Svolgimento del processo

Con ricorso in data 18 maggio 1979 diretto al Pretore di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, Rocco Dell’Angelo – convenendo in giudizio l’I.N.A.M. – chiedeva che l’Istituto convenuto venisse condannato a corrispondergli l’indennità di malattia per la durata di cinque giorni; indennità che gli era stata illegittimamente rifiutata per il rilievo che l’assicurato, in occasione di un periodo di astensione del lavoro per malattia, non si era voluto sottoporre ad un visita di controllo disposta dall’Istituto.

L’adito Pretore, in contraddittorio con l’Istituto costituito (che, ribadendo il rifiuto alla liquidazione dell’indennità di malattia per le ragioni già dedotte in sede amministrativa, chiedeva il rigetto della pretesa ex adverso formulata), con sentenza pronunciata in data 28 Nov. – 24 dic. 1979 accoglieva la domanda ed osservava in motivazione: – che arbitrario doveva ritenersi il rifiuto dello Istituto a liquidare la richiesta indennità di malattia, perché fondato su di una norma contenuta nel Regolamento interno dell’Istituto medesimo (ed approvato dal suo Consiglio di Amministrazione) avente riferimento ad ipotesi corrispondenti a quella dedotta in giudizio;

– che tale regolamento, infatti, avente esclusivamente efficacia nei rapporti interni in relazione alla determinazione degli organi dell’Istituto, non può però limitare in alcun modo il diritto degli assicurati al conseguimento delle prestazioni previdenziali e di malattia previste dalla legge.

Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione l’I.N.A.M. (ora sostituito ex lege dal Ministero del Tesoro Ufficio Liquidazioni INAM) e deduce un unico motivo complesso di annullamento variamente articolato.

Resiste con controricorso Dell’Angelo Rocco.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo del ricorso, denunziando la violazione dell’art. 4 del Regolamento delle prestazioni economiche degli assicurati Inam; dell’art. 32, 2° comma lettere b) del C.C.N. 3 gennaio 1939, e dell’art. 6, 4 comma Legge 11 gennaio 1943 n. 138 ( art. 360 n. 3 C.P.C.) si duole l’Istituto ricorrente della sentenza impugnata, per avere il Pretore accolto la domanda dell’assicurato, per l’erroneo rilievo che la norma regolamentare applicata (art. 4) – cui si è uniformato l’Istituto nel rifiutare la richiesta indennità di malattia, avendo una efficacia esclusivamente “interna”, non può comportare in alcun modo limitazioni del diritto degli assicurati ad ottenere le prestazioni di legge, e deduce:

– che l’art. 4 del regolamento citato non è altro che un “adattamento” all’assicurazione di malattia dell’art. 32 del C.C. nazionale 3 gennaio 1939;

– che è attuale e corretto il rinvio che l’art. 6, comma 4° L. 11.1.1943 n. 138 fa ai contratti collettivi “corporativi” quali fonti atte ad integrare la schematica disciplina legislativa dell’assicurazione di malattia gestita dall’I.N.A.M., e ciò, conformemente anche all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte in “subiecta materia”;

– che d’altra parte il mancato controllo dell’Istituto per fatto dell’assicurato si risolve in definitiva nella “prova negativa” che esso sia stato nell’impossibilità di lavorare, e non può comportare

– come conseguenza – che il giustificato disconoscimento dell’indennità di malattia da parte dell’Istituto stesso, ricorrente, avendo il lavoratore con il suo comportamento negativo – precluso all’Istituto assicuratore di accertare tempestivamente lo stato di malattia denunziato.

Le censure sono fondate (nei limiti qui di seguito precisati). Quanto alle prime, essi si appuntano sulla soluzione (negativa), meramente formalistica, adottata dal giudice di merito in ordine alla problematica relativa alla validità ed efficacia delle limitazioni del diritto dell’assicurato all’indennità di malattia, prevista da norme “regolamentari” interne dello stesso Istituto assicuratore (ed adottate dal suo Consiglio di Amministrazione) o comunque da fonti di diritto di rango “inferiore” (C.C.N.L. “corporativo” 3 gennaio 1939).

