Svolgimento del processo

Con citazione 19 novembre 1974 Giorgio Martellucci conveniva Antonio Magoni e Anna Liguoro davanti al tribunale di Latina, esponendo di aver acquistato, insieme con la moglie Edda Mancini, con atto Scognamiglio 1° giugno 1970 dal Mangoni un’intera colonna di fabbrica, sita in Terracina e composta del piano terreno, del primo piano e del lastrico solare, e di esser poi venuto a conoscenza che, con atto del 12 luglio 1974, era stato venduto alla Liguoro il predetto lastrico solare, oltre alla colonna di fabbrica attigua a quella da li acquistata. Ciò premesso, chiedeva che il lastrico solare fosse riconosciuto di esclusiva proprietà sua e della moglie, che fosse ordinata la chiusura del varco che la Liguoro illegittimamente aveva aperto per accedere allo stesso lastrico solare dall’appartamento da lei acquistato e che la medesima, solidalmente col Mangoni, fosse condannato al risarcimento dei danni.

La Liguoro resisteva, assumendo di aver acquistato da Roberto Mangoni (figlio ed avente causa da Antonio Mangoni) l’appartamento unitamente allo spazio in contestazione, costituente non già lastrico solare del corpo di fabbrica del Martellucci, ma terrazzo a livello di detto appartamento, e inoltre di non aver apportato modifiche all’accesso al terrazzo, che era stato lasciato nelle medesime condizioni dall’originario comune dante causa; proponeva quindi domanda riconvenzionale, perché il terrazzo fosse dichiarato di sua proprietà.

Dal suo canto Antonio Mangoni eccepiva il difetto della propria legittimazione passiva, essendo stato venduto l’appartamento alla Liguoro da Roberto Mangoni, e, nel merito, l’infondatezza della domanda in base a quanto dedotto dall’altra convenuta.

L’adito tribunale, con sentenza 20 ottobre 1978, rigettava la domanda, dichiarando che lo spazio in contestazione doveva ritenersi terrazzo a livello dell’appartamento acquistato dalla Liguoro.

Proponeva appello il Martellucci, insistendo per l’accoglimento delle istanze avanzate in prime cure.

La Liguoro e Antonio Mangoni invocavano il rigetto del gravame; la prima, in via pregiudiziale, eccepiva altresì l’inammissibilità dell’impugnazione per la tardiva notifica dell’atto di appello.

La corte di appello di Roma con sentenza 28 gennaio 1981, riteneva ammissibile l’impugnazione, in riforma dell’appellata pronunzia dichiarava costituire lastrico solare lo spazio sovrastante il corpo di fabbrica acquistato da Giorgio Martellucci e da Edda Mancini, condannando la Liguoro a rilasciarlo all’istante, e rigettava la domanda riconvenzionale proposta.

Considerava la corte del merito:

a) che, in seguito alla notifica della sentenza nella data del 13 dicembre 1978, la notificazione dell’atto di appello non si era potuta eseguire nel domicilio eletto dalla Liguoro (secondo la relazione di notifica della sentenza) presso il suo procuratore in Latina alla via Fabio Filzi 21, ma era stata alfine eseguita il 15 giugno 1979, cioé entro il termine fissato dall’istruttore, al nuovo indirizzo dello stesso procuratore in Latina alla via Ombrone 2;

b) che i termini per proporre l’impugnazione dovevano ritenersi veramente scaduti, soltanto se i luoghi, nei quali poteva essere effettuata la notificazione ai sensi dell’art. 330 c.p.c., fossero rimasti immutati e che, tra la data di notificazione della sentenza e quella di scadenza del termine di impugnazione risultando anche uno solo dei predetti luoghi non più utilizzabile per un fatto oggettivo non imputabile alla parte impugnante, non poteva discenderne la decadenza dal diritto d’impugnazione, dovendosi in tale ipotesi ritenere applicabile il termine di un anno previsto dall’art. 337 (recte: 327) c.p.c.;

c) che lo spazio in contestazione, per le sue caratteristiche strutturali messe in risalto nella relazione di consulenza tecnica, aveva quale destinazione oggettiva, non quella di terrazza a livello al servizio dell’attiguo appartamento, ma quella di copertura della sottostante proprietà Martellucci e che, pertanto, solo una volontà esplicita non risultante nella specie manifestata in alcun atto, ne avrebbe potuto sancire la separazione giuridica a favore di altri o in proprietà o per assoggettamento ad uso.

