Svolgimento del processo

La sera del 14.1.1974 Giella Natalia, D’Argenio Anna Maria, Urciuolo Quirino e Angela, Urciuolo Felice Antonio percorrevano a piedi, in fila e lungo il margine, la strada statale che da Contrada porta ad Avellino quando venivano investiti da tergo da un’automobile che dopo avere urtato Urciuolo Angela proseguiva la corsa travolgendo la Giella, moglie di Urciuolo Quirino, e la D’Argenio e proiettando a terra Urciuolo Quirino e Urciuolo Felice Antonio.

In tale incidente perdevano la vita Giella Natalia e la D’Argenio mentre gli altri pedoni riportavano lesioni gravi. Nonostante il pronto intervento della Polizia Stradale, non era stato possibile identificare il responsabile del sinistro, datesi alla fuga.

Con citazione del 5.7.1974 Urciuolo Giurine, in nome proprio e nella qualità di legale rappresentante della figlia minore Urciuolo Angela e Urciuolo Felice Antonio, premesso che le Assicurazioni d’Italia s.p.a., designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, non aveva dato alcun riscontro alla richiesta di risarcimento formulata con lettera raccomandata del 29.4.1974, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino la società predetta per sentirla condannare, ai sensi dell’art. 19 legge 24.12.1969 n. 990, al risarcimento di danni subiti in conseguenza del sinistro di cui si è detto. La società convenuta, costituitasi, eccepiva pregiudizialmente il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito impugnava nel “quantum” la domanda.

Istruita la causa con censura medica legale sulla persona del Urciuolo Quirino al quale veniva concesso una provvisionale di lire 4 milioni, e di Urciuolo Angela, e provvedutosi, alla integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di D’argenio Anna Maria, il Tribunale adito con sentenza 28.12.1979 condannava la S.p.A. “Le assicurazioni d’Italia” al pagamento a favore di Urciuolo Quirino della complessiva somma di Lire 19.996.412 al netto dei quattro milioni anticipati a titolo di provvisionale con gli interessi legali dal giorno del fatto illecito ed inoltre di lire 692.320 a ciascuno degli eredi di D’Argenio Anna Maria, con la rivalutazione del 25% e con gli interessi compensativi dal giorno del fatto.

A tale conclusione il tribunale perveniva avendo notato che, pure essendo stato definito con sentenza di non doversi procedere perché rimasto ignoto l’autore dei reati, il procedimento penale, instaurato nei confronti dello sconosciuto automobilista, tuttavia, essendo emersa la prova certa del nesso di causalità tra la condotta di guida di quest’ultima e l’evento, la responsabilità del medesimo, sotto il profilo civilistico, doveva essere affermata sulla presunzione di colpa stabilita dallo art. 2054 c. civ..

Con sentenza 21.11.1981 la Corte di Appello di Napoli respingeva l’impugnazione proposta dalla s.p.a. Le Assicurazioni d’Italia avverso la menzionata decisione del Tribunale di Avellino.

Disattesa la eccezione pregiudiziale di inammissibilità dell’appello, osservava detta Corte che infondata risultava la censura mossa dalla Compagnia assicuratrice in ordine alla statuizione, con la quale era stata condannata al risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto una siffatta pronuncia presupporrebbe l’accertamento del reato, che nella fattispecie sarebbe mancato per essersi basata sulla presunzione di cui all’articolo 2054 c. civ. la responsabilità dell’ignoto conducente.

Si rilevava, in contrario, dai giudici di appello, in accoglimento della domanda, riproposta dagli appellanti con la scomparsa di costituzione, che la responsabilità dell’ignoto conducente poteva essere affermata sulla base della colpa provata, desumibile dalle circostanze del fatto anzi che dalla presunzione sancita dal citato art. 2054 c. civ..

