Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con sentenza 3 ottobre 10 dicembre 1980, confermava la pronuncia del Pretore di detta città che aveva dichiarato legittimo l’assoggettamento a contribuzione previdenziale soltanto del 50% della indennità di trasferta erogata dalla soc.

Telenorma ai dipendenti montatori di impianti. Rilevava il Tribunale che la erogazione in questione serve in parte a retribuire i lavoratori di una prestazione ritenuta più gravosa ed in parte a rimborsarli delle maggiori spese che incontrano quando prestano la loro attività fuori della sede della azienda; né tale sistema costituiva elusione delle norme imperative in materia.

Se la società avesse erogato il rimborso delle spese col sistema “a pié di lista”, continuava la impugnata pronuncia, la erogazione non sarebbe stata soggetta a contribuzione.

Non poteva restringersi la nozione di “trasferta” alla ipotesi di permanenza occasionale fuori sede; tale soluzione formalistica, concludeva il Tribunale, rendeva difficile in concreto la individuazione delle ipotesi in cui ricorre la trasferta, perché il carattere di occasionalità e temporaneità che ad essa si vuole collegare non può in taluni casi essere riscontrato con precisione in quanto comporta un raffronto con una situazione di normalità, mentre è facile accertare invece caso per caso se ricorre la sostanza del concetto di trasferta tenendo conto delle modalità di esplicazione dell’attività del lavoratore.

Avverso tale sentenza l’INAIL ha proposto ricorso per cassazione (R.G. n. 3558-81)affidato a due motivi, cui resiste la soc. Telenorma mediante controricorso; l’INPS in proprio e quale successore ex lege dell’INAM ha proposto altresì ricorso per cassazione (R.G. N. 6195-81) affidato ad un unico motivo cui resiste la detta società mediante controricorso; tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

I ricorsi dell’INAIL e dell’Inps, diretti contro la medesima sentenza, vanno riuniti.

Con il primo motivo l’INAIL lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 162, 112 132 e 291 cod. proc. civ., nonché degli artt. 434 e 436 della legge N. 533 del 1973, omessa motivazione, in relazione all’artt. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per avere il Tribunale considerato l’Istituto quale mero contraddittore e non già come appellante, nonostante la impugnazione, da considerarsi incidentale, da esso proposta; di conseguenza il detto Tribunale non aveva preso in considerazione le questioni sollevata col detto appello incidentale.

La censura non ha fondamento.

Nella esposizione in fatto la pronuncia impugnata da atto che quella del Pretore era stata gravata da entrambi gli istituti; prende poi in esame unitariamente le doglianze di entrambi gli appellanti, trattandosi di una unica questione di diritto, e dà conto del proprio convincimento per giungere alla soluzione contrastante con quella dei detti appellanti.

Con il secondo motivo l’INAIL lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del testo unico delle norme sugli assegni familiari approvato con D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797; dell’art. 29 del testo unico delle disposizioni di legge per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro approvato con il DPR 30 giugno 1965 n. 1124 e dell’art. 12 della legge 30 Aprile 1969, n. 153; nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.

Il Tribunale, secondo l’Istituto ricorrente, avrebbe errato perché ha omesso di considerare che la “trasferta” è caratterizzata dalla provvisorietà, temporaneità ed eccezionalità della prestazione lavorativa fuori dell’abituale sede di lavoro.

Il concetto di trasferta, cioé, implica una relazione tra due distinti luoghi, quello normale di lavoro – ove si svolge funzionalmente la prestazione di lavoro dedotta nel contratto – e quello provvisorio di lavoro; poiché i lavoratori in esame rendono la loro prestazione in luogo sempre diverso, la indennità ad essi corrisposta non può trovare titolo nella trasferta, poiché la loro attività è svolta normalmente e non occasionalmente fuori sede.

la tesi dell’Istituto, infine, troverebbe un preciso riferimento normativo nell’art. 27 del testo unico n. 797 del 1955 ed in particolare nel N. 3 della lettera a), relativo all’assegno particolare che il datore di lavoro ordinariamente corrisponde ai lavoratori occupati in determinate condizioni di lavoro, di tempo e località, normativa non innovata dal successivo art. 12 della legge n. 153 del 1969.

Con l’unico motivo di ricorso l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione ( art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.).

La nozione di trasferta ha come presupposti che il lavoro abituale si svolge nella sede di normale svolgimento della attività lavorativa e la provvisorietà dell’invito del dipendente in una sede diversa per particolari esigenze di servizio.

Nella specie il lavoro fuori sede costituiva una modalità di svolgimento delle mansioni per le quali i montatori erano stati assunti;i disagi di natura economica che i lavoratori dovevano sopportare rientravano nel sinallagma contrattuale ed incidevano sulla determinazione pattizia delle reciproche prestazioni.

