Svolgimento del processo

Vittorio Pedrinazzi adiva il Pretore di Pisa con ricorso depositato il 19.6.80 con il quale esponeva: che aveva subito infortunio sul lavoro l’8.11.1974 e che si era rivolto al Patronato INCA di Volterra, che con lettera raccomandata del 23.6.1977 aveva inutilmente sollecitato l’INAIL a “ricercare il caso e fornire informazioni sullo stato attuale dello stesso; che, ad una successiva lettera dello Avv. Nannipieri l’Istituto aveva risposto, eccependo la prescrizione ex art. 112-1° comma T.U. 30.6.1965, n. 1124.

Assumendo, per contro, che la prescrizione era stata interrotta con la menzionata lettera raccomandata 23.6.1977 il Pedrinazzi chiedeva la condanna dell’INAIL a riconoscerlo invalido ed a corrispondergli le indennità spettantegli a seguito dell’infortunio.

L’INAIL eccepiva la prescrizione di cui all’art. 112-1° comma, rilevando che questi poteva essere interrotta solo dall’inizio dell’azione giudiziaria.

Il Pretore con sentenza 14.5.-2.6.1981 dichiarava che al Pedrinazzi, dall’infortunio subito l’8.11.74, erano residuati postumi permanenti che ne diminuivano la capacità lavorativa nella misura del 18% e condannava l’INAIL a corrispondergli la relativa rendita, con la decorrenza di legge e gli interessi dei ratei arretrati.

L’INAIL proponeva appello, cui resisteva il Pedrinazzi. Il Tribunale di Pisa, con sentenza 6-21 gennaio 1982 respingeva appello e confermava la sentenza.

Il Tribunale riteneva: che la lettera 23.6.1977, pur contenendo una richiesta di informazioni circa lo stato della pratica amministrativa, non ha finalità meramente conoscitive, ma tende a sollecitare la definizione della pratica e la corresponsione delle prestazioni assicurative: è atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c., ogni atto che valga a costituire in mora il debitore; quindi anche una lettera che esprima in modo inequivoco l’intenzione di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.

Quanto all’assunto secondo cui le stesse ragioni che giustificano una più breve termine di prescrizione per il diritto al risarcimento danno da infortunio, giustificano altresì la limitazione degli effetti interruttivi della prescrizione medesima alla proposizione della sola domanda giudiziaria, osserva che se così fosse, tutte le prescrizioni brevi dovrebbe essere interrompibili solo con l’azione giudiziaria.

Rileva ancora che la limitazione della efficacia interruttiva a tale solo domanda era frutto di una elaborazione giurisprudenziale che è in contrasto con le indicazioni dell’art. 38-2° Cost., e non trova sostegno nella vigente normativa, non derogando alcuna norma del T.U. n. 1224 alle regole generali poste dall’art. 2943 C.C..

Osserva, poi, che non si può argomentare dal disposto del 4° comma dell’art. 112 per concludere che, al di fuori dei casi ivi previsti, nessun atto diverso dalla preposizione dell’azione giudiziaria possa avere efficacia interruttiva della prescrizione, e pretendere che, quando ci si indirizza al vero obbligato, soltanto l’azione giudiziaria possa interrompere la prescrizione e non anche agli atti proposti in sede amministrativa.

Ricorre per l’annullamento di tale sentenza l’INAIL. Resiste con controricorso il Pedrinazzi. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorrente con unico mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 111 e 112 D.P.R. 30.6.1965, n. 1124, difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.), deducendo, che secondo l’insegnamento di questa Corte, il termine di cui all’art. 112-1° comma D.P.R. 1124-65 può essere interrotto, per il suo carattere speciale, solo per effetto della proposizione della domanda giudiziaria. Non è possibile riconoscere effetto interruttivo a qualsiasi istanza, oppure ad un eventuale prosecuzione della fase amministrativa (il tempo massimo di sospensione della prescrizione in riferimento alle esigenze istruttorie della procedura in sede amministrativa, è di giorni 150).

