Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 16.10.1982 il Banco di Sicilia conveniva innanzi al Tribunale di Ragusa i coniugi Foresti Rosario e Sulsenti Rosa, esponendo di essere creditore del Foresti per complessiva somma di L. 120.104.231 (di cui L. 27.487.077, quale saldo passivo di conto corrente al 30.6.1982; L. 40.000.000, in forza di quattro cambiali dirette, scadute e non pagate; L. 16.807.154 per due cambiali scontate, non pagate alla scadenza, e relative spese di protesto; L. 35.910.000 per altre cambiali scontate e da scadere) oltre gli interessi convenzionali.

Precisava inoltre che, a garanzia delle obbligazioni nascenti dalle operazioni bancarie del Foresti, era stata prestata fideiussione il 27.2.1978 dalla Sulsenti, moglie del Foresti.

Deduceva infine che il Foresti e la Sulsenti, proprietari di un discreto patrimonio immobiliare, con rogito del 25.2.1982 avevano costituito in fondo patrimoniale, ai sensi dell’art. 167 c.c., quasi tutti i loro immobili, e ciò allo scopo di sottrarli alla garanzia dei creditori.

Ciò premesso, il Banco di Sicilia chiedeva la condanna in solido dei convenuti al pagamento della somma anzidetta, oltre gli interessi convenzionali, nonché la declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 c.c., dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.

I convenuti, costituiti in giudizio, resistevano alle domande, assumendo che il credito del Banco ammontava a L. 87.261.339 e contestando che la costituzione del fondo patrimoniale avesse recato pregiudizio ai creditori, in quanto il residuo loro patrimonio immobiliare era del valore di circa L. 270.000.000 e l’obbligazione assunta era stata ulteriormente garantita dalla fideiussione prestata da Foresti Filippo, proprietario di immobili per circa L. 290.000.000.

Con sentenza del 26.2.-11.4.1986, il Tribunale condannava i convenuti in solido al pagamento in favore del Banco di Sicilia di L. 21.587.077 oltre gli interessi al tasso del 25.50% e la commissione sul massimo scoperto dello 0.125%, con capitalizzazione trimestrale dal 30.6.1982; nonché al pagamento della somma di L. 73.807.154 oltre gli interessi di mora al 26%, della data di scadenza delle singole cambiali. Dichiarava l’inefficacia, nei confronti del Banco di Sicilia, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, di cui al rogito 25.2.1982.

Tale decisione, impugnata in via principale dei coniugi Foresti ed in via incidentale del Banco di Sicilia, era confermata dalla Corte di Appello di Catania, con sentenza del 2.12.1987-26.2.1988.

Riteneva tra l’altro la Corte territoriale che le censure dei Foresti in ordine all’eccessività dei tassi di interesse fissati convenzionalmente erano infondate. Invero, in mancanza di una clausola pattizia che agganci il tasso degli interessi alle successive variazioni che eventualmente si verifichino nel settore, gli interessi sono dovuti al tasso pattuito, per tutta la durata del rapporto ed anche per il periodo di mora, secondo i criteri fissati convenzionalmente e, quindi, anche con la capitalizzazione trimestrale. L’applicabilità, anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, dei criteri fissati convenzionalmente per il calcolo degli interessi discende dalla norma di cui al co. I°, seconda parte, dell’art. 1124 c.c.. La clausola contrattuale sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi non si pone in contrasto con a disposizione dell’art. 1283 c.c., giacché nei rapporti di conto corrente bancario esiste un apposito uso normativo che, per il richiamo operato dall’art. 1283, è legittimo.

Osservava la Corte che ugualmente infondate erano le censure dei Foresti in ordine alla dichiarazione di inefficacia dell’atto di costituzione di beni in fondo patrimoniale. Invero, doveva ritenersi per certo l'”eventus damni”, giacché la consistenza e la quantità dei beni sottoposti a vincolo ed aventi un considerevole valore comportava una seria ed apprezzabile diminuzione del patrimonio dei convenuti e, conseguentemente, anche della garanzia dei creditori.

Né gli appellanti avevano fornito alcuna prova dell’asserita esistenza di altri beni di loro proprietà non costituiti in fondo patrimoniale: prova questa che si sarebbe dovuto fornire documentalmente (atti di acquisto, note di trascrizione, ecc.), non invece attraverso la chiesta consulenza tecnica di ufficio, che poteva riguardare soltanto la valutazione di detti beni, dopo avvenuta la dimostrazione della loro proprietà in capo agli appellanti. Del resto costoro neppure avevano provato la fideiussione che assumevano essere stata prestata da Foresti Filippo. E poiché emergeva chiaramente dagli atti di causa anche la “scientia fraudis”, sussistevano tutti i presupposti dell’azione revocatoria.

Per la cassazione di questa sentenza Foresti Rosario e Sulsenti Rosa hanno proposto ricorso sulla base di due motivi. Il resistente Banco di Sicilia si è costituito, depositando la procura alle liti rilasciata al proprio difensore, il quale è stato presente in udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 2901 cod. civ. in relazione agli art. 186, 187 e 191 cod. proc. civ., lamentano che erroneamente la Corte di Appello ha accolto l’azione revocatoria proposta dal Banco di Sicilia, in quanto, da un canto, non avrebbe tenuto conto dell’ampia fideiussione prestata dal terzo a garanzia delle ragioni creditorie di controparte e, dall’altro, avrebbe disatteso la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio volta a dimostrare che la costituzione del fondo patrimoniale non poteva comportare una maggiore difficoltà ed incertezza nell’esazione dei crediti, essendo altri beni rimasti nella piena disponibilità di essi debitori.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha rilevato che, nella specie, la costituzione in fondo patrimoniale dei beni aventi, per la loro consistenza e quantità, un considerevole valore, precludeva al Banco di Sicilia l’attuazione coattiva del proprio diritto di credito, non avendo i debitori “dimostrato per nulla” l’asserita fideiussione prestata dal terzo né l’asserita esistenza di altri beni, non assoggettati al vincolo, dei quali la prova della proprietà avrebbe dovuto essere fornita documentalmente, trattandosi di immobili, non invece attraverso la chiesta consulenza tecnica di ufficio, che poteva riguardare soltanto il loro valore.