E la sede della azienda non poteva essere considerata ordinaria sede di lavoro de personale in questione.

Al fine di accertare la natura risarcitoria e retributiva di un compenso, poi, si doveva valutare se esso sia corrisposto in relazione a spese sostenute per soddisfare interessi esclusivi del datore di lavoro ovvero per esigenze di vita dei lavoratori da considerarsi ordinarie in rapporto alle particolari modalità delle loro prestazioni.

Nel dubbio, continua il ricorrente, deve valere ha presunzione di onerosità operante nel rapporto di lavoro e intesa a ricomprendere nella retribuzione ogni elemento patrimoniale di incerta natura che presenti i connotati di erogazione obbligatoria e continuativa espressa in somma fissa e preordinata.

A tale principio non si era attenuta la impugnata sentenza. E la erroneità della pronuncia, continua il ricorrente, si evince sol che si consideri come essa ha ammesso che il compenso in esame era erogato non a fronte di spese per interessi esclusivi del lavoratore, bensìper soddisfare esigenze di vita dei lavoratori da considerare ordinarie in rapporto alle particolari modalità delle loro prestazioni.

Il compenso in esame, conclude l’istituto, rientra tra quegli emolumenti che il datore di lavoro ordinariamente corrisponde ai lavoratori occupati in determinate condizioni di lavoro, che l’art. 27 del testo unico n. 797 del 1955 includeva nell’imponibile retributivo.

E nella specie il compenso era corrisposto anche ai lavoratori che operavano esclusivamente nella cinta urbana della città ove aveva sede la filiale della impresa.

Le due censure, da esaminarsi congiuntamente, sono fondate per quanto di ragione.

La questione in esame è stata portata recentemente all’esame delle sezioni Unite di questa Corte che l’ha decisa con sentenza in data 22.11.84 – 3.6.85, n. 3293.

Tale pronuncia, il cui orientamento va seguito, precisa quanto segue.

La nozione di retribuzione considerata ai fini contributivi (art. 12 legge n.153 del 1969) non coincide con quella generalmente data ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ( art. 2099 cod. civ.).

In sede previdenziale il legislatore ha seguito i criteri fiscali della predeterminazione delle regole di individuazione della base imponibile e della sottrazione di questa, una volta che sia stata formata, alla disponibilità delle parti; questa possono stabilire il trattamento economico spettante al lavoratore e quindi il presupposto da cui derivi la formazione della base assoggettata a contribuzione, che dipende poi dal valore che la legge, con propria valutazione, attribuisce ai singoli elementi.

In tale valutazione della retribuzione considerata ai fini contributivi (“si considera retribuzione”) il legislatore con la locuzione “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro”, ha adottato il principio di causalità, ampliando sostanzialmente il normale concetto di retribuzione dato ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Era stata già ritenuto da questa Corte che il concetto di retribuzione imponibile, di cui al citato art. 12, supera il principio di mera corrispettività, perché comprende non soltanto gli emolumenti corrisposti in funzione dell’esercizio di attività lavorativa, ma anche gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa, costituiscono adempimenti di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto di lavoro ed aventi titolo ed origine dal contratto di lavoro restando escluse le erogazioni derivanti da causa autonoma (Cass. 14 feb. I 1983 n. 675).

Nel contempo il legislatore ha indicato, con elencazione di carattere tassativo,le ipotesi escluse da contribuzione, tra cui sono comprese le indennità di trasferta in cifra fissa limitatamente al 50%.

Ne consegue un sistema che impedisce alle parti, collettive o individuali, di attribuire direttamente ad un emolumento natura difforme da quella conferita ex lege, mediante previsione e denominazioni mistificatorie; è pertanto esclusa, sotto questo profilo la opponibilità agli enti previdenziali e assicurativi della disciplina collettiva e individuale.

Il rimborso di spese, invece, è una erogazione che trova fondamento in una causa autonoma rispetto a quella della retribuzione, anche se occasionato dal rapporto di lavoro, tale rimborso non rientra nella causa tipica di esso, costituendo non già un incremento patrimoniale dipendente dalla prestazione lavorativa, bensì una reintegrazione di una diminuzione patrimoniale che il lavoratore sopporta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, tenuto perciò a riparare la lesione subita.

Ai presenti fini è preliminare la determinazione del luogo della prestazione lavorativa: questo, come in genere il luogo di adempimento della obbligazione, costituisce una modalità determinata o determinabile di un elemento contrattuale a norma dell’art. 1182, 1° co. cod. civ.,secondo cui la prestazione deve essere eseguita nel luogo determinato dalla convenzione o dagli usi o in quello che può desumersi dalla natura della prestazione o da altre circostanze.

