Svolgimento del processo

Giovanna Gensini vedova Fedi adiva il Pretore di Firenze con ricorso depositato il 28.9.1978 con il quale esponendo che il marito Ennio Fedi era deceduto il 26.6.1976 a causa di una peritonite e che sussisteva nesso eziologico tra l’esito mortale ed un infortunio subito dallo stesso nel 1941 (enucleazione dell’occhio sinistro con insorgenza di manifestazione caratteriali ossessive curate con psicofarmaci che avevano ridotto le difese naturali dell’infortunato), ma che l’INAIL aveva respinto la domanda da lei presentata il 15.4.1977 perché proposta oltre la scadenza dei termini di cui all’art. 122 D.P.R. 15 giugno 1965, n. 1124, negando anche l’esistenza di un collegamento tra l’infortunio e la morte del Fedi, chiedeva dichiararsi che la morte del marito era conseguenza dell’infortunio sul lavoro del 5.12.41 e condannarsi l’INAIL a corrisponderle le prestazioni previste dal DPR 1124-1965 con decorrenza 26.6.1976, oltre gli accessori di legge.

L’INAIL eccepiva la prescrizione del diritto della ricorrente ex art. 112 DPR 1124-1965; la predetta aveva in ogni caso lasciato trascorrere inutilmente il termine perentorio di cui all’art. 122 dello DPR; nel merito rilevava l’infondatezza della pretesa.

Il Pretore condannava l’INAIL a corrisponderle alla Gensini la rendita superstiti con decorrenza 26.6.1976, nella misura di legge, oltre interessi legali e spese processuali.

Pronunziando sull’appello dello INAIL, cui resisteva la Gensini, il Tribunale di Firenze con sentenza 27.7-6.8.1981, in riforma della sentenza del Pretore, respingeva la domanda della Gensini e compensava interamente le spese processuali di entrambi i gradi.

Rilevava che al Fedi era stata corrisposta, a seguito dell’infortunio sul lavoro del 5.12.1941 in conseguenza del quale aveva perso l’occhio sinistro, la rendita nella misura del 40%.

L’INAIL aveva respinto il 14.3.1953 domanda ai aggravamento (insorgere di disturbi mentali di rilevante entità collegati alla enucleazione dell’occhio) per decorso dei 10 anni dalla costituzione della rendita; analogo esito aveva avuto altra domanda (provvedimento 14.5.1962) senza che il Fedi si fosse avvalso, in entrambi le occasione, del rimedio rappresentato dall’azione giudiziaria.

Osservava, quindi, che la pretesa del coniuge superstite concerneva la stessa richiesta di aggravamento già respinta e non impugnata dall’interessato nei tre anni (art. 112 T.U.) pur aumentati dei termini previsti per i ricorsi amministrativi. La domanda doveva essere, perciò, respinta. Rilevava anche che la norma dell’art. 8 legge 533-1973 atteneva alle preclusioni e decadenze verificatesi nel corso delle procedure amministrative e non all’istituto della prescrizione (art. 112) che trovava applicazione nella fattispecie.

La Gensini ha proposto ricorso con due motivi per la cassazione di detta sentenza. L’INAIL ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

La ricorrente con il 1° motivo denunzia violazione dell’art. 112 D.P.R. 30.6.1965, n. 1124 deducendo che ai fini della prescrizione occorreva far riferimento alla data della morte talché le sue domande rientravano nei termini di prescrizione dell’azione stabiliti dal citato art. 112. Il Tribunale, per superare tale considerazione, aveva posto in relazione la domanda di essa ricorrente con altre proposte anteriormente dalle stesso Fedi per l’aggravamento delle conseguenze dell’infortunio e respinto perché trascorsi più di 10 anni dalla costituzione della rendita.

L’unica questione di fatto ammissibile era se sussistesse nesso causale tra infortunio e morte.

Con il 2° motivo lamenta omesso di punto decisivo della controversia, assumendo che questo era quello del nesso eziologico tra infortunio e morte; il Tribunale aveva apoditticamente affermato che tale tema di fatto era identico a quello precedentemente proposto con domande di aggravamento dell’infortunio, eludendo in tal modo il “thema decidendum”.