Pertanto l’accertamento dell’eventus damni, integrante il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria, è sorretto da adeguata motivazione, che si rivela immune da errori logici o giuridici e, come tale, insindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 16.10.1979 n. 5391; id. 5.10.1978 n. 4453). Ne consegue che i rilievi del ricorrente, risolvendosi nella pretesa di ottenere una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella compiuta correttamente dai Giudici di merito, non possono trovare ingresso nel presente giudizio.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciano la violazione degli art. 1283 e 1285 cod. civ., lamentano che la Corte di Appello ha errato nel ritenere: a) l’insindacabilità del tasso di interesse, solo perché convenzionalmente concordato, laddove invece una tale pattuizione non potrebbe protrarsi successivamente alla revoca degli affidamenti da parte della Banca e, per di più, senza neppure tener conto delle sopravvenute variazioni del fenomeno inflattivo, essendo palesemente ingiusto che il debitore debba continuare a pagare tassi di interesse non più corrispondenti a quelli correnti; b) l’applicabilità dell’anatocismo, sol perché conforme agli usi in materia di conto corrente, mentre invece tali usi non potrebbero che riguardare il solo periodo di vigenza del rapporto con la Banca, come dovrebbe ritenersi anche per le commissioni e accessori.

Il motivo è infondato.

Invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (v. sent. 22.6.1985 n. 3760), quando il contratto di conto corrente bancario contempli – come nella specie – sulle esposizioni debitorie del cliente la corresponsione di interessi ultralegali in misura variabile riferita ai tassi ugualmente praticati dalla banca, l’obbligo dei maggiori interessi contrattualmente pattuiti continua anche per il periodo successivo al recesso della banca. E ciò in forza della norma di cui all’art. 1224, primo comma, seconda parte, cod. civ., che stabilisce che se prima della mora sono dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori vanno corrisposti anche successivamente nella stessa misura.

Né vale obiettare che, stando al tenore letterale della disposizione, il tasso degli interessi dovrebbe identificarsi nella misura – maggiore di quella legale – dovuta all’atto della scadenza delle obbligazioni. L’espressione adoperata non può infatti che riferirsi alla disciplina contrattuale dell’obbligazione che, in applicazione del principio del perpetuatio obbligationis, sopravvive alla scadenza. Conseguentemente, la clausola che prevede interessi legali mediante il riferimento ad elementi destinati a spiegare influenza sulla loro misura in futuro continua ad assolvere la sua funzione determinativa anche durante la mora, non potendo l’inadempimento del debitore risolversi in danno del creditore.

Ora a tale principio di diritto si è correttamente conformata la sentenza impugnata, che non merita censura anche in ordine alla risposta data alle argomentazioni dedotte dagli appellanti a sostegno “del rifiuto dell’anatocismo”.

Infatti la Corte territoriale ha disatteso tali argomentazioni rilevando, in aggiunta alle precedenti considerazioni sulla validità e sulla perdurante efficacia della pattuizione di interessi ultralegali, che la clausola sulla capitalizzazione di tali interessi non si pone in contrasto con l’art. 1283 cod. civ., il quale fissa i limiti ben precisi agli interessi anatocistici solo “in mancanza di usi contrari”, laddove invece nei rapporti di conto corrente bancario esiste un uso normativo, che è perfettamente legittimo.

Questa motivazione va condivisa, dato che nello specifico campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti l’anatocismo trova generale applicazione in tutte le operazioni di dare e di avere, e pertanto, si è in presenza di un uso normativo che corrisponde a quegli usi contrari richiamati dell’art. 1283 cod. civ. e, come tale, costituisce espressa eccezione al principio generale affermato da tale norma, che consente agli interessi scaduto di produrre interessi solamente dal giorno della domanda o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. (cfr. Cass. 15.12.1981 n. 6631).

E poiché, nella specie, non risulta contestato che le parti avessero preventivamente determinato in modo valido il tasso ultralegale degli interessi, non vi è ragione per negare che il richiamo all’uso normativo (derogativo del divieto di anatocismo) sia operante anche per la produzione degli interessi ulteriori nella stessa misura, anziché unicamente di quelli già scaduti al momento del recesso della banca.

Da ultimo rileva il Collegio che la questione relativa alle “commissioni e accessori” non è stata dedotta con l’atto di appello, sicché ha carattere di novità, ond’é inammissibile in questa sede, implicando anche indagini di merito.

Il ricorso va dunque integralmente respinto d i ricorrenti Foresti e Sulsenti, soccombenti, debbono essere condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità oltre gli onorari, che si liquidano come da dispositivo, in favore del resistente Banco di Sicilia.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto da Foresti Rosario e Sulsenti Rosa nei confronti del Banco di Sicilia avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania in data 2.12.1987 – 26.2.1988 e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio in L. 10.000 oltre gli onorari in L. 2.500.000 in favore della resistente.
Così deciso il 14.10.1991.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 GIUGNO 1992