Svolgimento del processo

MOSCUFO Antonio – avviato al lavoro in data 1.2.1980 dal competente ufficio di collocamento presso lo Stabilimento di Termoli della FIAT S.p.A. over però non era stato assunto, perché ritenuto “inidoneo”, in base ad accertamenti sanitari eseguiti da parte di alcuni medici fiduciari della società; e deducendo che tali accertamenti erano illegittimi perché disposti ed eseguiti in violazione dell’art. 5 legge n. 300 del 1970 e che comunque il giudizio di inidoneità era infondato; ciò premesso, con ricorso diretto al Pretore di Termoli, in data 18 marzo 1980, chiedeva che la FIAT S.p.A. fosse condannata ad assumerlo, a far data dal 1°-2-1980 iscrivendolo tra le unità lavorative presso lo Stabilimento di Termoli ed a corrispondergli la retribuzione che di fatto avrebbe dovuto percepire dalla data dell’avviamento al lavoro e sino all’effettivo inserimento nell’azienda.

Instauratosi il contraddittorio, la FIAT chiedeva il rigetto della domanda, deducendone la infondatezza.

Disposta ed espletata consulenza tecnica al fine di accertare l’idoneità o meno del lavoratore allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale era stato avviato, il Pretore, con sentenza del 25-2-1981, dichiarava costituito tra le parti il rapporto di lavoro subordinato con inquadramento del lavoratore ricorrente nel 2° livello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle industrie metalmeccaniche private, e condannava la FIAT al risarcimento dei danni, liquidandoli in complessive lire 9.000.000 oltre gli interessi legali dalla data del ricorso e dichiarava totalmente compensate le spese del giudizio.

Il Pretore, disattesa la teoria della costituzione automatica del rapporto di lavoro per effetto dell’atto di avviamento e la tesi dell’illiceità degli accertamenti medici disposti dalla FIAT; riteneva che il III° comma dell’art. 5 legge n. 300 del 1970 non fosse applicabile alle visite di selezione eseguite in vista dell’assunzione del lavoratore che, dovendo essere ancora assunto, non era ovviamente ancora dipendente.

Costituiva quindi il rapporto di lavoro subordinato ex art. 2932 c.c., in quanto, a seguito dell’atto di avviamento, sorgeva da un lato il diritto soggettivo del lavoratore ad essere assunto, e dall’altro, l’obbligo del datore di lavoro all’assunzione, essendo risultata nel caso concreto, a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, l’idoneità fisica del lavoratore-avviato; riteneva, quindi, ingiustificato il rifiuto all’assunzione manifestato dal datore di lavoro e condannava la società convenuta al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore (e costituiti dalle retribuzioni non percepite) per il periodo precedente, compreso tra la data dell’avviamento e quella della costituzione del rapporto, mediante sentenza.

Avverso tale sentenza proponeva appello la soc. FIAT e contestava:

– le conclusioni erronee cui era pervenuto il C.t.u., in quanto la grave forma artrosica riscontrata nel lavoratore-avviato rendeva incompatibile, anche per usura, l’esercizio delle mansioni di lavoro corrispondenti alla qualifica del Moscufo;

– l’obbligo risarcitorio statuito dal Pretore, dato che il rifiuto all’assunzione, essendosi basato sul giudizio di inidoneità fisica formulato dai medici fiduciari della società, non era sorretto né dal dolo né dalla colpa: e non era neppure ipotizzabile alcuna eventuale responsabilità della società ex art. 1228 c.c., dovendosi escludere che i medici nel caso concreto avessero agito con “colpa grave” (art. 2236 c.c.) essendo stata la loro opera esercitata nel “campo dell’opinabile”;

– la quantificazione dei danni operata dal primo giudice, dato che il lavoratore non aveva fornito al riguardo alcuna prova, e che, comunque, trattandosi di responsabilità “precontrattuale”, il danno avrebbe dovuto essere commisurato al solo “interesse negativo” (spese e perdite strettamente dipendenti dalle trattative) e nei limiti della prova che avrebbe dovuto dare il lavoratore-interessato: e che, riconosciuta una ipotesi di responsabilità extra-contrattuale, il danno non sarebbe in ogni caso risarcibile, per il periodo in contestazione, durante il quale erano stati espletati i necessari e legittimi accertamenti tecnici, né per il successivo periodo (compreso tra il rifiuto ed il ricorso del lavoratore o tra il ricorso e la pronuncia della sentenza), in quanto altrimenti si sarebbe dovuto risarcire anche la eventuale inerzia di quest’ultimo, e si sarebbero fatte ricadere sul cittadino le conseguenze dei “tempi lunghi” del processo.