Nella ipotesi di accordo delle parti il luogo della prestazione di lavoro deve essere desunta dal giudice sulla base della volontà delle parti stesse.

In mancanza di accordo tale luogo può essere determinato tenendo presente il tipo di lavoro affidato al dipendente oltre che l’organizzazione aziendale: a tal fine vengono in considerazione alcuni dati normativi desumibili dagli artt. 2094 cod. civ. e 13 della legge n. 300 del 1970, e cioé l’impresa come complesso aziendale ove si svolge la produzione (luogo della produzione) ovvero l’unità produttiva (luogo in cui opera la detta unità).

Il trasferimento e la trasferta presuppongono la determinazione di un luogo fisso, come sopra determinato, da cui si avvia il lavoratore ad altro luogo: il primo, peraltro, implica il mutamento definitivo di tale luogo, la seconda, invece, implica uno spostamento dal detto luogo provvisorio o temporaneo per il sopravvenire di esigenze di servizio di carattere transitorio e contingente, che rendono necessario il dislocamento nella località in cui sono sorte le esigenze stesse e fintanto che queste siano soddisfatte.

Nella trasferta, pertanto, è presente un elemento temporale, oltre quello spaziale, per cui trasferta non può aversi qualora il tipo di lavoro e la organizzazione aziendale dimostrino la inesistenza di una predeterminazione del luogo della prestazione e la disponibilità del dipendente a recarsi ogni giorno là dove viene richiesta la sua opera.

Ciò posto, il problema relativo ai cosidetti “trasfertisti” e cioé ai lavoratori i quali solitamente prestano la loro opera con continuità fuori sede, che può anche coincidere con quella dell’azienda o di una sua unità produttiva, deve essere risolto tenendo in considerazione gli elementi spaziali e temporali sopra accennati.

Se si tratta di rapporto, che per il suo particolare oggetto, richiede al dipendente di operare normalmente all’esterno ovvero richiede l’assolvimento dell’obbligo contrattuale di spostarsi continuamente in località diverse determinabile solo in relazione all’opera da eseguire, vengono meno entrambi i detti elementi e quindi non si verifica la ipotesi né del trasferimento né della trasferta, con la conseguenza che l’emolumento corrisposto è correlato nella sua totalità alla causa tipica e normale del rapporto di lavoro in quanto diretto a compensare li lavoratore dei disagi e delle spese che egli è tenuto a sopportare in adempimento del suo obbligo contrattuale e quindi assume indubbio carattere retributivo: in tali casi l’oggetto della prestazione lavorativa comprende il carattere della ambulatorietà, il cui onere rimane a carico del lavoratore.

Se invece si tratta di un rapporto che richiede la assegnazione e la permanenza di un lavoratore in una sede determinata, che può essere la sede della azienda o di una unità produttiva in cui essa è articolata, con previsione contrattuale per la attività prestata in quella sede, l’invio, anche frequente, del lavoratore in luoghi diversi per assolvere a temporanee e contingenti esigenze imprenditoriali concreta entrambi i requisiti di tempo e di luogo che sono presupposti della trasferta; in tali casi la frequenza di detta trasferta è irrilevante perché il rapporto di lavoro rimane identico in tutti i suoi connotati essenziali né sia che il lavoratore rimanga nella unità produttiva, anche eventualmente inattivo a disposizione del datore di lavoro, sia che si rechi, anche per una certa durata, in una pluralità continuativa di luoghi diversi dalla sede assegnatagli; la conseguenza in tal caso è che il di più corrisposto al lavoratore oltre la retribuzione assume indubbiamente carattere risarcitorio o restitutorio, in quanto ha il fine unico ed essenziale di ristorarlo delle maggiori spese a qualsiasi titolo sostenute nell’interesse del datore di lavoro, al di fuori della causa tipica e normale del rapporto di lavoro.

Di conseguenza, al fine di stabilire il carattere, retributivo o restitutorio, della indennità corrisposta ai lavoratori che svolgono la loro attività fuori della sede della impresa, il giudice del merito deve trarre gli elementi utili alla decisione della modalità della erogazione come pattuite; se infatti la indennità sia pattiziamente riferita soltanto alla prestazione lavorativa eseguita fuori della sede della azienda o di una sua unità produttiva con esclusione della prestazione lavorativa in sede, essa assume carattere restitutorio, tenuto conto che in tal caso non può ritenersi sussistente un obbligo prestabilito di corrispondere la indennità stessa, la cui misura può variare secondo l’andamento della attività produttiva ed anche ridursi o venir meno per determinati periodi, evidenziandosi così un mutamento provvisorio del luogo di lavoro e relativa indennità.

