Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 10 febbraio 1986 i fratelli Remo e Gianfranco Di Nardo convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Isernia la S.r.l. CREP per sentire accertare quale fosse il debito su di essi gravante nei confronti della convenuta. Esponevano che, prefissati dalla minaccia di una richiesta di estensione, nei loro riguardi, del fallimento (già dichiarato) della propria genitrice, avevano assunto a proprio diretto carico un debito di quest’ultima verso la Soc. CREP, per fornitura di materiali edili; debito rappresentato da due assegni bancari per complessive lire 85 milioni comprensive di sorte ed interessi, ed andati in protesto nel marzo e luglio 1983; che a tale fine essi avevano sottoscritto in data 25 ottobre 1984, con il legale rappresentante della Soc. CREP, una scrittura privata in base alla quale il debito espromesso era stato postergato e frazionato in varie rate mensili con scadenze dal 25 novembre 1984 al 25 gennaio 1987, era stato pattuito un tasso convenzionale di interesse in ragione del 25% annuo; ed erano stati da loro rilasciati effetti cambiari per un ammontare complessivo di lire 172 milioni. Su tali premesse gli attori chiedevano che – avendo essi negoziato in un momento di particolare bisogno, essendo stati calcolati interessi su interessi, ed essendo stato novato un debito di persona già dichiarata fallita – la esposizione debitoria fosse riportata a più giusti valori, previo sequestro dei titoli di credito.

La convenuta società, costituitasi in persona del suo amministratore unico Pio Quattrini instava per il rigetto della domanda; sosteneva la validità dell’accordo novativo del 25 ottobre 1985 concluso a definizione di precedenti tumultuosi rapporti tra le parti, ma pur sempre spontaneamente.

Con sentenza del 12 gennaio 1987 l’adito Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, accertava:

a) che il debito originario della madre dei Di Nardo, scaduto nel marzo e luglio 1983 ammontava a lire 85.076.613= come precisato nella scrittura privata del 25 ottobre 1984;

b) che, nel portare a capitale gli interessi su quella somma già maturati, mediante la predetta scrittura non si era dato luogo ad anatocismo;

c) che peraltro per il periodo compreso tra il marzo – luglio 1983 ed il 25 ottobre 1984 il tasso d’interesse del 25%, sebbene pattuito in forma scritta, urtava contro il precetto di cui all’art. 1284 c.c., il terzo comma del quale recava un principio “per sua natura limitato agli interessi da scadere e non a quelli scaduti”;

d) che pertanto, relativamente al periodo predetto poteva unicamente accedersi ad un computo degli interessi moratori e del maggior danno da svalutazione monetaria nella misura omnicomprensiva del 15% annuo.

Stabiliva pertanto il Tribunale che il debito globale dei Di Nardo alla data della scrittura privata ammontava a lire 36.463.984, ma che per il resto conservava validità il regolamento cambiario tra le parti pattuito, ivi compresa la convenzione del tasso d’interesse del 25% annuo sulle rate di debito venute a maturare dal 25 ottobre 1984 in poi, e rimaste tutte insolute.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Soc. CREP assumendo che nel ridurre l’entità del debito dei Di Nardo, per le considerazioni sub c) e sub d) il primo giudice era andato “ultra petita” e non aveva considerato la natura transattiva della convenzione del 25 ottobre 1984 né la circostanza che già in precedenza il debito della loro genitrice era gravato da interessi convenzionali al tasso del 30% annuo.

Gli appellati instavano per il rigetto del gravame.

Con sentenza del 19 aprile 1989 la Corte di Appello di Campobasso accertava che il debito dei fratelli Di Nardo nei confronti della Soc. CREP andava calcolato tenendo conto delle somme portate dalle obbligazioni cambiarie elencate nella scrittura privata del 25 ottobre 1984 nonché del tasso di interesse convenuto in ragione del 25% annuo con la scrittura stessa. Quest’ultima infatti – osservava la Corte – non era stata disconosciuta dai Di Nardo e rappresentava una vera e propria transazione in quanto con essa le parti si erano fatte reciproche concessioni, estinguendo precedenti rapporti e creandone altri per definire liti in corso e prevenirne altre, cosicché l’ammontare del debito non poteva essere determinato tenendo conto di questioni attinenti al rapporto preesistente estinto.

Per la cassazione di tale sentenza Remo e Gianfranco Di Nardo hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi di censura.