Anna Liguoro ha proposto ricorso per cassazione. ha risposto il Martellucci con controricorso. La ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi del ricorso, che per la loro stretta connessione devono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, con riferimento agli artt. 325 e 326 c.p.c. concernenti rispettivamente i termini per le impugnazioni e la decorrenza dei termini.

Secondo la stessa ricorrente, la sentenza del Tribunale di Latina, notificata il 13 dicembre 1978, doveva ritenersi passata in giudicato alla data del 13 gennaio 1979, non essendo stata notificata alcuna impugnazione del Martellucci nei confronti della Liguoro entro il termine prescritto, perché l’atto di appello – ciò che aveva trascurato di considerare la corte di merito – era stato restituito all’ufficiale giudiziario, in quanto il plico raccomandato spedito per posta non conteneva la indicazione della via e del numero civico del procuratore domiciliatario dell’intimata.

Non si sarebbe potuto perciò ritenere – sostiene la ricorrente – impedita la notificazione da un fatto oggettivo non imputabile in alcun modo alla parte impugnante, poiché in atti non vi era alcuna prova circa il cambio di indirizzo del procuratore domiciliatario, almeno per il periodo compreso fra il 13 dicembre 1978 e il 12 gennaio 1979, mentre il cambio era emerso solo dalla relazione di notifica dell’atto di appello spedito per posta dall’ufficiale giudiziario il 12 maggio 1979.

L’assunto non ha pregio.

Deve senz’altro esser condivisa l’opinione della ricorrente, secondo cui, se la notificazione dell’atto di appello è inesistente, non è consentita alcuna sanatoria, poiché questa è operante “ex tunc”, per effetto della costituzione dello appellato o di rinnovazione dell’atto nel termine fissato dall’istruttore ai sensi degli artt. 291 – 1° comma e 359 c.p.c., nei soli casi di nullità della notificazione per vizi attinenti al luogo della consegna dell’atto o relativi alla persona alla quale la consegna deve essere effettuata; in siffatti casi, infatti, la tempestiva notificazione dell’atto di impugnazione, ancorché affetta da nullità, vale ad impedire il passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, in virtù degli effetti riconosciuti alla sanatoria, di cui la notifica stessa è suscettibile, sia attraverso la costituzione della parte intimata, sia attraverso la rinnovazione dell’atto di impugnazione.

Tuttavia, benché vada riconosciuta l’inesistenza della notifica dell’atto di appello nei confronti di Anna Liguoro nel termine utile per la proposizione del gravame dopo la notifica della sentenza del tribunale di Latina al Martellucci nella data del 13 dicembre 1978, bastò nel caso in esame, ad evitare il passaggio in giudicato della pronunzia, la tempestiva notifica dell’impugnazione nei confronti del litisconsorte pure uscito vittorioso dal giudizio di primo grado, cioé Antonio Mangoni, che regolarmente si costituì nel giudizio di appello, peraltro senza nulla eccepire circa la regolarità della propria posizione processuale.

Non è infatti da revocarsi in dubbio che le due cause congiuntamente istituite dal Martellucci nei confronti di Anna Liguoro e di Antonio Mangoni siano collegate da un rapporto di dipendenza, avendo l’attore, nei riguardi della prima che se ne vantava proprietaria, chiesto che il lastrico solare vendutogli dal Mangoni fosse riconosciuto di sua esclusiva proprietà e, nei riguardi di entrambi, invocato il risarcimento dei danni, stante per il suo dante causa la responsabilità propria del venditore in ordine alla successiva vendita dello stesso bene in favore della Liguoro. E’ innegabile che la decisione, favorevole o sfavorevole per il Martellucci, in riferimento alla proprietà del lastrico solare fungeva da necessario presupposto logico della decisione concernente la pretesa risarcitoria avanzata nei riguardi del Mangoni, sì che le due cause, dovevano essere trattate unitariamente anche in sede di appello.

Essendo stata quindi sufficiente la tempestiva proposizione del gravame nei confronti di una sola delle parti, si sarebbe dovuta ordinare la integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 31 c.p.c. per la ricorrenza dell’ipotesi di causa tra loro dipendenti, ma ciò non si rese necessario, essendo poi intervenuta, sia pure oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, la regolare notificazione dell’atto di appello nei confronti della Liguoro nella data del 21 giugno 1979, e la costituzione in giudizio di costei.

