Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato tra il 9 e il 20 gennaio 1976 Emilio Nego, Romolo Gulinelli, Silvano Albera, Guido Profeta, Giuseppe Scalzo, Aldo Bertana e Francesco Irico, convenivano davanti al Tribunale di Torino, la S.P.A. FERROVIE E COSTRUZIONE (FER.CO), la S.A.S. SONIA di Franco M. e C., chiedendo la pronuncia di una sentenza dichiarativa della inesistenza del diritto preteso dalla prima di disporre dei territori circostanti ad alcuni fabbricati per collocarvi dei posti macchina a cielo libero con la condanna delle medesime a eliminare le opere già realizzate per la sistemazione di tali posti, e di riconoscimento dell’obbligo delle altre due società di garantire i rispettivi compratori della pretesa della FER.CO.

Costituitasi in giudizio la FER.CO contestava il fondamento della domanda e ne chiedeva il rigetto deducendo di avere diritto di delimitare e di disporre dei posti macchina sia in virtù di clausole contenute nel contratto di compravendita, per notaio Picco del 9 luglio 1969, interamente riportate e trascritte nei successivi atti con i quali gli attori avevano acquistato gli immobili, nonché del mandato in ciascuno dei menzionati atti conferito all’amministratore delegato della FER.CO di determinare le parti comuni, sia in base a una riserva inserita in attuazione del mandato stesso nel regolamento di condominio.

Le altre due società convenute negavano la sussistenza di qualsiasi loro obbligazione di garanzia.

Con sentenza del 17 settembre 1979 il giudice adito accoglieva la domanda proposta nei confronti della FER.CO, dichiarando che le aree controverse costituivano cortile comune e che la convenuta non aveva, quindi, il diritto di utilizzare nel suo esclusivo interesse, in contrasto con gli accertati diritti degli attori; e rigettava, invece, la domanda di garanzia.

Secondo il Tribunale, per effetto del contratto del 9 luglio 1969, con cui le aree inedificate erano state in parte assoggettate a servitù di passaggio, e, per la parte rimanente, a uso comune, in quanto libere da costruzioni e da “posti macchina a cielo aperto”, le aree stesse non potevano essere destinate alla specifica utilizzazione pretesa dalla FER.CO, giacché questa, terminate le costruzioni e non avendo convenzionalmente determinato aree riservate, non potevano più vantare diritti su tali aree comuni.

Contro tale pronuncia proponeva appello la “FER.CO” insistendo nel chiedere il rigetto delle pretese degli attori.

Altra impugnazione del medesimo contenuto veniva proposta dalla società IM.CO..

Resistevano ai gravami gli appellati deducendone l’infondatezza. Previa riunione delle impugnazioni, la Corte di appello di Torino, con sentenza del 6 febbraio 1982, in riforma della decisione di primo grado, rigettava anche la domanda principale che era stata proposta nei confronti della FER.CO..

Ad avviso della Corte di merito, il diritto vantato dalla Spa “FER.CO” (diritto ai posti macchina a cielo aperto) era stato costituito con il citato contratto per notaio Picco del 9 luglio 1969, intercorso tra la FER.CO e la MICHELIN, giacché la planimetria a questo allegata e sottoscritta dalle parti, precisava chiaramente quella che doveva essere l’ubicazione di tali posti, e la procura, successivamente conferita dagli acquirenti (i coniugi Profeta-Scalzo e Bertana Irico) negli atti di compravendita dei rispettivi immobili (contratti del 28 giugno e del 5 luglio 1974) all’amministratore delegato della FER.CO per la determinazione delle parti comuni, era idonea a delimitare l’oggetto del diritto di proprietà sulle stesse, posto che non si trattava di individuazione discrezionale, ma di area già sottratta all’uso comune, mediante la delimitazione grafica contenuta nella planimetria allegata all’atto del 9 luglio 1969.

Né voleva obiettare che i terzi acquirenti non erano stati posti in grado di accertare l’esistenza del diritto costituito con il tratto del 9-7-1969 e che, quindi, lo stesso non era loro opponibile, risultando questo solo dalla planimetria allegata al contratto e non dalla relativa nota di trascrizione; non occorrendo agli effetti su indicati che la planimetria sia riportata nella nota, essendo soltanto necessario che questa contenga il rinvio alla planimetria (ipotesi verificatasi nel caso concreto).