Chiedeva, pertanto, in riforma della appellata sentenza, il rigetto delle domande proposte dal lavoratore-avviato e comunque la restituzione delle somme già da costui percepite per effetto della condanna pronunciata dal primo giudice.

Ricostituitosi il contraddittorio, l’appellato resisteva al gravame e, proponendo a sua volta appello incidentale, chiedeva che venisse dichiarata la “natura contrattuale” della responsabilità della soc. FIAT in relazione all’accertato rifiuto alla assunzione.

Il Tribunale di Larino, con sentenza pronunciata in data 31 gennaio 1984, in accoglimento dell’appello principale – e in riforma della appellata sentenza – condannava il Moscufo a restituire alla soc. FIAT la somma di L. 9.000.000, oltre agli interessi dovuti, compensando le spese del giudizio di secondo grado.

Osservava in motivazione:

– che doveva prendersi atto del corretto ed ineccepibile giudizio al riguardo formulato dal c.t.u. (nominato nel giudizio di primo grado) a proposito della ritenuta piena compatibilità della “situazione clinico-anatomo-funzionale” del Moscufo in relazione alla attività lavorativa di “manovale meccanico” che lo stesso avrebbe dovuto esercitare, senza alcuna usura, nello stabilimento della soc.

FIAT appellante: trattandosi di un giudizio basato su “dati obbiettivi” e “logicamente motivato”;

– che, sorgendo, per effetto dall’atto di avviamento, da un lato il diritto soggettivo del lavoratore ad essere assunto, e dall’altro l’obbligo (di derivazione legale) del datore di lavoro all’assunzione, doveva essere riconosciuta la responsabilità “contrattuale” del datore di lavoro, in caso di ingiustificato rifiuto all’assunzione;

– che nel caso di specie, però, la soc. FIAT non aveva agito né con dolo né con “colpa”, essendosi attenuta al giudizio al riguardo formulato dai suoi medici-fiduciari, nell’operato dei quali non era ravvisabile, peraltro, alcun eventuale difetto di “diligenza del buon padre di famiglia”, tanto che il loro giudizio diagnostico medico-legale, coincidente con quello successivamente formulato dal C.t.u. a proposito della accertata malattia del lavoratore-avviato, se ne era discostato, per una opinabile, legittima, diversità di valutazione basata su di una difficile previsione di eventi futuri, solo in relazione al possibile “rischio” di subire danni nell’esercizio di attività lavorativa, cui il Moscufo sarebbe stato esposto, a differenza degli altri lavoratori sani, essendo risultato il primo affetto da diffusa spondiloartrosi lombare;

– che, pertanto, sotto tale particolare angolazione, andava accolto l’appello principale proposto dalla soc. FIAT. con conseguente rigetto delle domande del lavoratore che andava conseguentemente condannato a restituire le somme (L. 9 milioni) già percepite a titolo di risarcimento dei danni dedotti.

Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione Moscufo Antonio e deduce quattro motivi di annullamento variamente articolati, illustrati poi con memoria.

Resiste con controricorso (e con memoria) la soc. FIAT, regolarmente costituita, che ha depositato, poi, dopo le conclusioni orali del Proc. Generale, brevi osservazioni scritte di udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, deducendo il vizio di contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) e denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1225 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c) si duole il ricorrente della sentenza impugnata, per avere il Tribunale, pur dopo avere riconosciuto la natura “contrattuale” della responsabilità del datore di lavoro conseguente alla violazione dell’obbligo legale di assunzione, escluso l’obbligo risarcitorio di quest’ultimo nei riguardi del lavoratore avviato e non assunto, non essendo il “rifiuto” all’assunzione sorretto dal dolo o dalla colpa e deduce:

– che una volta identificato il tipo di responsabilità (contrattuale) nel caso di specie il ricorrente, il debitore inadempiente è tenuto (art. 1218 c.c.) al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; di guisa ché,di fronte all’obbiettivo inadempimento del debitore la responsabilità di questi si configura indipendentemente dalla prova del comportamento doloso o colposo di lui, per il fatto stesso dell'”inadempimento” – salva la prova (che fa carico al debitore) – ai fini dell’esonero dalle conseguenze dell’inadempimento

– della incolpevole impossibilità della prestazione:

– che il Tribunale, incorrendo nei vizi di legittimità denunziati, ha erroneamente utilizzato i criteri del dolo e della colpa non già per escludere l’inimputabilità della impossibilità della prestazione (fra l’altro neppure allegata e dedotta dalla soc.