Col terzo motivo, si denunzia, in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto”, nonché “contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Si deduce che i giudici di appello, attraverso un ragionamento quanto meno singolare, dopo aver considerato che l’edificio costruito da Antonio Mangoni si componeva di tre corpi di fabbrica, due laterali e uno centrale, limitrofi ed appartenenti a proprietari diversi, sarebbero pervenuti ad arbitraria conclusione circa l’esistenza di una divisione per piani verticali e l’assenza di parti destinate ad uso comune. Di qui, gli stessi giudici avrebbero dedotto che la copertura dell’appartamento Martellucci non era “terrazzo a livello” e pertanto pertinenza dell’appartamento Liguoro, bensì “lastrico solare” di proprietà esclusiva del Martellucci e della moglie.

Se invece avessero tenuto conto della circostanza che si trattava di un edificio unico, sorto su un unico apprezzamento in base alla medesima licenza edilizia e avente in comune impianti di servizi fino al punto di diramazione verso i singolo appartamenti, avrebbero dovuto almeno ritenere la comunione dello spazio conteso fra tutti i proprietari delle singole unità con l’uso a favore della Liguoro, dal cui appartamento era solo possibile l’accesso al medesimo.

Aggiunge la ricorrente che essi non avrebbero altresì tenuto presente che la qualificazione dello stesso spazio come terrazzo a livello emergeva dalla sua destinazione ad uso esclusivo di quel dato appartamento e dalla esistenza dell’unica possibilità di accesso da questo e che anche la volontà manifestata dal costruttore attraverso le pratiche di accatastamento e la mancata alienazione del manufatto al Martellucci e alla moglie orientavano verso una soluzione diversa da quella adottata.

Le censure non hanno fondamento.

Con incensurabile apprezzamento di merito, sostenuto da motivazione immune da vizi logici e da errori giuridici, i giudici di appello, sulla base della relazione di consulenza tecnica e della allegata planimetria, fissarono la situazione di fatto dello spazio conteso. Misero in risalto che l’edificio sito in Terracina alla località Tenuta di Ponte era in realtà strutturato in tre corpi di fabbrica, di cui quello centrale di tre piani e quelli laterali di due piani per ciascuno con ingressi separati; inoltre, che si trattava di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti a proprietari diversi e divisi per piani verticali, senza parti necessariamente ed obiettivamente destinate ad uso comune (tranne un muro verticale di divisione), giacché anche le coperture dell’appartamento della Liguoro e di quello del Martellucci erano di diversa altezza e prive di collegamento.

Esclusa perciò l’ipotesi di edificio unico diviso per piani orizzontali in più piani o porzioni di piano singolarmente appartenenti a proprietari diversi, nella quale, in mancanza o nel silenzio del titolo, per i tetti e i lastrici solari trova luogo, ai sensi dell’art. 1117 n. 2 c.c., la presunzione di proprietà comune “pro indiviso” tra i proprietari delle singole unità, sia sottostanti alla copertura sia svolgentisi in senso orizzontale rispetto alla stessa, occorreva stabilire a quale dei due contendenti appartenesse lo spazio di copertura in contestazione.

Al riguardo, come venne già rilevato dai giudici di merito, l’atto (rogito Scognamiglio 1° giugno 1970), col quale il Martellucci e la moglie acquistarono “l’appartamento composto di soggiorno cucina e bagno a piano terra, tre camere e bagno al sovrastante primo piano con annesso giardinetto”, non fece alcun accenno alla sorte della sovrastante superficie di copertura, che da parte del Martellucci si assume essere stata compresa nel trasferimento.

Sommamente importate e decisiva si rivelava perciò la qualificazione di detta superficie in base ad elementi obiettivi come lastrico solare o come terrazza al livello, essendo noto che il lastrico solare, al pari del tetto, assolvendo essenzialmente il compito di copertura dell’edificio, di regola ne forma parte integrante sia sotto il profilo meramente materiale sia sotto il profilo giuridico, mentre la terrazza a livello “é costituita da una superficie scoperta posta al somma di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che, per il modo con cui è stata realizzata, risulta destinata non tanto e non solo a coprire le verticali di edificio sottostanti, quanto e soprattutto a dare un affaccio ed ulteriore comodità all’appartamento cui è collegata e del quale in definitiva costituisce una proiezione verso l’esterno” (sentenza 28 marzo 1973 n. 856).