La Corte ricorda che, per ormai consolidato orientamento il termine prescrizionale di cui all’art. 112-1° comma, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124 ha carattere speciale. Il detto termine triennale (come già ritenuto dalla Corte Costituzionale) trova giustificazione nell’esigenza che il diritto al risarcimento del danno da infortunio sia accertato nel più breve tempo possibile, nell’interesse dello stesso danneggiato e per ovvie ragioni obiettive concernenti la raccolta delle prove.

Questa Corte ha ritenuto, poi, che ragioni analoghe possono rinvenirsi per quanto riguarda la limitazione degli effetti interruttivi della stessa prescrizione alla sola proposizione dell’azione giudiziaria, sussistendo le stesse obiettive esigenze, relative alla celerità dell’accertamento ed all’acquisizione e conservazione delle prove, esigenze che non sussistono, invece per il diritto alle prestazioni previdenziali previste per le infermità comuni, in cui l’accertamento ha per oggetto solo l’esistenza e la natura delle stesse infermità.

La corte non ritiene di doversi discostare dal suo consolidato orientamento in ordine alla limitazione, in tema di interruzione della prescrizione “de qua”, nel senso che atti o richieste dell’assicurato (che non siano ovviamente l’esercizio dell’azione giudiziaria) non possono interrompere il corso della già iniziata prescrizione.

Né può ritenersi che, se così fosse, tutte le prescrizioni brevi dovrebbero essere interrotte dal creditore solo mediante la azione giudiziaria, mentre il codice civile ne disciplina numerosi casi, senza tuttavia sottrarle alle regole generali in tema di interruzione: la “ratio” della speciale disciplina della interruzione della prescrizione di cui all’art. 112-1° comma D.P.R. 1124-1965 va pur sempre ricercata nelle particolari esigenze sopra ricordate; tali esigenze legate alla celerità dell’accertamento ed all’acquisizione delle prove nel più breve tempo possibile potrebbero, in concreto, venire frustrato ove si ammettesse la possibilità dell’assicurato di interrompere il corso della prescrizione con atti diversi dalla istanza giudiziaria; in tal modo potrebbe essere reiteratamente interrotta la prescrizione a discapito di quell’esigenza di certezza ed immediatezza degli accertamenti rivolti al riconoscimento della tutela previdenziale e, quindi, a discapito dell’obiettiva esigenza di celerità inerente la raccolte delle prove.

E’, quindi, nello stesso sistema della prescrizione di cui al citato art. 112 T.U. 1124-65 e nella “ratio” che lo sorregge la deroga alla regola generale circa gli atti che il creditore può compiere ad effetti interruttivi della prescrizione stessa, (né d’altra parte, l’art. 112 T.U. richiama il testo dell’art. 2943 C.C.). In conclusione dal combinato disposto degli art. 111 – 112 T.U., dalla loro lettura complessiva, emerge l’intento del legislatore di limitare, come sopra, gli atti aventi efficacia interruttiva (oltre quelli aventi efficacia sospensiva) della prescrizione.

Né, infine, può ravvisarsi, perciò, contrasto con l’art. 38-2° comma Costituzione. Questa Corte ha già escluso (vedi, in tali sensi, tra le altre: 24.1.1984, n. 587) che la limitazione alla proposizione dell’azione giudiziaria, giustificata, come la previsione del termine triennale, da obiettare esigenze di celerità concernenti la raccolta delle prove non rappresenta un limite irrazionale al libero esercizio in sede giurisdizionale dei diritti dell’assicurato, che non sono compromessi dalla previsione di un termine concepibile anche nei confronti dei diritti costituzionalmente garantiti.

Il ricorso è, quindi, fondato e va accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio ad altro Tribunale, che si uniformerà ai principi sopra indicati. Tale tribunale si designa in quello di Lucca e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la impugnata sentenza e rinvia la causa anche per le spese al Tribunale di Lucca.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 30 GENNAIO 1986