Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 10 ottobre 1970 Gino Certelli, Alberto Cingolani e Domenico Di Paolo, condomini del complesso di edifici siti in Roma, via Agostino Dati nn. 10 – 14, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Caterina Santoro, proprietaria dell’appartamento int. 12 sito al piano attico della palazzina B e del sovrastante appartamento int. 14 al piano superattico, nonché il condominio di detto complesso, esponendo che la Santoro aveva abusivamente eseguito varie opere che pregiudicavano la stabilità, la sicurezza e l’estetica del fabbricato condominiale, riducevano la aerazione e l’illuminazione naturale dei piani inferiori e alteravano la destinazione di una parte della terrazza comune; in particolare, la Santoro aveva ingrandito l’appartamento int. 12 costruendo un nuovo locale in muratura sul terrazzo a livello, aveva ingrandito l’appartamento int. 14 costruendo altro nuovo locale insistente in parte sulla copertura dell’ampliamento predetto ed in parte sul terrazzo condominiale; inoltre si era appropriata di parte del lastrico solare non praticabile di proprietà condominiale posto a livello del piano superattico, spostando la ringhiera che segnava il confine della sua proprietà con quella comune.

Gli attori, pertanto, premesso che la Santoro alle loro rimostranze aveva obiettato che le nuove opere erano state autorizzate dall’assemblea dei condomini con delibera del 23 giugno 1968, chiesero che – dichiarandosi eventualmente nulla od annullandosi tale delibera – venissero dichiarate illecite sia le eseguite costruzioni sia l’occupazione di parte del terreno non praticabile di proprietà condominiale riportando nell’originaria posizione la ringhiera divisoria e che infine al convenuta venisse condannata a risarcire i danni, da liquidarsi in separata sede.

Il condominio restò contumace mentre la Santoro, costituitasi, contestò la domanda, sostenendo che i terrazzi sui quali erano state eseguite le opere erano di sua proprietà, che la residua parte del terrazzo superattico apparteneva alla soc. Sicomedil e che le costruzioni erano state autorizzate dal condominio e non comportavano pregiudizi né pericoli per lo stabile condominiale.

Il Tribunale, all’esito di consulenza tecnica e prova orale, accolse integralmente le domande del Certelli e del Di Paolo, dichiarando illegittime le costruzioni nonché l’occupazione di parte del terrazzo condominiale e conseguentemente condannò la Santoro a demolire le costruzioni ed a rilasciare al Certelli ed ad Di Paolo, nella loro qualità di condomini, la parte di terrazzo occupata, previo spostamento della ringhiera divisoria nella posizione originaria; condannò altresì la Santoro al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede. Rigettò invece la domanda del Cingolani per difetto di legittimazione attiva ad causam. Tale decisione, gravata di appello dalla Santoro, venne confermata dalla Corte di appello di Roma che, con sentenza del 14 gennaio – 9 settembre 1981, rigettò il gravame, rilevando:

a) era infondato il secondo motivo di appello, con il quale la Santoro si era doluta che i primi giudici avessero ritenuto, nonostante il parere contrario del consulente tecnico di ufficio, che le costruzioni fossero pregiudizievoli per la stabilità dell’edificio: infatti, se era vero che detto consulente aveva ritenuto di escludere l’esistenza di un pericolo attuale per l’edificio poiché i margini di sicurezza con cui usualmente vengono calcolati i pilastri di cemento armato nonché le fondazioni erano tali da assorbire l’incremento di peso derivante dalle nuove costruzioni, non solo ciò integrava una mera ipotesi del consulente ma inoltre non escludeva l’illegittimità delle nuove opere in quanto l’assorbimento del margine di sicurezza suindicato determinava da un lato violazione del diritto degli altri condomini di fare pari uso delle strutture dell’edificio e da un altro alterazione rilevante della destinazione delle strutture; d’altra parte il consulente di ufficio non aveva escluso l’esistenza di un pericolo attuale per alcune determinate strutture (quelle sulle quali gravavano direttamente le nuove costruzioni al lato nord) ed al riguardo la Santoro si era limitata ad eccepire che a coronamento del piano attico preesisteva una trave in cemento armato; senonché la prova orale in punto richiesta dalla stessa non era ammissibile trattandosi di un’indagine tecnica mentre la Santoro non aveva chiesto in punto un accertamento tecnico;

b) era altresì infondato il terzo motivo di appello, col quale la Santoro aveva sostenuto che lo stabile non aveva uno stile architettonico meritevole di essere tutelato: invece, prima delle nuove opere realizzate dall’appellante, lo stabile aveva una gradevole linea architettonica, che era stata gravemente compromessa dalle dette opere;