Lo stato obiettivo delle cose, caratterizzato nell’uno e nell’altro senso, giovava pertanto nell’interpretazione del titolo, indubbiamente di non chiaro significato, e valeva a stabilire, in base alla struttura e alla funzione della superficie contesa, se questa costituisse un’unica entità, non solo in senso fisico ma anche in senso giuridico, con i vani sottostanti, in modo che una diversa sorte di essa rispetto alla parte restante dell’edificio dovesse risultare da un atto di separazione compiuto dal proprietario dell’intera cosa, o se invece dovesse ritenersi incorporata nel piano o nella porzione di piano posto lateralmente allo stesso livello, rappresentandone la proiezione verso l’esterno e nello stesso tempo esercitando rispetto ai vani sottostanti una funzione di copertura meramente sussidiaria.

Ora, la corte del merito, attenendosi agli esposti principi, trasse, dalla situazione messa in risalto nella consulenza tecnica, il convincimento che la destinazione oggettiva della superficie contesa fosse quella di copertura della sottostante proprietà Martellucci. Considera infatti tra l’altro: che la delimitazione perimetrale dello spazio sovrastante la proprietà Martellucci mancava di protezione, mentre quella della terrazza a livello annessa all’appartamento Liguoro e insistente sulla proprietà Ziggiotti nel corpo di fabbrica del lato sud (ossia del lato opposto), pur essendo costituita da un muretto di identica fattura, era munita di ringhiera; che il pavimento dello appartamento in contestazione era di sei centimetri più basso rispetto allo spazio in contestazione; che la parete nord dell’appartamento Liguoro, prospiciente verso la proprietà Martellucci, era cieca, mentre quella a sud presentava una porta – finestra per l’accesso alla terrazza a livello insistente sulla proprietà Ziggiotti, e che la Liguoro, solo dopo l’acquisto del suo appartamento avvenuto nel 1974, ai fini dell’accesso allo spazio in questione, aveva aperto un varco con l’abbattimento del muretto esistente a confine con il suo balcone.

Considerò pure, traendone argomento per escludere la preesistenza di un diretto collegamento tra l’appartamento Liguoro e la superficie di copertura dell’appartamento Martellucci, che dalla planimetria allegata al precedente atto di trasferimento, riguardante lo stesso bene venduto poi alla Liguoro (rogito Scognamiglio 13 dicembre 1972, concernente la vendita da parte dell’originario proprietario Antonio Mangoni a favore del figlio Roberto) il muro perimetrale dell’appartamento Liguoro lungo il lato al confine con la proprietà Martellucci risultava senza soluzioni di continuo e quindi privo dell’indicazione di varchi per l’accesso allo spazio in contestazione.

Dalle considerate caratteristiche del bene in sé non poteva che discendere – secondo la correttamente motivata opinione della Corte del merito – la configurazione della superficie scoperta posta al sommo dei vani appartenenti al Martellucci come lastrico solare, legato alla stessa sorte giuridica dei vani sottostanti, e non come terrazza a livello, mancando di questa gli elementi strutturali e funzionali per l’incorporazione al piano adiacente. Ma anche se fossero sorti dubbi di qualificazione, questi non si sarebbero potuti che risolvere a favore della tesi più ovvia, in quanto fondata sulla normale funzione di copertura dell’intero edificio adempiuta dalla superficie posta al di sopra dei vani, mentre è consentito ravvisare l’esistenza di una terrazza a livello soltanto se dalla struttura e dalla funzione obiettiva risulti preponderante la destinazione particolare su quella comune.

In conclusione, il giudizio finale, espresso dalla corte del merito col qualificare quale lastrico solare la copertura della proprietà Martellucci e col ritenere quindi appartenente la stessa al rivendicante in virtù dello stesso atto di acquisto della sottostante parte dell’edificio, si presenta sorretto da argomentazioni logiche esaurienti e coerenti, nonché immune da errori giuridici. Esso, perciò, si sottrae alle censure che gli sono state mosse in sede di legittimità, impone il rigetto del proposto ricorso. Per motivi di equità vanno però compensate le spese del giudizio in cassazione.

P.Q.M.

La corte di cassazione rigetta il ricorso proposto e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Roma, 18 ottobre 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 APRILE 1986