresa esercitata dalla conduttrice e, così, la prima al riscontro della funzionalità di quel locale pr l’esercizio delle future attività dell’impresa del locatore, e la seconda all’accertamento di quella diversa qualità non del locale bensì della azienda della conduttrice (di cui il locale costituisce uno dei beni organizzati che la compone) che può identificarsi nell’attitudine concreta a produrre un profitto e quindi nella correlativa perdita a seguito della sua dismissione.

Con l’unico motivi del ricorso incidentale il BRIGIDI deduce “la violazione ed errata applicazione degli articoli 102 e 107 c.p.c. in relazione all’articolo 344 c.p.c.” sostenendo l’insussistenza del litisconsorzio necessario nei riguardi di esso comproprietario di cui si doveva presumere – sino a prova contraria – il consenso all’azione di recesso instaurata da altro comproprietario per la necessità di destinare l’immobile in comunione ad uso proprio, nonché l’erroneità della sua chiamata iussu iudicis nel giudizio di appello e, quindi, lamentando la mancata sua estromissione dal giudizio.

Il ricorso non è ammissibile.

Invero – al di là della fondatezza dell’assunto del ricorrente incidentale alla stregua delle osservazioni effettuate nella disamina del primo motivo del ricorso principale della Bianciardi – resta assorbente la considerazione che il ricorso incidentale del Brigidi – notificato in data 1-8 marzo 1985 – non è stato proposto nei termini ordinari previsti dagli articoli 325-327 codice procedura civile, come imponeva la sua natura autonoma.

In tal senso va rilevato che l’interesse del Brigidi ad impugnare l’erronea decisione del Pretore di affermazione del litisconsorzio necessario nei suoi confronti (e di conseguente chiamata in causa) non è nato dall’impugnazione principale, pur attinente al medesimo capo, bensì è divenuto attuale e rilevante con la stessa riferita decisione pretorile, non essendo disconoscibile l’immediata insorgenza da tale sentenza di un suo diretto interesse teso al riconoscimento del regolare esercizio del potere decisionale del giudice di appello nei suoi confronti.

In proposito – invero – va ricordato che l’articolo 334 codice procedura civile, nel consentire alle parti contro le quali è stata proposta impugnazione principale di proporre impugnazione incidentale anche quando per essa è decorso il termine per impugnare, presuppone che l’impugnazione incidentale sia diretta contro lo stesso capo di sentenza già investito dall’impugnazione principale, ovvero contro un capo dipendente o connesso per il quale l’interesse ad impugnare sorga dall’impugnazione principale, ed al contrario, quando si deve impugnare in via incidentale un capo di pronuncia indipendente da quello investito dall’impugnazione principale o anche dipendente o connesso ma rispetto al quale l’interesse ad impugnare sia sorto sin dal momento dell’emanazione della sentenza, l’impugnazione incidentale deve essere proposta sotto pena di inammissibilità, nei termini di cui agli articoli 323 e 327 codice procedura civile (Vedere Cassazione 9 febbraio 1984 Numero 1016; Cassazione 21 ottobre 1982 Numero 5482; Cassazione 8 aprile 1981 Numero 1990; Cassazione 24 marzo 1981 Numero 1712; Cassazione 23 maggio 1980 Numero 3405).

In conclusione delle esposte osservazioni, il ricorso principale della BIANCIARDI va rigettato, e la stessa – alla stregua delle regole legali della soccombenza – va condannata alla rifusione delle spese processuali sopportate dai resistenti ROMAS e MARZIANO MORI, mentre il ricorso incidentale del Brigidi va dichiarato inammissibile, restando – in considerazione di giusti motivi – le spese tra la BIANCIARDI ed il BRIGIDI totalmente compensate.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi Numero 6017-81 R.G. proposto da ERMADA BIANCIARDI ed il ricorso incidentale Numero 2039-1985 R.G. proposto da VINCENZO BRIGIDI.
Rigetta il ricorso proposto dalla BIANCIARDI e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti ROMAS e MARZIANO MORI delle spese processuali per lire 30.000, oltre Lire 600.000 per onorari di avvocato.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Brigidi. Dichiara interamente compensate le spese processuali tra la BIANCIARDI ed il BRIGIDI. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III SEZIONE CIVILE il 30 ottobre 1985. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 MAGGIO 1986