La nota ha infatti carattere riassuntivo e può quindi contenere dei rinvii, almeno per le parti dell’atto che non possono materialmente essere riassunte (planimetria, disegno topografico), tanto più quando, come era avvenuto nella specie, il contratto si limiti a richiamare la planimetria, in ossequio ala legge notarile e ad acquisirla al proprio testo come sua parte essenziale e integrante.

In particolare, poi, la conoscenza dell’esistenza del diritto risultava direttamente da alcune clausole dei contratti, prodotti in giudizio, con i quali erano stati acquistati gli immobili del Bego e dell’Albera: inoltre, poiché il diritto acquistato da costoro e dal Gulinelli, secondo quanto deciso dalla pronuncia del Tribunale (su tale punto non impugnata) si concretava in una vera e propria servitù di passaggio, doveva escludersi, per mancanza di prova contraria, che la delimitazione dei posti macchina potesse arrecare pregiudizio all’esercizio della detta servitù.

Avverso la su indicata sentenza della Corte di Appello di Torino per cassazione Emilio Bego, Romolo Gulinelli, Silvano Albera, Guido Profeta e Giuseppa Scalzo in Profeta, Aldo Bertana e Francesca Irico in Bertana deducendo tre motivi.

Resistevano con due distinti controricorsi le S.P.A. Ferrovie Costruzioni e IMMOBILI e COSTRUZIONI IM.CO.. I ricorrenti e la FER.CO hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Occorre premettere che i giudici di appello hanno confermato la statuizione già emessa dal Tribunale in ordine alla natura del diritto acquistato da Emilio Bego, da Silvano Albera e da Romolo Gulinelli rispetto al cortile nel quale avrebbero dovuto essere realizzati i posti macchina, pretesi dalla FER.CO, ritenendo che esso si concreta in una vera e propria servitù di passaggio; e che, pertanto, oltre che per le ragioni già indicate, che secondo i giudici di appello renderebbero opponibile il diritto vantato dalla Fer-Co a tutti gli aventi causa a titolo particolare delle Società Im.co e Sonia di Franco M. e C. (ivi compresi il Bego, l’Albera e il Gulinelli), la domanda di questi ultimi doveva essere rigettata per l’ulteriore ragione che essi non avevano dimostrato – e doveva conseguentemente escludersi – che la delimitazione delle aree da riservare ai posti macchina potesse arrecare pregiudizio allo esercizio della servitù di passaggio: il solo diritto loro spettante sul cortile.

Poiché quest’ultima statuizione – che è da sola sufficiente a giustificare il rigetto delle domande proposte dal Bego, dall’Albera e dal Gulinelli – non è stata impugnata, nel consegue che il ricorso proposto da costoro non può essere accolto, essendo esso inammissibile per difetto di interesse, indipendentemente dalla fondatezza delle censure che sono state proposte con il ricorso avverso le altre argomentazioni su cui si è basata la sentenza impugnata.

Il ricorso proposto dal Bego, dall’Albera e dal Gulinelli deve essere quindi rigettato, con la conseguente condanna dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione – nella misura indicata nel dispositivo – a favore della soc. Fer.Co nonché al pagamento dei relativi onorari che si liquidano rispettivamente in lire ottocentomila a favore della prima e in lire seicentocinquantamila a favore della seconda.

Deve quindi procedersi all’esame del ricorso proposto da Guido Profeta, Giuseppa Scalzo in Profeta, Aldo Bertana e Francesca Irico in Bertana.

Con il primo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 345 in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 del codice di procedura civile deducendosi che nel giudizio di primo grado le società convenute, e in particolare la Fer.Co, avevano invocato, a fondamento della propria difesa, “il diritto di individuare discrezionalmente, le aree non edificate” da destinare a posti macchina a cielo libero: diritto non ancora tradotto in termini concreti, per essere stato collegato al mandato rilasciato all’amministrazione della Fer.Co per la determinazione delle parti comuni.

Pertanto la diversa tesi – secondo cui i posti macchina sarebbero stati, invece, già individuati e specificati nel numero complessivo, nel tracciato e nell’ubicazione – avanzata per la prima volta nel giudizio di appello , configurava una domanda nuova rispetto ai temi di indagine che erano stati sottoposti all’esame dei giudici di primo grado, che avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per il divieto sancito dall’art. 345 C.P.C..