In relazione ad esso si può osservare quanto segue:

– come è noto l’I.N.A.M. è stato costituito con Legge 11 gennaio 1943 n. 138 la quale, nella prima parte dell’art. 6, indica in otto “voci” diverse le varie forme di assistenza che l’Ente o Istituto è tenuto a fornire ai lavoratori-assicurati.

Il n. 8 della prima parte del citato art. 6 prevede l’erogazione di una indennità di malattia: il 4° comma dello stesso articolo stabilisce poi che l’assistenza di cui al n. 8 richiamato deve essere prestata” …. nei limiti, nella misura e secondo le modalità che verranno determinate nazionalmente delle associazioni sindacali a mezzo di contratti collettivi e da deliberazioni dei loro competenti organi, ovvero dal decreto di cui al secondo comma dell’art. 4 ….” (decreto del Capo dello Stato).

Ma, come è noto, nessun “contratto collettivo” è stato poi stipulato, nessuna delibera è stata adottata, nessun regolamento è stato emesso al riguardo, con le forme previste (decreto del Capo dello Stato) dalla legge.

Secondo l’assunto difensivo sostenuto dallo Istituto ricorrente (che ribadisce sostanzialmente quello delineato nel giudizio di merito), sono applicabili, però al caso di specie (in cui è risultato, in linea di fatto, che il lavoratore-infermo non si è voluto sottoporre alla visita fiscale domiciliare di controllo, essendo risultato assente da casa senza giustificato motivo, in violazione delle prescrizioni mediche al riguardo impartite): 1°) l’art. 32 del C.C.N.L. interconfederale 3 gennaio 1939 (“corporativo”, avente efficacia “erga omnes” e tuttora in vigore per il noto principio della ultrattività dei contratti collettivi “corporativi”) che dispone la “decadenza” dello assistito-iscritto dal diritto a tutte le prestazioni previdenziali previste, allorquando l’assicurato si rifiuti di sottoporsi alla visita del medico di controllo e non segua le cure mediche prescritte dall’INAM; 2°) l’art. 4 del regolamento deliberato dal Consiglio di Amministrazione dello stesso Istituto ed approvato dal Ministero del lavoro in data 16 maggio 1963, nel testo modificato ed integrato dalla “circolare” 14 febbraio 1967 n. 12 dello stesso Ministero, che prevede la “sospensione” della erogazione dell'”indennità” di malattia, per un periodo della durata minima di cinque giorni, nell’ipotesi in cui il lavoratore-malato non si è presentato alla visita fiscale di controllo.

Il Pretore, nell’accogliere la domanda dello assicurato, diretta ad ottenere l’integrale erogazione della indennità di malattia (nonostante che il lavoratore non si fosse sottoposto alla visita fiscale domiciliare di controllo da parte dei sanitari incarica dall’Istituto, perché risultato ingiustificatamente assente da casa) ha tuttavia ritenuta “arbitraria” la “trattenuta” dell’indennità medesima operata dall’Istituto, perché basata su norme “regolamentari” interne dell’INAM e che, non avendo rilievo alcuno nei rapporti esterni con gli assistiti-assicurati, non potevano pertanto portare limitazioni di sorta al diritto dell’assicurato di ottenere prestazioni previdenziali ed assicurative, previste dalla legge.

Il problema così proposto dalla decisione impugnata e dalle specifiche censure dell’Istituto ricorrente, è stato risolto inizialmente – essendo già stato devoluto in precedenza al vaglio di legittimità, – con un orientamento giurisprudenziale uniforme, costante, di questa Corte (anche Sezioni Unite cfr. 3760-1980) anche se limitatamente alle norme regolamentari “interne” dell’Istituto, con riferimento alla previsione degli “effetti” derivanti dall’omesso o ritardato inoltro della prescritta certificazione medica di malattia all’Istituto (entro il termine al riguardo prescritto), in senso contrario a quello proposto dall’Istituto ricorrente, ed in linea con il giudizio formulato dal giudice di merito.