Rispondendo poi, alla doglianza dell’assicuratore, secondo cui la liquidazione del danno da invalidità assoluta temporanea ad Urciuolo Quirino non era dovuta perché costui aveva ricevuto la retribuzione dal suo datore di lavoro, si obiettava dalla Corte napoletana che dal certificato rilasciato all’urciuolo dal suo datore di lavoro risultava che nel 1974 gli era stato corrisposto l’importo complessivo di Lire 2.173,314, ma non emergeva affatto che la retribuzione corrisposta si riferisse a tutti i giorni lavorativi dell’anno e non soltanto a quelli effettivamente lavorati, mentre dalla consulenza tecnica si desumeva che Querino Urciuolo a causa delle lesioni riportate si era trovato nella impossibilità di lavorare per tutto il periodo della degenza.

Infine il superamento del massimale di 25 milioni trovava giustificazione nella mora colpevole della compagnia assicuratrice la quale, a norma degli artt. 18 e 20 legge n. 990 del 1969, ha l’obbligo di procedere, trascorsi 60 giorni dalla richiesta, alla liquidazione del danno e, nel caso di contrasto, può mettere in mora il danneggiato mediante l’offerta reale della somma ritenuta congrua; in caso contrario, è tenuto a subire gli effetti della svalutazione a corrispondere gli interessi.

La società “Le Assicurazioni d’Italia” ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria, ai quali Urciuolo Quirino resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e segg. legge n. 990 del 1969 nonché degli articoli 2055 e c. civ., 185 C.P. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p. civ., la ricorrente sostiene che il danno morale non possa essere preso in considerazione nella determinazione dell’indennizzo dovuto nel caso di investitore sconosciuto dal Fondo per le vittime della strada, sia perché non vi è pronuncia penale di responsabilità e sia in quanto non si tratta di risarcimento del danno per responsabilità, bensì di indennizzo per fini sociali

La tesi, di che al mezzo in esame, non può essere accolta. Invero, la questione se l’obbligazione del Fondo di garanzia per le vittime della strada abbia natura indennitaria ovvero risarcimentaria è stata risolta nel secondo senso da questa Corte (Cass. 28.7.1981 n. 4847; 10.3.1982 n. 1537; 20.4.1982 n. 2646), la quale ha affermato che l’intervento del detto Fondo, ancorché previsto per finalità di ordine sociale, non ha natura indennitaria, ma è correlato, al pari dell’obbligazione diretta dell’assicuratore verso il danneggiato, alla responsabilità altrui e il contenuto della prestazione, verificandosi i presupposti costitutivi dell’obbligo, è il risarcimento dei danni, ivi compresi quelli morali ed alla vita di relazione, nei limiti dei massimali stabiliti dalla legge.

Tale soluzione, alla quale si ritiene di prestare adesione, si giustifica oltre che con lettera della legge (art. 19 – 20 legge 24.12.1969 n. 990), ove il contenuto della prestazione del Fondo e dell’impresa designata viene espressamente configurato come diretto al risarcimento dei danni, con la regolamentazione dei rapporti che vengono a costituirsi tra il Fondo stesso e la vittima e gli eredi di questa, per nulla differente da quella che, in base alla medesima normativa, intercorre tra la compagnia assicuratrice e il terzo danneggiato per quanto attiene, in particolare, ai modi e ai tempi per la liquidazione del danno, in attuazione dei diritti e degli obblighi nascenti da un regolare contratto di assicurazione stipulata ai sensi della legge innanzi menzionata.

Or, se di azione risarcitoria trattasi, non si vede come, sia pure nei limiti prescritti, questa non debba intendersi proponibile oltre che il ristoro del danno patrimoniale anche di quello morale. Non sembra per vero ostativo a tale conclusione il rilievo che per l’art. 21 della legge n. 990 del 1969 le componenti del danno risarcibile sarebbero soltanto quelle in detta norma espressamente indicate, tanto che per la determinazione della percentuale di inabilità della qualifica di vivente a carico e della quota di reddito del sinistrato devesi fare ricorso alla legislazione infortunistica.