Fiat-Auto) ma per giustificare inammissibilmente l’imputabilità dell’inadempimento, ricorrente questa per il fatto obbiettivo del “rifiuto” all’assunzione, non giustificato né dal caso fortuito né dalla forza maggiore.

Con il secondo motivo di annullamento, denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) il ricorrente censura ulteriormente la sentenza, per avere il Tribunale, dopo avere erroneamente riferito il “criterio” della colpevolezza – non già alla impossibilità della prestazione, ma all’inadempimento, sollevato il datore di lavoro inadempiente dall’obbligo risarcitorio senza considerare che nessuna prova era stata al riguardo fornita dal debitore per superare la presunzione di colpa sopra di lui gravante (art. 1218 c.c.) ritenendo al contrario erroneamente che in definitiva la prova del dolo o della colpa avrebbe dovuto essere fornita dal creditore.

Con il terzo motivo del ricorso, deducendo il vizio di insufficiente motivazione circa l’esclusione di responsabilità della soc. FIAT-Auto (art. 360 n. 5 c.p.c.), lamenta il ricorrente che il Tribunale, pur dopo avere riconosciuto illegittimo e non giustificato il rifiuto all’assunzione abbia egualmente ritenuto lo stesso datore di lavoro non imputabile, senza adeguata motivazione, sulla base dell’operato, peraltro incolpevole, dei medici fiduciari a tale uopo incaricati.

Con il quarto ed ultimo motivo del ricorso, denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176-1228, 2236 C.C. (art. 360 n. 3 c.p.c.) si duole infine il ricorrente della sentenza impugnata, per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che la soc.

Fiat-Auto non fosse tenuta ad alcun risarcimento danni nei riguardi del lavoratore-avviato e non assunto, in quanto il rifiuto all’assunzione trovava la sua giustificazione, secondo il Tribunale, nel giudizio negativo formulato dai medici-fiduciari incaricati, nell’operato dei quali – fra l’altro – non era ravvisabile alcun errore, o quanto meno un eventuale errore colpevole, del quale comunque il datore di lavoro non avrebbe mai potuto rispondere, per carenza del dolo e della colpa nel comportamento da questi mantenuto.

Deduce al riguardo il ricorrente:

– che al contrario ricorrevano nel caso di specie tanto il dolo quanto la colpa;

– quanto al primo, esso era chiaramente desumibile dalle “accuse” che la difesa dei lavoratori avviati e non assunti (anche in altri analoghi giudizi) aveva esplicitamente rivolto alla soc. Fiat-Auto di Termoli nel giudizio di merito, di volere deliberatamente frustare gli scopi e le finalità della legge sul collocamento al lavoro, mediante un sostanziale sovvertimento delle graduatorie di avviamento dei soggetti iscritti negli appositi elenchi, attraverso l’instaurato sistema delle visite mediche preassuntive ed i conseguenti giudizi di inidoneità formulati, – sistema, questo, – che consentiva, in definitiva, al datore di lavoro di “scegliere” i propri dipendenti più graditi al di fuori della procedura regolamentata dall’articolata disciplina.