La Soc. C.R.E.P. ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria.

Motivi della decisione

I primi tre mezzi di annullamento possono essere congiuntamente esaminati in quanto attinenti al tema se la Corte territoriale potesse o meno riconoscere validità alla pattuizione scritta mediante la quale i fratelli Di Nardo, assumendo a proprio diretto carico un debito alla genitrice, già scaduto e rimasto insoddisfatto, (dal marzo – luglio 1983) avevano concordato un tasso d’interesse in misura ultralegale con decorrenza iniziale da quelle pregresse date e finale sino alle future scadenze del nuovo debito rateizzato.

Negano i ricorrenti con il primo motivo, che lo accordo scritto del 25 ottobre 1984 avesse natura transattiva (atta a fornire giustificazione causale all’assunzione dell’obbligazione sopra ricordata), sia perché inidoneo ad individuare reciproche concessioni, sia perché non sorretto da “intenzione transattiva”. Di qui la violazione degli art. 1362, 1965, 1966 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Soggiungono i ricorrenti, con il secondo motivo, che il pagamento di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto costituisce adempimento di obbligazione naturale: obbligazione inidonea a costituire oggetto di valida transazione, sicché la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione degli art. 1436, 1419, 1965, 2043 c.c.

Con il terzo motivo sostengono poi i ricorrenti che se l’interesse che li aveva spinti alla transazione fosse stata quella di non essere coinvolti nel fallimento della genitrice (come affermato nella impugnata sentenza) la Corte di merito avrebbe dovuto porsi il problema della nulllità di quell’accordo.

Nessuna delle sopra riassunte censure si profila assistita da giuridico fondamento.

Invano – anzitutto – viene contestata la natura di novazione transattiva dell’accordo scritto del 25 ottobre 1984.

L’oggetto del negozio transattivo va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti (come invece i ricorrenti ritengono) bensì in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comportare attraverso reciproche concessioni, in vista di liti insorte od insorgende; cosicché il giudice del merito al fine di indagare sulla portata e sul contenuto transattivo di una scrittura negoziale, secondo le norme dell’ermeneutica contrattuale, può attingere ad ogni elemento idoneo a chiarire i termini dell’accordo ancorché non richiamati nel documento senza che ciò comporti violazione del principio in base al quale la transazione deve essere provata per iscritto (così Cass. n. 3714 del 1988).

Nel caso in esame, sia la volontà transattiva sia l’oggetto delle reciproche concessioni sia i rispettivi interessi a conseguirle risultano adeguatamente indicate nella impugnata sentenza, sulla base di un accertamento di fatto immune da vizi logico giuridici e quindi non soggetto a sindacato in questa sede di legittimità (Cass. n. 4619 del 1987 “ex plurimis”).

Va soggiunto che la eventuale nullità od annullamento della transazione avrebbe dovuto essere fatta valere in sede di merito e non può essere dedotta per la prima volta con terzo motivo del ricorso; tanto meno nei termini assolutamente indeterminati ed inafferrabili secondo i quali è stata formulata.

Sterilmente, con il secondo mezzo di impugnazione, si sostiene poi che il pagamento di interessi ultralegali non pattuito per iscritto costituisce adempimento di obbligazione naturale. La osservazione avrebbe una qualche ragion d’essere se fosse ancora in contestazione l’originario debito della madre dei Di Nardo, e se quel debito non fosse invece rimasto estinto e sostituito da quello assunto a proprio carico dai fratelli Di Nardo con la scrittura privata del 25 ottobre 1984.

Non può invero dubitarsi che con quel negozio fu posto in essere una transazione novativa (essendosi accertato che le parti intesero addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto diretto a sostituire quello precedente caducandolo in forza di nuove ed autonome statuizioni: cfr. Cass. n. 1400 del 1986). Ne consegue che il problema della decorrenza degli interessi pattuiti in forma scritta in misura ultralegale doveva essere risolto (come rettamente ha fatto il giudice di secondo grado) con riferimento alla obbligazione nuova, dei Di Nardo, scaturente dall’accordo transattivo e secondo esso strutturata, e non più in riferimento alla precedente obbligazione della madre dei predetti (obbligazione per la quale la società creditrice espressamente rinunziava all’ammissione al passivo fallimentare).