Al contrario, il citato articolo nella sua prima parte si limita a stabilire la regola che il danno alla persona, per essere risarcite, non può essere inferiore ad una certa entità (inabilità temporanea superiore ai 90 giorni, permanente oltre il 20 per cento,) ma non esclude con ciò affatto il risarcimento del danno morale.

Quanto poi al riferimento, di cui si è fatto cenno, al T.U. 30.6.1965 n. 1124 per la quantificazione del danno alla persona, il precetto si giustifica con l’opportunità della adozione di parametri certi anzi che dei criteri di valutazione, al quanto discrezionali ed incerti, di cui alla normativa sulle assicurazioni sociali, già correlati alla capacità di guadagno.

Ciò posto,del pari inaccettabile si presenta la tesi, secondo la quale non sarebbe consentito al giudice civile adottare una pronunzia di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale perché avendo questa a suo presupposto l’accertamento della esistenza di un reato, questo sarebbe venuto a mancare in quanto la verifica è stata compiuta al riguardo dal giudice penale con la sentenza istruttoria di non luogo a procedere perché rimasto ignoto l’autore del fatto.

Con un siffatto assunto si mostra di ignorare le risultanze di una lunga elaborazione giurisprudenziale (Cass. 68-748; 71-3596; 75-1022), in base alla quale si è ritenuto essere consentito al giudice civile, allorquando per una ragione qualsiasi non sia stato possibile pervenire ad un giudicato penale di condanna (a causa di amnistia, prescrizione, difetto di una condizione di procedibilità, nonché per morte dell’imputato e per essere rimasto questi ignoto) accertare l’esistenza nel fatto degli estremi del reato al fine di pervenire alla pronuncia di risarcimento del danno morale.

Fondato, invece, risulta il secondo motivo con cui, deducendosi violazione degli artt. 2697 c. civ. e 360 n. 3 c.p. civ., si duole il ricorrente che l’indennizzo per inabilità temporanea sia stato liquidato alle Urciuolo senza che costui avesse fornito la relativa prova.

Non vi è dubbio, infatti, che l’Urciuolo, attore in giudizio, era tenuto a provare tutte le componenti del danno.

I giudici di appello, invero, hanno ritenuto che quel capo di domanda dovesse essere accolto sulla base della considerazione che l’accertamento del consulente circa il periodo di inabilità assoluta temporanea costituisse prova valida che Quirino Urciuolo non avesse lavorato per detto periodo e che non avesse, quindi, percepito la relativa retribuzione; il che sarebbe stato sufficiente a supplire alla genericità della certificazione rilasciata al predetto dal suo datore di lavoro, dalla quale, come si è visto, risultavano emolumenti per un ammontare di lire 2.173.314 senza alcuna specificazione se il detto importo riguardasse tutti i giorni lavorativi dell’anno e non soltanto quelli effettivamente lavorati.

Rettamente è stato osservato sul punto dalla ricorrente che una siffatta argomentazione non tiene conto del disposto dello art. 2110 c. civ., in applicazione del quale l’Urciuolo, quale lavoratore subordinato, fruiva per legge e per contratto collettivo della corresponsione della retribuzione e di una indennità durante il periodo di malattia con la conseguenza che, stante onere dell’attore provare che danno, invece, vi era stato per non avere egli ricevuto per una qualsiasi ragione gli emolumenti o parte di essi durante l’assenza dal lavoro.

Fondato, inoltre, sia pure per considerazione in parte diverse da quelle prospettate in ricorso, si presenta il terzo motivo con cui, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e segg.

legge n. 990 del 1969 e degli articoli 1917, 1224, 1282 c. civ., in relazione all’art. 360 n. 5 c.p. civ., lamenta la ricorrente che i giudici di merito abbiano ingiustamente superato nella liquidazione il limite massimo dell’indennizzo.