– quanto alla seconda, che essa era configurabile nel caso di specie, attesoché:

a) il datore di lavoro aveva l’incondizionato obbligo di assumere il lavoratore-avviato, senza dovere sottoporlo ad una visita medica presuntiva, non prevista fra l’altro da alcuna disposizione di legge, di guisa ché l’attività di tale accertamento medico era totalmente estranea alla sfera di adempimento della obbligazione e ad essa non si poteva applicare la previsione di cui all’art. 1228 c.c.:

b) che il datore di lavoro si era avvalso dell’opera di medici fiduciari, non liberi professionisti, ma facenti parte della stessa commissione sanitaria centrale della soc. Fiat, ed il giudizio dei quali era riconducibile allo stesso datore di lavoro interessato, che non aveva ritenuto di avvalersi, per colpa, dei “meccanismi” di accertamento medico previsti al contrario dall’art. 5 legge 20.5.1970 n. 300:

– che in tale situazione, erroneo era il richiamo agli artt. 1176, comma 2°, 1228 e 2236 c.c. (fatto dalla difesa della soc. Fiat Auto e recepito pedissequamente dal Tribunale) tanto più, ed in ipotesi, in quanto – la soc. Fiat Auto avrebbe dovuto rispondere dell’operato dei sanitari di sua fiducia che, per avere formulato diagnosi e giudizi di inidoneità risultati obbiettivamente erronei, dovevano ritenersi responsabili, quanto meno per “colpa lieve”.

Deduce inoltre il ricorrente (nella memoria depositata) la inammissibilità del “controricorso” perché tardivamente notificato, oltre il termine di “decadenza” prevista dall’art. 370, comma 1° c.p.c..

Le censure (dedotte nei motivi del ricorso) – possono essere unitariamente esaminate, perche in connessione logico-giuridica tra di loro, propongono alla disamina di questa Corte una – sostanzialmente – unica questione di dirito, anche se dedotta sotto diverse angolazioni di diritto e con talune varianti di prospettazione difensiva in relazione ai vizi di legittimità specificamente denunziati.

Le censure sono in parte fondate (nei limiti qui di seguito precisati) ed il ricorso può essere accolto, per quanto di ragione.

In relazione poi, alla lamentata “inammissibilità” del controricorso, la eccezione può ritenersi superata dalla discussione orale fatta all’odierna udienza dalla difesa della soc. resistente, nel corso della quale sono state trattate e ribadite le argomentazioni difensive contenute nel controricorso medesimo.

Va anzitutto rilevato che è precluso in questa sede il problema riproposto dalla difesa della soc. Fiat-Auto resistente (v. controricorso, memoria depositata e note di udienza), in relazione alla natura della “responsabilità” facente carico al datore di lavoro a seguito della dedotta ingiustificata mancata assunzione del lavoratore-avviato dall’Ufficio di collocamento, su richiesta dell’imprenditore.

Il Tribunale infatti, dopo aver risolto (sfavorevolmente alla tesi difensiva sostenuta dalla soc. Fiat-Auto) la preliminare questione (di merito) dibattuta tra le parti ( e da queste esplicitamente devoluta alla cognizione del giudice di secondo grado, mediante l’appello principale ed incidentale “hinc et inde” proposti), riconoscendo espressamente la natura “contrattuale” della responsabilità del datore di lavoro, per inosservanza dell’obbligo (legale) di stipulare il contratto di lavoro con il lavoratore “avviato” dall’Ufficio di collocamento (dietro sua richiesta, e ingiustificatamente non assunto), ha poi rigettato le domande del lavoratore (dirette ad ottenere la condanna dell’imprenditore all’assunzione immediata ed al risarcimento dei danni subiti), non avendo ravvisato nel comportamento del datore di lavoro né il dolo né la colpa.

Il lavoratore-ricorrente, senza dolersi del tipo di responsabilità individuato dal Tribunale (essendo stato anzi sul punto accolto l’appello incidentale al riguardo proposto proprio dal lavoratore), ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice del merito ha ritenuto – ciò nonostante – di rigettare le domande, non avendo riconosciuto nel comportamento del debitore inadempiente né dolo né colpa. Da parte sua, la soc.

Fiat-auto, vittoriosa nel giudizio di secondo grado, si è acquietata alla sentenza, senza pertanto contestare (se non mediante il controricorso e la memoria) la natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro identificata dal Tribunale, riproponendo peraltro la questione, così risolta, mediante le deduzioni difensive contenute nel controricorso (nella memoria e nelle note di udienza).

Devesi però rilevare che, dopo il ricorso (principale) proposto dal lavoratore-soccombente, la soc. Fiat-auto, nonostante l’ esito favorevole del giudizio di merito (quale risulta dal dispositivo della sentenza impugnata) aveva interesse a proporre ricorso incidentale, in quanto nella motivazione della sentenza vi erano enunciazioni di diritto suscettibili di passare in giudicato, e dalle quali poteva derivare pregiudizio per la società medesima.

