Svolgimento del processo

Con ricorso dell’8.1.1980 Gandini Elda ved. Menegatti e Menegatti Guglielmina convenivano in giudizio davanti al Pretore di Aosta, in funzione di giudice del lavoro, l’Istituto Nazionale per L’assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.) per sentire giudizialmente accertate il loro diritto alla rendita di riversibilità, assumendo che il loro congiunto, Gian Battista Menegatti, rispettivamente marito e padre di esse istanti, il quale godeva in vita di rendita per silicosi nella misura del 60%, era deceduto a causa della predetta malattia professionale.

L’istituto assicuratore, costituendosi in giudizio, resisteva alla pretesa – come aveva già fatto nel corso della procedura amministrativa – sostenendo che nessun nesso causale vi era tra la tecnopatia e la morte del Menegatti, come si desumeva da accertamento medico – legale eseguito tempestivamente.

Con sentenza del 29.4.1980 il Pretore, sulla base dei risultati di un consulenza all’uopo disposta, accoglieva la domanda proposta dalle ricorrenti, condannando l’I.N.A.I.L. al pagamento della rendita e delle spese processuali.

Avverso detta sentenza proponeva tempestiva impugnazione l’I.N.A.I.L. davanti al Tribunale di Aosta, sottolineando la insostenibilità della tesi formulata dal C.T.U. di primo grado circa la esistenza di un rapporto concorsuale tra la morte “da emorragie esofagee da stasi portale in cirrotico” e l’invocata “anossia tessutale”, che, non solo non era ipotizzabile, ma era da escludersi sulla sorta dei ripetuti esami effettuati in sede di visite di revisione. Il nesso di causalità, d’altra parte, era stato escluso anche da una perizia a suo tempo eseguita dal Direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Torino.

Le appellate, costituendosi in giudizio, contestavano in toto i motivi di impugnazione e chiedevano, con la reiezione del gravame, la conferma della sentenza di prime cure.

Il Tribunale disponeva l’esecuzione di una ulteriore consulenza, dando mandato al C.T.U. di accertare se il Menegatti fosse deceduto in conseguenza della silicosi polmonare o meno, associata o no ad altre forme morbose dello apparato respiratorio e cardiocircolatorio.

Esperita la consulenza, il Tribunale, in riforma della sentenza del Pretore, respingeva la domanda e dichiara non dovute le spese processuali.

Riteneva il Tribunale che, giusta le risultanze dell’elaborato peritale, Menegatti Giovanni Battista era deceduto, non già in conseguenza della malattia professionale, bensì per rottura di varici esogagee da cirrosi epatica o che nessun rapporto di causalità, diretto o indiretto, era ipotizzabile tra la silicosi polmonare, di cui era affetto il Menegatti, e la cirrosi epatica, che era stata causa esclusiva della di lui morte.

Ricorre in Cassazione la Gandini ved. Menegatti con un unico motivo.

Resiste l’I.N.A.I.L. con controricorso.

Motivi della decisione

Con unico motivo la ricorrente lamenta la “omessa, contraddittoria e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Assume la ricorrente che il Tribunale di Aosta non ha risposto ad alcuna delle osservazioni di natura tecnica contenute nelle note alla consulenza tecnica di ufficio; osservazioni in base alle quali si sarebbe reso necessario – ad avviso della ricorrente – il richiamo del C.T.T. per dare chiarimenti, ovvero il rinnovo della consulenza tecnica. Il Tribunale si era limitato, invece, a recepire integralmente ed acriticamente l’elaborato del C.T.U.; elaborato contraddittorio ed erroneo che si era – in tal modo – trasferito nella motivazione della sentenza per cui anch’essa era divenuta contraddittoria.

Il rilievo non ha giuridico fondamento.

Questa Corte ha reiteramente affermato che il giudice del merito, quando accoglie e fa proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, non è tenuto, avendo indicato le fonti del proprio convincimento, a confutare specificamente ogni contraria deduzione, restando questa disattesa per implicito. Nel caso di specie è dato comunque rilevare che il Tribunale ha affermato: “Pertanto da dati di fatto da tutti accettati, e cioé dell’esistenza della tecnopatia (silicosi) e dal fatto che il Menegatti venne a morte per rottura di varici esofagee (espressione del circolo collaterale vicariante una stasi portale da cirrosi epatica), l’esperto ha orientato la sua indagine in modo da accertare un eventuale rapporto di causalità tra la malattia polmonare e la cirrosi epatica. I consulenti di parte e il perito nominato in primo grado avevano, infatti, ritenuto che la pneumopatia, producendo uno stati di deficiente ossigenazione dei tessuti, cui consegue patosi cellure anossica, potesse ritenersi concausa della cirrosi epatica.

Il perito ha ritenuto preliminare l’esigenza di accertare se, in realtà, esisteva o meno una anossia. Dopo aver esaminato tutta la documentazione medica e i numerosi dati acquisiti, è giunto alla conclusione che, non essendo stati rilevati segni clinici od elettrocardiaci di sovraccarico di cuore destro e di insufficienza cardiaca retrograda congestizia e non essendovi alcun dato anatomo-patologico di cuore – polmonare, era da escludere la esistenza di anossia stagnante da stasi e matica. Dunque la stasi non poteva essere considerata eventuale concausa della cirrosi epatica”.

E la sentenza impugnata affronta poi il problema dei rapporti tra steatosi e cirrosi e giunge, sulla scorta della risultanze peritali, alla conclusione che tra le cause cirrogene non figura la steatosi e, quindi che, allo stato della scienza medica, non esiste la possibilità di ravvisare alcuna relazione tra la silicosi polmonare e la cirrosi epatica che ha prodotto la morte del Menegatti il cui fegato, peraltro, non presentava i tipici moduli e focolai sclerotici silicotici.

Orbene, da quanto fin qui esposto è agevole rilevare che i giudici di appello, lungi dal sussumere nella sentenza – acriticamente – le risultanze della – peraltro ampia e motivata – consulenza specialistica esperita in secondo grado, l’hanno esaminata coscienziosamente e l’hanno quindi ritenuto pienamente valida proprio perché detta consulenza sottoponeva a severo vaglio critico, con indubbia competenza, le risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado e delle consulenze di parte.

Sicché è da ritenere che il giudizio espresso dal Tribunale si sia basato sull’analisi critica delle risultanze di fatto emerse dalle consulenze espletate con motivazione logica e convincente e – come tale – incensurabile in questa sede di legittimità.

Consegue che il rilievo mosso dalla ricorrente si sostanzia in una diversa, più, favorevole, aspettativa del giudizio medico – legale e quindi della decisione giudiziale, non già in un vizio della motivazione della sentenza impugnata.

Né, d’altra parte, la stessa è censurabile sotto l’aspetto del diniego all’effettuazione di una ulteriore nuova consulenza richiesta dalla ricorrente o, quanto meno, dell’opportunità del richiamo del consulente per chiarimenti, poiché – ovviamente – ciò rientrava nei poteri discrezionali del giudice di merito, il quale – contrariamente all’avviso della ricorrente – ha ritenuto completa ed esauriente la consulenza specialistica esperita e quindi non necessaria – ai fini del decidere – altra consulenza, ovvero la richiesta di chiarimenti al consulente già officiato. Il ricorso va, quindi, respinto. Ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., stimasi non assoggettare al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di legittimità la ricorrente soccombente.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 GENNAIO 1986