c) era pure infondato il quarto motivo di appello, col quale la Santoro aveva negato di avere occupato parte del terrazzo condominiale: invece, dalla consulenza tecnica tale occupazione emergeva in modo chiaro ed era stata confermata in sede di supplemento di consulenza;

d) era pertanto infondato il primo motivo di appello – da trattarsi per ragioni logiche dopo gli altri – col quale la Santoro aveva dedotto la validità delle delibere condominiali che avevano autorizzato i lavori da lei effettuati: infatti, una volta accertato che tali lavori avevano leso diritti dominicali dei singoli condomini, ne derivava che l’approvazione di tali lavori esorbitava dai poteri dell’assemblea condominiale.

Avverso tale sentenza la Santoro ha proposto ricorso, chiedendone la cassazione per tre motivi, cui il Certelli ed il Di Paolo hanno resistito con congiunto controricorso.

Gli altri intimati (Cingolani e condominio) non si sono costituiti in giudizio.

I resistenti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di gravame – che vanno congiuntamente trattati data la loro connessione – La Santoro propone le seguenti censure avverso la decisione impugnata:

a) i giudici di merito non hanno tenuto conto del fatto che si era in presenza di mere modifiche della proprietà individuale di essa ricorrente, modifiche che non comportarono alcun mutamento delle cose comuni e tanto meno dei diritti dominicali degli altri condomini; al massimo poteva parlarsi di innovazioni non vietate e che erano state autorizzate dall’assemblea dei condomini con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c. (violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1136 C.C. in relazione all’art. 360 n. 3 cpc);

b) i giudici di merito hanno travisato il giudizio espresso dal consulente tecnico di ufficio il quale ha escluso che la sopraelevazione effettuata dalla Santoro abbia pregiudicato la statica dello stabile; lo stesso dicasi quanto alla ritenuta menomazione dell’estetica dell’edificio che in realtà è un fabbricato popolare, privo di alcuna dignità e decoro architettonico degni di tutela (travisamento dei fatti di causa nonché omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, vedi art. 360 n. 5 cpc).

Tali doglianze non sono fondate, pur se è necessario rettificare qualche affermazione giuridicamente inesatta dei giudici di appello.

Va invero tenuto presente che l’art. 1127 C.C. subordina il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano a tre limiti, dati dalle condizioni statiche dell’edificio, dal turbamento delle linee architettoniche dello stesso e dalla diminuzione notevole di aria e luce nei riguardi dei piani sottostanti; e, mentre in ordine al primo vieta direttamente la sopraelevazione (comma 2°), in ordine agli altri due limiti ammette esplicitamente la facoltà di opposizione dei condomini.

Va precisato che, in ordine alla statica dell’edificio, il divieto perentorio della norma comporta la sola possibilità che col consenso unanime dei condomini venga autorizzato il proprietario dell’ultimo piano ad effettuare opere di rafforzamento delle condizioni statiche dell’edificio sì da renderlo idoneo (se non lo era in precedenza) a sopportare il peso della nuova costruzione; mentre in ordine agli altri due limiti l’opposizione degli altri condomini è facoltativa e la relativa facoltà rientra nel potere individuale di ciascuno degli altri condomini, cioé non spetta affatto al potere della maggioranza dell’assemblea condominiale.

Inesattamente quindi i giudici di merito hanno affermato che la sopraelevazione in questione cozza contro il potere degli altri condomini di fare pari uso delle strutture portanti dell’edificio: l’errore è duplice in quanto da un lato, spettando il potere di sopraelevazione solo al proprietario dell’ultimo piano e tale essendo la sola Santoro, è a priori esclusa la possibilità per alcuno degli altri condomini di effettuare un analogo pari uso delle strutture condominiali e da un altro, essendo applicabile l’art. 1102 solo in quanto non contrastante con l’espressa previsione dell’art. 1127 C.C. (vedi art. 1139), è chiaro che il sopraelevante trova, in relazione alla statica dell’edificio, lo unico limite della mancanza di pericolo per tale statica.

Tutto ciò è però solo marginale nella motivazione dei giudici di merito in ordine al pericolo derivante dalla effettuazione della sopraelevazione in questione per la statica dell’edifici; è invero assolutamente assorbente e decisiva in punto la circostanza, da detti giudici accertata, che le strutture dell’edificio vennero create in modo da sopportare il della originaria costruzione, mentre la sopraelevazione creò un sovraccarico di peso dell’11,5%. Ed esattamente i giudici di merito non hanno tenuto in alcun conto al riguardo la mera opinione del consulente tecnico di ufficio secondo cui usualmente i margini di sicurezza con cui vengono calcolati i pilastri di una struttura di cemento armato nonché le fondazioni sono tali da assorbire il detto incremento di peso: invero, sarebbe stato onere della Santoro dimostrare che effettivamente le dette strutture erano in grado di sopportare un tale sovraccarico, mentre la ricorrente non deduce nemmeno di avere mai offerto alcuna prova in punto.