Non può farsi richiamo al principio, più volte affermato e ribadito dalla giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr. Cass. 5 gennaio 1983 n. 51; Cass. 2 febbraio 1983 n. 895; Cass. 26 marzo 1983 n. 2144; Cass. 9 agosto 1983 n. 5326) secondo cui la parte, risulta vittoriosa nel giudizio di merito, non avrebbe interesse a proporre ricorso incidentale per ottenere il riesame delle questioni pregiudiziali o preliminari di merito (perché riproponibili dinanzi al giudice di rinvio) in caso di accoglimento del ricorso (principale) ex adverso proposto, perché – come è noto – il principio vale soltanto per le questioni che non siano state esaminate e decise dal giudice d’appello, perché assorbite dalla pronuncia emessa dal Tribunale, e come tali rimaste impregiudicate, e, quindi, riproponibili dinanzi al giudice di rinvio. E ciò a differenza del caso di specie, in cui ripetesi in relazione alla dibattuta questione (preliminare) di merito, vi è stata una espressa pronuncia del Tribunale.

Non si può non osservare, in ogni caso, per completezza di disamina e di valutazione della materia controversa (ed allo scopo di enunciare non più discutibili principi di diritto cui dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) che il Tribunale si è allineato – nel risolvere la dibattuta questione – a corretti principi affermati e ribaditi recentemente dalla giurisprudenza di legittimità di questa stessa Corte.

Secondo un iniziale orientamento giurisprudenziale (cfr. ad es. Cass. 19 gennaio 1983 n. 6096; Cass. 19 novembre 1983 n. 6906) si riteneva che, nel caso di mancata assunzione del lavoratore-avviato dall’Ufficio di collocamento (in tema di collocamento “ordinario”), spettasse a quest’ultimo il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità “precontrattuale” del datore di lavoro inadempiente (art. 1337 c.c.) per “culpa in contraendo”, per violazione dell’obbligo generale di osservare il dovere di buona fede nelle trattative precontrattuali, dato che non si poteva ancora parlare di uno specifico obbligo (e di una conseguente violazione) del datore di lavoro alla stipulazione del contratto di lavoro, essendosi trovate le parti – nella fattispecie sottoposta alla disamina della Corte – ancora nella fase “preparatoria” del contratto, in cui si doveva accertare preliminarmente l’idoneità fisica del lavoratore-avviato.

Si osserva infatti che non era configurabile, nella prospettata situazione, un obbligo ex lege a stipulare il contratto di lavoro, dato che secondo il sistema del collocamento ordinario, la costituzione del rapporto (riservata esclusivamente alla autonomia negoziale e contrattuale delle parti) postulava e presupponeva lo svolgimento di una certa procedura amministrativa che si concludeva con l’avviamento al lavoro da parte dell’Ufficio di collocamento.

L’avviamento, fra l’altro, aveva valore e funzione di mero atto “autorizzativo” necessario per la costituzione del rapporto di lavoro, all’incontro delle volontà dei soggetti interessati alla stipulazione del correlativo contratto, non determinando il semplice “avviamento” automaticamente la costituzione del rapporto, ma il sorgere del diritto del lavoratore avviato alla stipulazione del contratto di lavoro.

Recentemente però la Corte, dopo una più approfondita e penetrante disamina del sistema del collocamento ordinario (e della sua “ratio”) – come disciplinato dalla articolata normativa di cui alla L. 26 aprile 1949 n. 264 – dopo avere ribadito il noto e consolidato principio secondo cui nel vigente sistema del collocamento dei lavoratori, sia esso ordinario che obbligatorio, (v. L. 264-1949 e L. 482-1968), l’autorità amministrativa (Ufficio di collocamento e U.P.L.M.O.) non ha il potere di costituire essa stessa il rapporto (avendo questo il suo titolo non nella legge, ma nell’atto negoziale nel quale si concreta la assunzione e che, pur se relativamente vincolato, è pur sempre un contratto di lavoro subordinato derivante dall’incontro dei consensi delle parti interessate al rapporto) ha ritenuto (cfr. Cass. 10 febbraio 1984 nn. 1045-1046 e 1047; Cass. 10 marzo 1984 n. 1668 e Cass. 4 maggio 1984 n. 2729):

