Svolgimento del processo

L’Istituto Nazionale per l’assicurazione contro gl’infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.), con ricorso al Pretore di Caserta, premesso che aveva indennizzato i superstiti dell’assicurato Armando Capece, morto a seguito di incidente, occorsogli il 3-5-1970, mentre lavorava alle dipendenze di Alfredo Barbato e Domenico Russo nel getto di un solaio in un edificio di proprietà di Arturo Petrarca; che questi ultimi tre erano stati assolti per insufficienza di prove dall’imputazione di omicidio colposo, mentre il solo Barbato era stato condannato per le contravvenzioni, di cui agli artt. 4, 62 e 169 d.p.r. n. 547-55, in materia di prevenzione infortuni, chiedeva il rimborso di quanto pagato, nei confronti del Barbato e del Russo a titolo di regresso ex artt. 10 ed 11 d.p.r. n. 1124-65 e nei confronti del Petrarca a titolo di surrogazione ex art. 1916 cod. civ., con la condanna in solido degli stessi.

L’adito Pretore, con sentenza 16.8.1980, rigettava la domanda, osservando che nei confronti dei tre convenuti non esisteva condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio era derivato, richiesta per l’ammissibilità della domanda dal 2° comma dell’art. 10 d.p.r. 30-6-65 n. 1124, mentre la sentenza di condanna del Pretore di Aversa del 25-5-1972, passata in cosa giudicata il 25-7-72, per i reati contravvenzionali, nei confronti del solo Barbato, non aveva stabilito alcun rapporto di causalità tra le omissioni contravvenzionali e l’infortunio.

Appellava l’I.N.A.I.L. nei confronti del Barbato e del Russo, ribadendo il suo diritto al chiesto rimborso, ma il tribunale di S. Maria C.V., con sentenza 6-11-15-12-1981, rigettava l’appello, confermando la decisione del Pretore, con la relativa motivazione e rilevando, altresì, che l’azione era stata proposta oltre il termine triennale ex art. 112 d.p.r. n. 1124-65, rispetto al giorno (25-7-1972) del passaggio in giudicato della suddetta sentenza del Pretore di Aversa. Ricorre per cassazione l’I.N.A.I.L. con unico complesso motivo di annullamento, illustrato con memoria.

Gl’intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo del ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del T.U. 30-6-1965 n. 1124, anche in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 102-81; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 citato T.U. e dell’art. 2943 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa vari punti della controversia prospettati dalle parti e rilevabili d’ufficio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) si deduce che il Tribunale 1) avrebbe erroneamente omesso di accertare la eventuale illiceità penale del fatto dal quale era derivato l’infortunio, disapplicando così la sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale 19-6-1981 n. 102, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124-65, nella parte in cui preclude in sede civile l’esercizio del diritto di regresso dell’I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro, qualora il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto del quale l’infortunio è derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l’Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento penale ed 2) avrebbe ingiustificatamente dichiarato prescritta l’azione dell’Istituto, con riguardo alla condanna del Barbato per i reati contravvenzionali, pur risultando già dal ricorso introdottivo del giudizio o la contestuale produzione delle diffide inviate ai responsabili, quali prove dell’avvenuta interruzione della prescrizione. Si fa poi un generico riferimento alle ragioni esposte nel giudizio di merito.

Il motivo è fondato per quanto di ragione.

Invero, quanto al primo profilo èpalese la violazione di legge, in cui è incorso il Tribunale nell’applicare il principio secondo il quale soltanto l’accertamento penale della responsabilità del datore di lavoro (o di un suo dipendente) nell’infortunio legittima l’azione di regresso dell’Istituto, senza considerare che la relativa normativa, derivante dal combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 102-81, era stata dichiarata illegittima per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui preclude in sede civile l’esercizio del diritto di regresso dell’I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro, qualora il processo penale, promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto dal quale l’infortunio è derivato, si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l’Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al procedimento penale.

E tale situazione si verifica normalmente per l’I.N.A.I.L., secondo il vigente sistema giuridico, in quanto, ritenuto privo del diritto di costituirsi parte civile, subisce inevitabilmente le conseguenze della decisione assolutoria (o di condanna con riflessi pregiudizievoli sul contenuto dell’azione di regresso) emessa dal giudice penale nella fase del giudizio.

Da tale vizio discende la denunziata omessa motivazione (rectius omessa pronuncia) sull’oggetto della domanda.

Quanto al secondo profilo, basta rilevare che risulta esatta l’affermazione del ricorrente accertata dalla Corte con i suoi poteri in materia di controlli dei vizi in procedendo, secondo cui erano stati prodotti originariamente con l’atto introduttivo le “diffide” ad adempiere indirizzate ai responsabili fin dal 7-4-1974, non esaminate dal Tribunale, il quale, invece, ha dichiarato prescritto l’azione di regresso, con riguardo alla condanna del Barbato per i reati contravvenzionali relativi alla violazione delle prescrizioni antinfortunistiche. Da ciò deriva il denunciato vizio di omesso esame di documenti rilevanti e decisivi ai fini dell’accertamento della dedotta interruzione del corso della prescrizione in questione.

Il riferimento generico alle ragioni svolte nei giudizi di merito è inammissibile, , sicché in conclusione, il ricorso deve accogliersi per quanto di ragione; l’impugnata sentenza deve essere cassata e la causa deve essere rinviata, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altro Tribunale, che si designa in quello di Benevento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, al Tribunale di Benevento.
Così deciso in Roma, addì 25-3-1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 GENNAIO 1986