Ciò sarebbe sufficiente a respingere i primi due motivi di gravame, essendo evidente da un lato che la maggioranza dell’assemblea condominiale (e nemmeno la totalità dei condomini) non avrebbero potuto consentire la realizzazione di una sovraelevazione determinante pericolo per la statica dello edificio e da un altro che l’altra autonoma ragione per cui i giudici di merito hanno ritenuto non consentita la sopraelevazione (mancato rispetto della linea architettonica dell’edificio) resta priva di incisività nell’economia della decisione una volta che resta indenne dalle censure della ricorrente la parte di motivazione concernente il pericolo per la statica dell’edificio.

Giova solo soggiungere, in relazione alla questione del rispetto della linea architettonica dell’edificio, quanto segue:

1) la legge intende tutelare non già i soli edifici che presentino una linea architettonica artistica o pregevole sibbene la linea architettonica che qualsiasi edificio presenta, cioé la linea che rappresenta l’esterna armonia di qualsiasi struttura, anche se di carattere popolare o rustico, per cui è priva di rilievo l’affermazione della ricorrente che l’edificio de quo non ha una linea estetica da tutelare trattandosi di un edificio popolare;

2) inesattamente la ricorrente afferma che i condomini Certelli e Di Paolo prestarono il loro consenso alla sopraelevazione in occasione della delibera 23 giugno 1968 e censura la decisione di merito per avere tenuto conto di tale delibera: invero, l’esame di quest’atto (esame necessario onde accertare se la denuncia di omessa valutazione di documento decisivo sia o meno fondata) evidenzia che i resistenti non parteciparono affatto all’assemblea del 23 giugno 1968 che alla unanimità dei presenti (non dei condomini) approvò la sopraelevazione in questione, mentre furono invece presenti e consenzienti in occasione della precedente assemblea del 30 giugno 1967 nella quale la Santoro venne autorizzata solo a chiudere con vetrate il suo attico, il che – è chiaro – è cosa ben diversa dalla creazione di una nuova opera in muratura. Non può quindi dalla Santoro invocarsi un preteso consenso degli attuali resistenti alla effettuazione della sopraelevazione, consenso che, essendo anteriore a tale opera, avrebbe tolto agli stessi il potere di fare opposizione, in relazione alla tutela dell’aspetto architettonico alla sopraelevazione.

Vanno quindi rigettati i primi due motivi del ricorso. Col terzo motivo di gravame si censura la statuizione di merito nella parte in cui questa ha dato atto che la Santoro ha invaso parte del terrazzo condominiale: in punto la ricorrente – deducendo omesso esame su un punto decisivo della controversia e falsa applicazione degli artt. 191 – 196 cpc. (art. 360 nn. 3 e 5 cpc) – si duole che i giudici di merito non abbiano tenuto conto del fatto che l’omessa occupazione del lastrico condominiale risultava in parte dimostrata tramite testi e non abbiano spese una sola parola per rigettare l’istanza istruttoria inutilmente sollecitata in ambo i gradi di merito.

Anche tale doglianza è pienamente infondata. I giudici di appello, invero, hanno in punto espressamente spiegato la loro affermazione, facendo riferimento alle risultanze della consulenza tecnica nonché del supplemento di consulenza all’uopo espletato: il mezzo istruttorio chiesto dalla Santoro in punto era costituito (vedi conclusione in epigrafe della decisione di merito) dalla effettuazione di una ulteriore consulenza, ma ciò rientrava nel potere discrezionale, assolutamente insindacabile in sede di legittimità, dei giudici di merito i quali hanno ritenuto sufficienti in proposito le indagini tecniche già espletate; d’altra parte la ricorrente non deduce nemmeno se e quali critiche essa abbia formulato in gradi di appello nei confronti di tali indagini tecniche e fa appello, in modo assolutamente generico e quindi inaccettabile in sede di legittimità, a disposizioni testimoniali di cui essa non indica affatto il contenuto e che a suo stesso dire avrebbero dimostrato solo parzialmente l’insussistenza dell’invasione del terrazzo condominiale.

Anche il terzo motivo di gravame va quindi respinto. Pare il caso di compensare per intero le spese tra le parti costituite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Roma, 29 novembre 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 MAGGIO 1986