Si è osservato infatti (cfr. Cass. 4084-1974; Cass. 1971-1978; Cass. 1988-1978; Cass. 3048-1978; Cass 4512-1979);

– che l’erogazione dell’indennità di malattia (quando dovuta ex art. 6, comma 1°; L. citata 138-1943) costituisce un obbligo istituzionale dell’I.N.A.M., per cui eventuali esclusioni o limitazioni del correlativo diritto dell’assicurato alla indennità medesima non possono che essere riservate alla legge o alle norme ad essa “equiparate”;

– che la legge istitutiva (L. 138-1943: art. 11, comma 1°) ha rinviato espressamente alla contrattazione collettiva nazionale ed alle relative delibere adottate dagli organi a ciò destinati ed ai regolamenti (da approvarsi con decreto del Capo dello Stato) le modalità di accertamento del diritto degli assicurati alla assistenza prevista dalla legge;

– che nessun contratto collettivo (corporativo) è stato successivamente stipulato al riguardo, e nessun regolamento amministrativo è stato emanato con le forme previste dalla legge:

– che non possono certamente equipararsi i regolamenti “interni” adottati dall’Istituto (attraverso il suo Consiglio di Amministrazione, privo peraltro di autonomo potere (interno) di autodeterminazione ex art. 17 n. 3 L. citata 138-1943) i quali, pertanto, aventi efficacia limitata ex. art. 4 disp. sulla legge “in generale”,non possono certamente introdurre esclusioni o limitazioni al diritto degli assicurati, non previste da norme di legge o da norme ad esse “equiparate”;

– che neppure le norme collettive di natura “corporativa” (C.C.N.L. interconfederale 3 gennaio 1939) esistenti, ed ancora in vigore nel nostro ordinamento (ma non stipulate successivamente alla L. 138-1943, ed in attuazione di questa ultima), possono comunque comminare sanzioni o decadenze al riguardo, non avendo la forza di derogare alle disposizioni imperative delle leggi e dei “regolamenti” (art. 7 disp. sulle leggi in generale).

Recentemente però la giurisprudenza di questa Corte, nell’evidente tentativo di temperare il rigido e rigoroso orientamento giurisprudenziale precedentemente adottato allo scopo di (giustamente) tutelare le esigenze pubbliche correlate alla imponente e gravosa “gestione” della assicurazione sociale contro le malattie, e, quindi, in definitiva gli stessi interessi della collettività, ha ritenuto “valide ed efficaci” (Cass. 2354-1980; Cass. 0324-1984; Cass. 3884-1984) anche le fonti di diritto di “rango inferiore” sopra richiamate, ai fini che qui interessano, e ha ritenute “legittime” le sanzioni al riguardo previste nei confronti dell’assicurato che non ottemperi alle prescrizioni mediche o che non si sottoponga alle necessarie visite di controllo (domiciliari o ambulatoriali) e cioé la riduzione o la sospensione dell’indennità di malattia. E ciò per il rilievo che, ritenuto necessario e indispensabile l’accertamento ed il controllo della malattia da parte dell’Istituto assicuratore, ai fini della prevista erogazione della indennità di malattia, deve essere adeguatamente valutato (e quindi sanzionato) il comportamento dell’assicurato – assistito che abbia in qualche modo frapposto ostacoli a tali accertamenti e tali controlli, precludendo all’Istituto l’accertamento “tempestivo”, utile ed opportuno dello stato invalidante.