Assume anche rilievo la pattuita esclusione della detta indennità per i giorni di mancata prestazione lavorativa e, in generale, per i giorni in cui, con il rientro in sede di lavoratore, sia prevista la sospensione di essa.

In particolare per quanto concerne la fattispecie in esame un fondamentale accertamento si impone.

Devesi accertare ses i lavoratori della S.P.A. Telenorma eseguivano le loro prestazioni in parte in un ambito territoriale (cinta urbana, zona urbana, zona entro un limite temporale dalla dimora di ciascun lavoratore, ecc.) ricevendo in tal caso soltanto la retribuzione base e non anche la indennità in esame; e se a quei lavoratori veniva corrisposta detta indennità soltanto quando le prestazioni erano rese oltre quell’ambito territoriale.

In questa ultima ipotesi quell’ambito territoriale può considerarsi luogo abituale di lavoro, luogo ove contrattualmente è prevista la prestazione il cui corrispettivo è rappresentato dalla retribuzione pattuita (il luogo della prestazione, ai sensi dell’art. 1182, 2° co. cod. civ., è quello determinato dalla convenzione o può desumersi dalla natura della prestazione o da altre circostanze); e tale luogo abituale della prestazione (anche se non in un punto fisso bensì in un ambito territoriale più vasto) dovrà essere considerato quale luogo fisso di lavoro (in tale ambito invero non viene corrisposta la indennità speciale) da cui i lavoratori montatori si spostano, di volta in volta, anche con una certa frequenza, per rendere le prestazioni in relazione alle quali invece quella indennità viene corrisposta in aggiunta alla retribuzione base pattiziamente convenuta con le prestazioni rese nel luogo abituale (ambito territoriale) di lavoro.

In tal caso, verificandosi spostamento temporaneo ed occasionale da un luogo fisso (ambito territoriale) di lavoro ad altro, si avrebbe trasferta nel senso sopra indicato.

In tale ipotesi, infatti, stando ai principi sopra esposti formulati dalle Sezioni Unite di questa Corte, potrà dirsi che la indennità è pattiziamente riferita soltanto alla prestazione lavorativa eseguita fuori di un ambito territoriale sì da assumere carattere restitutorio, in quanto non può ritenersi, sussistente un obbligo prestabilito di corrispondere la indennità stessa, la cui misura può variare secondo l’andamento della attività produttiva ed anche ridursi o venir meno per determinati periodi, evidenziandosi così un mutamento provvisorio del luogo di lavoro e relativa indennità.

La impugnata sentenza non si è attenuta ai suesposti principi: essa ha negato che la trasferta è caratterizzata dalla occasionalità fuori di una sede abituale di lavoro;non ha operato la distinzione tra luogo abituale di lavoro e luogo occasionale in cui il lavoratore viene indicato con conseguente riconoscimento della trasferta soltanto in quest’ultima ipotesi; non ha accertato la eventuale sussistenza di obblighi contrattuali di lavoro sempre fuori sede, né le modalità di svolgimento della attività lavorativa da parte dei dipendenti montatori della soc. Telenorma e le circostanza in cui alle varie prestazioni lavorative era correlata la erogazione della indennità in questione.

Il ricorso deve essere quindi accolto per quanto di ragione alla stregua delle suesposte considerazioni e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice il quale si atterrà al seguente principio.

Poste le nozioni di retribuzione previdenziale, desunta dall’art. 12 della Legge n. 153 del 1969 e quella correlativa e contrapposta di rimborso di spese, il giudice di merito deve coordinarle con quelle di trasferimento e di trasferta distinte secondo i criteri indicati, e deve, ai fini contributivi, stabilire la effettiva natura della indennità, denominata di trasferta, corrisposta in cifra fissa ai lavoratori i quali prestano la loro opera solitamente fuori della sede della azienda o di una sua unità produttiva, non soltanto mediante la interpretazione del contratto collettivo o individuale, ma anche alla stregua delle concrete vicende contrattuali, considerando nella globalità tutti gli elementi ritenuti utili, inerenti all’oggetto del contratto e alle modalità delle prestazioni lavorative, con specifico riferimento alla predeterminazione o meno di un luogo in cui questa è eseguita.

Il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Como, provvederà anche alla regolazione delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce il ricorso n. 6195-81 a quello n. 3858-81; li accoglie entrambi per quanto di ragione, cassa la impugnata sentenza e rinvia la causa anchbe per le spese, al Tribunale di Como.
Così deciso in Roma il 21 maggio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 21 GENNAIO 1986