Il primo mezzo è infondato in quanto i diversi elementi – rispetto a quelli che erano stati dedotti nel giudizio di primo grado

– su cui venne basata la difesa della Soc. FER.CO nel giudizio di appello per fare rigettare le domande proposte da Emilio Bego e dagli altri litisconsorti, pur involgendo l’accertamento di posizione di diritto sostanziale, astrattamente suscettibili di formare oggetto di distinte domande da assoggettare ai limiti e alle preclusioni di ordine processuale stabilite dall’art. 345 C.P.C. (qualora fossero stati dedotti dalla FER.CO in via riconvenzionale), furono allegati dalla Società convenuta in via di eccezione, allo scopo di paralizzare l’accoglimento delle domande proposte dagli attori.

Ora se – come è evidente – tali eccezioni avrebbero potuto essere dedotte in appello dalle predette convenute anche se essere fossero rimaste contumaci nel giudizio di primo grado (senza per questo incorrere nella violazione del principio del doppio grado di giurisdizione), né deriva che nessuna preclusione può farsi discendere da non essere state quelle eccezioni proposte dalle convenute nel corso del giudizio di primo grado: come risulta chiaramente dal capoverso dal citato art. 345 C.P.C., concernente appunto l’ammissibilità delle eccezioni nuove nel giudizio di appello.

Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2643 e segg. e in particolare dell’art. 2653 C.C. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C. e premesso che nella clausola dell’art. VI, 13 del rogito Picco fu formulata una semplice riserva di futura costituzione dei posti macchina, prevedendosi soltanto che le aree così utilizzate sarebbero state escluse dal cortile di uso comune; e che, in particolare, nella clausola su richiamata non esiste alcun riferimento alla planimetria allegata all’atto e che nella planimetria non esiste alcuna indicazione che consenta di ritenere che i tracciati in essa contenuti si riferissero ai posti macchina nella planimetria non sarebbe stato sufficiente per rendere opponibile ai terzi il diritto che si assumeva essere stato in tal modo costituito a favore del FER.CO, non potendo ciò aver luogo se non attraverso l’indicazione nella nota di trascrizione di tutti gli elementi necessari per la concreta identificazione dei posti macchina e per la esatta individuazione del diritto che su di essi era stato costituito a favore della Soc. FER.CO.

Il secondo motivo è fondato.

I giudici di appello hanno infatti ritenuto che la delimitazione grafica delle aree, che avrebbero dovuto essere riservate alla Soc.

FER.CO per essere destinate alla realizzazione dei posti macchina e che sarebbero state conseguentemente sottratte all’uso comune, contenuta nella planimetria allegata al rogito Picco del 9 luglio 1969, fosse opponibile ai terzi aventi causa delle due società (soc.a.s. Immobiliare Bellavista, trasformatasi successivamente nella soc.p.a. IM.CO e Soc.n.c. Sonia di Franco M. e C.), avendo queste ultime nell’acquistare insieme alla Soc. FER.CO, con il citato rogito Picco, la comunione dell’area, prevista ed accettata la sua destinazione, con il limite dei posti macchina che sulla stessa sarebbero stati realizzati e che sarebbero dovuti essere riservati alla soc. FER.CO.

A tale conclusione i suddetti giudici sono pervenuti ritenendo in particolare che l’area da destinare ai posti macchina era stata già sottratta all’uso comune per effetto della delimitazione grafica contenuta nella planimetria allegata all’atto di vendita consacrato nel citato rogito Picco del 9 luglio 1969; e ritenendo, inoltre, che nessuna rilevanza potesse riconnettersi al fatto che tale diritto risultasse solo dalla planimetria allegata al contratto di vendita e non anche dalla relativa nota di trascrizione, al fine di escludere che il relativo acquisto da parte della Fer.Co fosse opponibile ai terzi, che avevano acquistato successivamente dalle predette società IM.CO e Sonia il diritto di usare della medesima area, senza le limitazioni di carattere reale, che sarebbero derivate dalla sua asserita parziale destinazione dalla realizzazione dei posti macchina, pretesa dalla Fer.Co..

Ora, a prescindere dal rilevare che la motivazione che è stata adottata dai giudici di appello appare quanto meno perplessa e inadeguata a rilevare l’iter logico della decisione (non avendo chiarito da quali clausole del rogito Picco, anche se da integrare con il richiamo all’allegata planimetria, furono previsti la esatta ubicazione dei posti macchina e il diritto che su di essi sarebbe stato riservato a favore della Fer.Co; e le ragioni che avrebbero giustificato – malgrado la pattuita concreta predeterminazione di tali elementi – la procura che fu rilasciata all’amministratore delegato della Fer.Co dalle altre società coacquirenti del cortile comune e dai rispettivi aventi causa per la determinazione delle parti comuni), è decisivo osservare che i giudici di appello nel ritenere opponibile il diritto vantato dalla Soc. Fer.co sulle aree, comprese nel cortile comune, da destinare alla realizzazione dei posti macchina ai terzi aventi causa a titolo particolare delle Soc.