Orbene, contestualmente alla nascita della nuova ed autonoma loro obbligazione consacrata in forma scritta, i fratelli Di Nardo assumevano a proprio carico anche i danni derivati alla CREP dalla pregressa insolvenza della genitrice, e quantificati in quel carico di interessi che, se avessero continuato a gravare su di lei avrebbero avuto natura moratoria, ma che venendo ad inserire ad una nuova “causa debendi” con scadenza futura (stante la postergazione e rateizzazione del concordato pagamento) acquistavano carattere compensativo della naturale fruttuosità del denaro dal creditore non goduta.

Detti interessi, pattuiti in forma scritta e considerata la loro funzione, ben potevano essere calcolati con decorrenza iniziale pregressa (dal marzo e luglio 1983), ed esser sommati con il debito capitale per la formazione di ratei di pagamento tutti con scadenza successive alla data dello accordo; senza che, per questa parte, l’accordo medesimo assumesse carattere meramente ricognitivo di un tasso di interesse moratorio ultralegale su debito già scaduto.

Secondo pacifico avviso dottrinario, invero, la forma scritta è richiesta “ad substantiam” dall’ultimo comma dell’art. 1284 c.c. allo scopo di richiamare l’attenzione del debitore sulla gravosità di un obbligo che va a contrarre in misura superiore a quella che la legge considera normale (tasso legale d’interesse del 5%); ma perché tale forma di cautela sia efficace ed operativa deve ritenersi sia anteriore alla scadenza pattizia del debito principale cui gli interessi medesimi ineriscono.

Nel caso di specie non solo tale anteriorità era incontestabile, ma sussisteva altresì la contestualità della nascita – per effetto di transazione novativa – dell’obbligazione di pagamento, in capo ai fratelli Di Nardo, sia della sorte capitale sia degli interessi compensativi (ed all’occorrenza moratori).

Questa Suprema Corte ha, del resto, già avuto occasione di affermare la validità ed efficacia del patto (scritto) inserito in un accordo modificativo o transattivo mediante il quale un debito scaduto è prorogato e rateizzato ed in compenso il debitore si obbliga a corrispondere, nel periodo di proroga, interessi ad un tasso determinato superiore a quello legale (cfr. Cass. n. 1230 del 1967).

Anche il secondo mezzo di annullamento deve pertanto essere disatteso.

Con il quarto ed ultimo motivo del ricorso, denunziando la violazione degli artt. 112, 132 c.p.c. in relazione all’art. 480 c.p.c., n. 3, i Di Nardo si dolgono del fatto che la Corte territoriale avrebbe, in definitiva, omesso di pronunziare sulla domanda di accertamento (del quantum del debito) da loro proposta in via giudiziaria.

Questa censura risulta inammissibile per manifesto difetto di interesse.

La prova dell’importo del debito esistente a carico dei fratelli Di Nardo gravava su questi ultimi che avevano al riguardo promosso azione di accertamento e, non risultando dalle risultanze processuali elementi idonei e sufficienti di giudizio, il giudice del merito non poteva far altro che limitarsi ad indicare gli elementi di diritto accertati come validi e pertinenti ai fini della determinazione quantitativa della esposizione debitoria. Poiché a tale partito si era attenuto il Tribunale, senza che la sua pronunzia fosse impugnata in via incidentale dai Di Nardo, correttamente la Corte territoriale, accogliendo per quanto di ragione la impugnazione della Soc. CREP, ha emendato la decisione resa in primo grado degli errori o manchevolezze che in linea di diritto la inficiavano; né i soccombenti Di Nardo possono in questa sede dolersi che la loro domanda non sia stata, invece, totalmente respinta perché non provata.

Per quanto concerne, infine, la richiesta ex art. 89 c.p.c. di cancellazione di espressioni asseritamente offensive contenute nell’atto di appello della Soc. C.R.E.P., (richiesta dalla Corte di Appello non presa in considerazione), si osserva che, dato il suo carattere discrezionale, il mancato uso del potere di cancellazione da parte del giudice del merito è incensurabile in Cassazione anche nel caso di mancata pronuncia sull’istanza che quel potere solleciti, equiparandosi il silenzio ad esercizio in senso negativo (cfr. Cass. n. 4237 del 1987).

In conclusione: il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese relative a questo giudizio per cassazione, in favore della società controricorrente.

P.Q.M.

La Corte suprema di Cassazione: rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in L. 87.900 nonché degli onorari liquidati in lire tre milioni a favore della società controricorrente.
Così deciso in Roma il 26 ottobre 1990.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 5 AGOSTO 1991.