Orbene, anche se in realtà non si può ulteriormente condividere tale recente e non consolidato orientamento giurisprudenziale (diretto soprattutto, sia pure con apprezzabili intenti e per ragioni di pubblico interesse, a colmare il “vuoto” legislativo esistente in materia, e in relazione al quale finalmente il legislatore ha ritenuto ora di provvedere, ma non retroattivamente: cfr. art. 5, comma 14° D.L. 12 settembre 1983 n. 463 conv. in L. 11 Nov. 1983 n. 638), per la determinante, decisiva ed insuperabile rilevanza degli argomenti, rigorosamente giuridici, che fanno da valido supporto al contrario, precedente orientamento, il ricorso tuttavia, pur riproponendo la contestata linea difensiva dell’Istituto, può trovare comunque accoglimento sulla base delle ulteriori censure dedotte che propongono, anche se non specificamente, ed in modo vago ed indeterminato, il vero e decisivo problema sostanziale la cui soluzione consente, esclusivamente sul piano del diritto, di enunciare corretti principi, utili per la regolamentazione della materia controversa dell’attuale giudizio.

In realtà il giudice di merito, dopo aver seguito, nei termini suindicati, la soluzione meramente formalistica del complesso problema proposto al suo esame della materia controversa del processo, ha pretermesso ogni e qualsiasi valutazione della condotta dell’assicurato – assistito che, nel caso concreto, per non essersi sottoposto (é pacifico) alla necessaria visita di controllo domiciliare (perché risultato assente ingiustificatamente da casa) da parte dei sanitari incarica dall’Istituto, ha sostanzialmente precluso all’Ente assicuratore di potere effettuare quei tempestivi e necessari accertamenti sull’effettivo stato di infermità del lavoratore – assicurato medesimo.

Orbene, indipendentemente dalle “sanzioni” al riguardo previste dalle richiamate disposizioni di rango “inferiore” (e correttamente disapplicate dal giudice del merito), esiste indiscutibilmente nell’ordinamento dell’assicurazione sociale e, in particolare, in quello dell’assicurazione contro le malattie, la regola fondamentale di “comportamento” per cui l’assicurato – assistito, per avere diritto alle prestazioni previdenziali ed assicurative, è tenuto a porre l’assicuratore nelle condizioni di esercitare tutti quei controlli ed accertamenti necessari per verificare la sussistenza della malattia denunziata, ovverossia del “rischio” assicurato.

Ciò può essere desunto dai principi generali che ispirano il sistema delle assicurazioni sociali (che ha recepito anche se in parte la disciplina normativa – in quanto compatibile – dettata dal codice civile in tema di assicurazioni “private”: v. art. 1886 C.C.) e che utilizzano i principi relativi all’obbligo di buona fede, di diligenza, di fedeltà e di correttezza; principi questi che regolano, secondo il nostro ordinamento generale, il comportamento del soggetto-assicurato ed in particolare del lavoratore-dipendente anche nell’ambito del rapporto di assicurazione sociale che lo lega allo Istituto assicuratore. E ciò anche in base a quelle analoghe regole di comportamento legittimamente inserite (in quanto dirette a disciplinare semplicemente le modalità e le formalità di condotta dell’assistito in un momento cronologicamente precedente alla erogazione dell’indennità di malattia, e non certo a comminare sanzioni o decadenze) nelle suindicate fonti di diritto di rango “inferiore”.

Infatti, la sospensione della prestazione lavorativa per causa di malattia che la giustifica ( art. 2110 C.C.), comporta non solo ai fini del rapporto con il datore di lavoro, ma anche a quelli con l’Istituto assicuratore, l’obbligo del lavoratore-infermo, assente dal servizio, di sottostare a tutte le prescrizioni mediche impartitegli dal medico curante, per non aggravare le sue già menomate condizioni di salute e per ottenere la più sollecita, in quanto possibile, reintegrazione delle proprie energie fisiche allo scopo di riprendere il lavoro nel termine previsto dal periodo di invalidità diagnosticata. Cioé l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, diligenza, fedeltà e correttezza.