La Corte osserva che i due motivi vanno congiuntamente esaminati siccome intimamente connessi.

Rileva, quindi, che il Tribunale, con accertamento di fatto, ha ritenuto essere risultato: che il Fedi, a seguito dell’infortunio del 5.12.1941, aveva perduto l’occhio sinistro e che gli era stata corrisposta rendita nella misura del 40%; che l’istituto aveva respinto il 14.5.1953 domanda di aggravamento (insorgenza di disturbi mentali collegato all’enucleazione dello occhio) per essere decorsi 10 anni dalla costituzione della rendita avvenuta nell’aprile 1942 e che analogo esito aveva avuto altra domanda (provvedimento 14.5.1962) senza che il Fedi si fosse avvalso, in entrambe le occasioni, del rimedio dell’azione giudiziaria.

Osserva, quindi, che le conclusioni cui è giunto il Tribunale, date le promesse consistenti nei suddetti fatti, non appaiono censurabili.

Invero l’esercizio del diritto di revisione della rendita per peggioramento delle condizioni fisiche del titolare della medesima, derivante dall’infortunio che ha dato luogo alla sua costituzione, è fissato in 10 anni (implicitamente dal 6° e 7° comma dell’art. 83 T.U. 1124 del 1965), decorrenti dalla data di costituzione della rendita: deve ritenersi, quindi, che a mente di tale disposizione le condizioni dell’infortunato devono intendersi stabilizzate nel senso che, trascorsi i termini utili per l’ultima revisione, il diritto alla revisione della rendita non può essere più esercitato.

Nella fattispecie, come accertato dal Tribunale, l’INAIL aveva respinto due domande del Fedi di aggravamento (insorgenza di disturbi mentali collegati all’enucleazione dello occhio), né contro i relativi provvedimenti era stata esperita azione giudiziaria. Al che consegue che l’aggravamento suddetto non era più rilevante nei confronti dell’INAIL.

La domanda della ricorrente nel presente giudizio, in effetti, collega la morte del Fedi all’infortunio del 1941 ed all’aggravamento anzidetto: esattamente il Tribunale ha osservato che la pretesa della ricorrente concerneva la stessa richiesta di aggravamento già respinta. In effetti, come visto, la domanda di aggravamento respinta riguardava proprio l’insorgenza di disturbi mentali collegate all’enucleazione dell’occhio sinistro, per cui è evidente che la ricorrente, in sostanza, fondava l’attuale pretesa pur sempre su quell’aggravamento non più non più opponibile all’INAIL; ciò in quanto assumeva che la morte era dipendente dalle ridotte difese naturali del marito, tali (ridotte) in conseguenza della cura con psicofarmaci della malattia mentale. In altri termini la morte sarebbe stata una conseguenza del già dedotto aggravamento, rispetto al quale l’INAIL aveva, a suo tempo, respinto le relative istanze: queste non erano più tutelabili, in via giudiziaria, per decorso del termine di cui all’art. 112 T.U. 1124-65. Se, quindi, i postumi dell’infortunio del 1941 dovevano intendersi stabilizzati, nel senso che l’aggravamento rappresentato dai disturbi mentali non era più azionabile, non si vede come lo possa essere (azionabile) nei confronti dell’INAIL una pretesa fondata su un evento (morte) dedotto come conseguenza di tale aggravamento (disturbi mentali curati con psicofarmaci) quando questo non era più opponibile all’INAIL. Nella successione dei prospettati fattori causali (infortunio dell’occhio; aggravamento per disturbi mentali curati con psicofarmaci; conseguente riduzione delle difese naturali e, quindi, morte) vi è un anello, quello centrale, rappresentato dall’aggravamento anzidetto per il quale l’azione giudiziaria nei confronti dell’INAIL era prescritta: non poteva trovare diversa sorte, cioé accoglimento, una domanda fondata pur sempre su un antecedente causale (come prospettato dalla ricorrente) dell’evento morte per il quale ormai escluso il rimedio giudiziario.

Il ricorso va, perciò, respinto.

Non ricorrono i requisiti di ordine soggettivi ed oggettivi necessari ex art. 152 disp. att. c.p.c. per porre le spese a carico della soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 FEBBRAIO 1986