IM.CO e Sonia, in base a un generico rinvio alla planimetria allegata al rogito Picco, contenuto nella nota di trascrizione, hanno violato i principi che regolano la opponibilità ai terzi degli atti che sono soggetti alle formalità della trascrizione.

E’ noto invero che per stabilire se ed in quali limiti un atto trascritto sia opponibile ai terzi e possa quindi considerarsi assolto l’onere della trascrizione deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota consentite di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio e i beni ai quali esso si riferisce nonché l’essenza e la natura del diritto che si è voluto trasferire o costituire, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo che, insieme con la nota di trascrizione, deve essere presentato al conservatore dei registri immobiliari (v. sent. 13-5-1963 n. 1172; 17 marzo 1964 n. 611; 7-8-1964 n. 2266; 26-7-1967 n. 1976; 14-7-1976 n. 2711; 10-8-1977 n. 3692; 20-12-1980 n. 6574).

Appare quindi evidente che il generico rinvio alla planimetria allegata al rogito Picco, che nel caso concreto sarebbe stato fatto nella nota di trascrizione, senza alcuna precisazione della consistenza, del contenuto e dell’oggetto dei diritti nonché delle clausole del contratto, da cui tali diritti erano derivati, non poteva valere a soddisfare la condizione richiesta per ritenere assolto l’onere della trascrizione al fine di rendere opponibili ai terzi aventi causa a titolo particolare delle predette due società IM-CO e Sonia, i pretesi diritti vantati dalla FER-CO sui posti macchina, in base a clausole pattizie concordate tra le tre Società con il citato rogito Picco.

L’accoglimento del secondo mezzo comporta l’assorbimento del terzo mezzo con cui si censura la sentenza impugnata per avere i giudici di appello desunto ulteriori elementi di conferma per ribadire la ritenuta opponibilità dell’acquisto del diritto sui posti macchina vantati dalla FER-CO dalla presupposta ma non dimostrata conoscenza di fatto, che avrebbero avuto alcuni soltanto degli attuali ricorrenti (il Bego e l’Albera) dell’asserita predeterminazione concreta delle aree su cui avrebbero dovuto essere realizzati i posti macchina in base alle intese intercorse tra i propri danti causa e la FER-CO..

Trattasi invero di considerazioni che sono state fatte dai giudici di appello con essenziale riferimento alla posizione del Bego e dell’Albera (la cui conoscenza in ordine al diritto vantato dalla Fer-Co sarebbe emerso dal contenuto di alcune clausole dei rispettivi contratti di acquisto) i cui ricorsi, per quanto sopra si è detto, devono essere rigettati.

E’ quindi evidente che rispetto agli altri ricorrenti le suddette considerazioni non hanno svolto alcun ruolo riguardo al problema della opponibilità del diritto vantato dalla Fer.Co e non richiedono pertanto di essere vagliate al lume delle censure che sono state proposte con il terzo mezzo, dovendo l’accennato problema essere risolto esclusivamente in base ai principi che sono stati richiamati esaminando il secondo mezzo.

Pertanto in accoglimento del secondo motivo del ricorso proposto da Guido Profeta, Giuseppe Scalzo in Profeta, Aldo Bertana e Francesca Irico in Bertana – e con il rigetto del primo motivo e assorbimento del terzo motivo del medesimo ricorso – la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino, a cui stimasi opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dal Bego, dall’Albera e dal Gulinelli; accoglie il secondo motivo del ricorso proposto dal Profeta, dalla Scalzo, dal Bertana e dalla Irico – rigettando il primo motivo e dichiarando assorbito il terzo motivo del medesimo ricorso -, cassa in relazione al motivo accolto, quanto al ricorso dei predetti quattro ricorrenti, e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Torino anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Condanna in solido i ricorrenti Bego, Albera e Gulinelli alle spese del giudizio di cassazione a favore della Fer.Co che liquida in lire 98.150 oltre a lire 800.000 a titolo di onorari; condanna Bego e Gulinelli in solido alle spese del giudizio di cassazione a favore della IM.CO, spese che liquida in lire 32.350, oltre a lire 650.000 a titolo di onorari.
Così deciso in Roma il 27 Settembre 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 APRILE 1986