– che per effetto dell’atto di avviamento nel collocamento ordinario (L. 264-1949) a seguito di richiesta numerica del datore di lavoro, sorge da un lato il diritto del lavoratore-avviato alla stipulazione del contratto, e, dall’altro, per il datore di lavoro, il correlativo obbligo di stipulazione, obbligo però che non è suscettibile di esecuzione forzata (art. 2932 c.c.);

– che infatti il datore di lavoro, dopo avere fatto la richiesta, è tenuto alla assunzione, cioé alla stipulazione del correlativo contratto di lavoro non potendo – in altri termini – legittimamente rifiutare l’assunzione, tranne l’ipotesi di avviamento di un lavoratore precedentemente licenziato per “giusta causa” (v. art. 15, comma 5° legge 264-1949) o quella in cui sussista una ulteriore giustificata causa di rifiuto che può essere – secondo la elaborazione giurisprudenziale al riguardo formatasi in materia – quella in cui manchino o siano venuti a mancare gli elementi costitutivi ed essenziali per la stipulazione del contratto di lavoro, tra i quali indubbiamente rientra anche l’inidoneità fisica del lavoratore richiesto ed avviato.

Ed ha concluso affermando (cfr. in particolare Cass. citata 1045-1984) che il lavoratore, ingiustamente rifiutato, ha diritto al risarcimento dei danni, dovendo l’atteggiamento (negativo e di rifiuto) del datore di lavoro considerarsi come violazione di un obbligo al quale lo stesso era tenuto per legge (cfr. negli stessi precisi termini anche la non recente Cass. 9 ottobre 1954 n. 3543).

Alla stregua di tali principi non si può dubitare che il “rifiuto” del datore di lavoro realizzi sul piano del diritto la violazione di un obbligo (legale) all’assunzione e, quindi, di un obbligo alla stipulazione del contratto di lavoro; violazione che deriva dal sistema del collocamento “ordinario”, nell’applicazione del quale, ne viene esaltata la funzione “pubblica” (art. 7 L. 264-1949), che non può essere ridotta a quella di una mera mediazione obbligatoria, ma che deve essere obiettivamente identificata in quella più propria e peculiare del sistema, che persegue la finalità dell’effettiva realizzazione concreta del diritto al lavoro dei lavoratori “disoccupati” (art. 4 della Costituzione). Tale sistema (ed ancora di più, quello del collocamento obbligatorio: v. L. 482-1968) costituisce infatti in definitiva la realizzazione legislativa di quei compiti e precetti costituzionali demandati allo Stato, diretti a garantire il diritto al lavoro, mediante la promozione di quelle condizioni più opportune ed idonee per rendere effettivo il diritto al lavoro costituzionalmente garantito, senza possibilità di discriminazione alcuna.

E se anche nella legge sul collocamento ordinario, non si rinvengono in realtà gli ordini e gli imperativi sulle assunzioni obbligatorie (ove si parla in varie disposizioni di “assunzione obbligatoria” e si fa esplicito riferimento all’obbligo del datore di lavoro di assumere i soggetti appartenenti alle categorie protette), tuttavia la compiuta disamina della legge sul colloccamento ordinario e la corretta valutazione della sua reale funzione e della sua “ratio”, consente di ricavare, anche dal sistema da tale legge disciplinato, l’esistenza di un vero e proprio obbligo del datore di lavoro all’assunzione del lavoratore-avviato (e quindi alla stipulazione del correlativo contratto di lavoro), a seguito della richiesta di avviamento fatta con specifico riferimento alla categoria ed alla qualificazione professionale del lavoratore medesimo.

Basterà ricordare a questo proposito la disposizione contenuta nell’art. 15 comma 5° L. citata 264-1949, secondoo la quale il datore di lavoro “può” rifiutare di assumere il lavoratore avviato dall’ufficio di collocamento, quando esso sia stato precedentemente da lui licenziato per “giusta causa”.

Ne consegue che, se il termine “assumere” vuol dire in definitiva stipulare il contratto con il lavoratore avviato (dato che non vi può essere “assunzione”, se questa non viene realizzata in concreto mediante la effettiva stipulazione del relativo contratto di lavoro); e se il legislatore ha previsto esplicitamente un solo caso in cui il datore di lavoro può rifiutare di assumere il lavoratore-avviato (ovverossia di stipulare il contratto); il datore di lavoro ha evidentemente l’obbligo – in tutti gli altri casi – di assumere i lavoratori avviati e di stipulare con essi il relativo contratto di lavoro subordinato.