Di guisa ché l’inosservanza delle prescrizioni mediche, o il comportamento non di buona fede, negligente, infedele e scorretto del lavoratore-assicurato (che si sottrae con dolo o per colpa alla necessaria visita fiscale di controllo), se nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato può rendere compatibile e giustificata l’applicazione di una eventuale sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro, legittima a maggior ragione, nell’ambito del rapporto di assicurazione che lo lega all’Istituto (anche per le esigenze pubblicistiche e sociali di arginare l’antisociale fenomeno dell’assenteismo”) il disconoscimento (sospensione o riduzione) della indennità di malattia, allorquando viene meno, per colpa dell’assicurato, ed in conseguenza dell’immediato esercizio del legittimo potere di accertamento e di controllo sanitario da parte dell’Istituto assicuratore, la prova della perdurante esistenza della malattia, e cioé lo stesso presupposto per la corresponsione della indennità medesima.

Gli enunciati principi aderiscono proprio alla “ratio” dell’art. 6 della L. citata 138-1943 (che prevede l’erogazione della indennità di malattia) e ne costituiscono la sua conseguenziale e coerente applicazione, in quanto il trattamento economico-previdenziale, è strettamente collegato con l’accertamento dello stato morboso invalidante del lavoratore-infermo: accertamento questo, diretto fra l’altro, e soprattutto, a salvaguardare l’interesse pubblico correlato ad una corretta “gestione” dell’Ente previdenziale, istituito proprio allo scopo di tutelare l’interesse della collettività contro le malattie.

Del resto tali principi si inseriscono nella scia del “filone” giurisprudenziale di questa stessa Corte, oramai consolidatosi in materia in modo uniforme e costante (cfr. Cass. 3.3.1978 n. 0515; Cass. 18.6.1980 n. 3889; Cass. 12.4.1980 n. 2354; Cass. 2.7.1984 n. 3884). Ed essi hanno trovato anche se indiretta, ma significativa conferma nel recente intervento legislativo (art. 5, comma 14° D.L. 12 settembre 1983 n. 463 conv. in L. 11 nov. 1983 n. 638) che, disciplinando ora, anche se non retroattivamente, le modalità di visita e di controllo domiciliare o ambulatoriale nei riguardi dei lavoratori ammalati, aventi diritto alla indennità – malattia, effettuate dai sanitari dell’I.N.P.S. (che, come è noto, ha assunto

– dopo la soppressione degli Enti mutualistici e la recente “riforma sanitaria” – la gestione della assicurazione contro le malattie, succedendo all’I.N.A.M. “soppresso”) prevede “sanzioni” nei riguardi di coloro che siano assenti da casa, senza giustificato motivo, nelle fasce orarie fissate con D.M. 8.1.1985, e che si risolvono in un motivo di “decadenza” dell’assistito da ogni e qualsiasi trattamento economico: per l’intero periodo, e sino a 10 giorni, e, nella misura della metà, per il restante periodo, esclusi però quelli relativi al ricovero ospedaliero e già accertati da precedente visita di controllo.

Con tale provvedimento (che riguarda tutti i lavoratori, pubblici o privati, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato) il legislatore ha in definitiva realizzato, attraverso una specifica articolata disciplina normativa, la “ratio” del sistema dell’assicurazione sociale contro le malattie, codificando in apposita legge (emanata fra lo altro e significativamente, allo scopo di adottare” … misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica ….”: cfr. il titolo della legge) quegli stessi principi che già la giurisprudenza di questa Corte aveva correttamente e, in precedenza, enucleato.

Va concludendo accolto il ricorso: con rinvio ad altro giudice (che si designa nel Pretore di Modena – giudice del lavoro) il quale, riesaminando la materia controversa, dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra enunciati; e indipendentemente dalla citata L. 638-1983 che non può naturalmente regolare una situazione di fatto che, nel caso concreto, risale ad epoca anteriore.

Il giudice di rinvio dovrà infine provvedere anche in relazione alle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sez. Lavoro
– accoglie il ricorso proposto dall’Istituto Nazionale assicurazione contro le malattie, ora sostituito ex lege dal Ministero del Tesoro, Ufficio Liquidazione INAM;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio al Pretore di Modena, giudice del lavoro.
Roma, lì 30 Maggio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 APRILE 1986