La censura, invero, si basa sull’assunto, già confutato nella presente decisione, della invalicabilità del massimale, correlato alla natura dell’intervento del Fondo di garanzia, che, determinato da finalità di ordine sociale, avrebbe contenuto indennitario. In memoria, tuttavia,la ricorrente ha mostrato di aderire ai principi puntualizzati dalla Sezione Unite civili di questa Corte con sentenza 25.10.1983 n. 5219, ove si è affermato, tra l’altro, che la richiesta, prevista dall’art. 22 della legge n. 990 del 1969, costituisce nel rapporto tra assicuratore e terzo danneggiato rilevante atto di costituzione in mora, operante dal sessantesimo giorno successivo alla sua intimazione, sempre che ne abbia l’intuitivo contenuto minimo, capace di consentire all’assicuratore mediante impiego della diligenza dovuta un’adeguata valutazione del fondamento della pretesa nell’anzidetto termine dilatorio di adempimento fissatogli dalla legge. Pertanto, l’obbligazione dell’assicuratore a riparare l’eventuale maggiore danno derivante dalla intervenuta riduzione del potere di acquisto della moneta sorge soltanto nella ipotesi di inadempimento della sua prestazione, pure a fronte di una richiesta del danneggiato formulata ai sensi dell’art. 22 avente significato e rilievo di atto di costituzione in mora, ovvero in termine congruo dopo la integrazione del suo contenuto, per cui esso sia idoneo ad acquistare significato e rilievo di atto di costituzione in mora.

Di conseguenza, non merita consenso la statuizione con la quale la Corte di Appello ha condannato le Assicurazioni d’Italia a risarcire ad Urciuolo Quirino il maggiore danno da svalutazione monetaria sulla considerazione che l’assicurato ha l’obbligo di procedere entro 60 giorni dalla richiesta alla liquidazione del danno e, nel caso di contrasto con il danneggiato sulla entità del danno, può mettere in mora il danneggiato steso mediante l’offerta reale della somma ritenuta congrua. Una siffatta motivazione non può ritenersi soddisfacente perché con essa viene del tutto omessa qualsiasi verifica sulla rispondenza della richiesta all’atto di costituzione, in mora, secondo quanto più innanzi precisato.

Per tutti i suesposti rilievi, mentre deve essere respinto il primo motivo del ricorso, va accolto il secondo motivo e per quanto di ragione, anche il terzo motivo.

Va disposta, pertanto, la cassazione della sentenza denunciata con rinvio ad altre Sezione della Corte di Appello di Napoli la quale, in relazione al secondo motivo, dovrà accertare se Urciuolo Quirino abbia fornito la prova di non avere percepito alcuna retribuzione o somma ad altro titolo ma giustificate dalla medesima causale durante il periodo di tempo in cui, a cagione di invalidità assoluta temporanea, si assentò dal lavoro, mentre, con riferimento al terzo motivo, dovrà lo stesso giudice accertare se la richiesta di risarcimento, rivolta all’Urciuolo all’Assitalia nei tempi e nei modi indicati dagli articoli 18 e 22 legge 24.12.1969 n. 990, avesse avuto il contenuto di valido atto di costituzione in mora secondo le indicazioni sopra enunciate ovvero se il danneggiato abbia, comunque, provveduto in tempo successivo ad integrare il contenuto della richiesta stessa, in maniera che questa potesse acquistare significato e rilievo di valido atto di costituzione in mera; e poiché la necessità di tale indagine è indotta dalla pronuncia di cassazione, nel giudizio di rinvio le parti dovranno essere rimesse in termine per lo svolgimento delle opportune attività difensive.

Allo stesso giudice del rinvio si reputa opportuno demandare la liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso;
accoglie il secondo motivo e, per quanto di ragione, il terzo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolte e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso a Roma il giorno 5 giugno 1985 nella Camera di Consiglio della 3° Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 APRILE 1986