Del resto l’obbligo (legale) all’assunzione, anche nel campo del collocamento ordinario, era stato esplicitamente riconosciuto anche precedentemente da alcune di questa Corte (Sez. penale) (Cass. 24.3.1975 n. 706; e più recentemente Cass. 5 novembre 1980 n. 1452; id.id. 25.2.1980 n. 409; id.id. 17 gennaio 1980 n. 515).

Ed allora, se il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro realizza sul piano giuridico la violazione specifica di un obbligo all’assunzione (e, quindi, alla stipulazione del relativo contratto di lavoro), non può non configurarsi un caso di responsabilità “contrattuale”, nella cui lata nozione può essere ricondotta, come è noto, ogni ipotesi di inadempimento di uno specifico obbligo preesistente, anche se questo deriva in realtà da fonte diversa (legge) dal contratto.

Né si può parlare di responsabilità contrattuale delle parti (e che nasce dalla violazione del generale obbligo di buona fede nelle trattative precontrattuali), libertà che, anche nel collocamento ordinario, (anche se in modo meno cogente e rigido rispetto al sistema del collocamento “obbligatorio”), devesi ritenere vincolata nei riguardi del datore di lavoro che abbia fatto la specifica richiesta di avviamento, indicando categoria e qualificazione professionale del lavoratore-avviato.

Né può sostenersi che si verserebbe comunque in tema di responsabilità precontrattuale, dato che l’obbligo ad assumere e quindi a stipulare il contratto, anche se derivante dall’atto di avviamento, sarebbe comunque “condizionato” al preliminare accertamento dei requisiti sostanziali ed indispensabili per la stipulazione del contratto, tra cui anche quello relativo all’accertamento della idoneità fisica del lavoratore avviato, di guisa ché,in questa fase precontrattuale, non si potrebbe ancora parlare di violazione di un vero e proprio obbligo all’assunzione, in caso di rifiuto del datore di lavoro alla conclusione del contratto, obbligo ancora non incondizionatamente sorto.

L’argomentazione (anche se riferita al caso concreto) non ha pregio né consistenza, anche perché si colloca al di fuori dei limiti della problematica di diritto proposta; essa comunque non può incrinare l’astratto principio di diritto sopra enunciato, secondo cui dall’atto di avviamento dell’ufficio di collocamento sorge l’obbligo del datore di lavoro di assumere il lavoratore avviato e di stipulare con questo il relativo contratto. Infatti, se il lavoratore risulta, in base agli accertamenti medici preassuntivi eseguiti, assolutamente inidoneo – fisicamente – all’esercizio di quelle specifiche mansioni per le quali era stata fatta la richiesta, non si pone neppure il problema della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla mancata assunzione del lavoratore-avviato, dato che giustificato sarebbe il rifiuto all’assunzione e non sorgerebbe di conseguenza alcun obbligo risarcitorio in capo all’imprenditore (cfr. Cass. 12 giugno 1982 n. 3592; Cass. 10 febbraio 1984 n. 1403). Se al contrario gli accertamenti preassuntivi sanitari siano stati eseguiti illegittimamente dal datore di lavoro per mezzo dei suoi medici di fiducia, senza l’intervento di enti pubblici o istituti specializzati di diritto pubblico, secondo le forme di cui all’art. 5 Legge 20.3.1970 n. 300 (cfr. in questo senso recentemente Cass. 4 maggio 1984 n. 2729); o quando comunque sia stata accertata la “idoneità fisica” del lavoratore-avviato, anche mediante accertamenti tecnici disposti d’ufficio dal giudice (C.T.U.) che può legittimamente sindacare gli accertamenti sanitari effettuati nella fase precontenziosa dal datore di lavoro, anche secondo le forme di cui al citato art. 5 L. citata (1970-300), indiscutibile è l’obbligo risarcitorio del datore di lavoro inadempiente, derivante esso da responsabilità contrattuale per violazione di un obbligo (legale) all’assunzione, essendo ingiustificato il “rifiuto” alla assunzione.

Né si può parlare di eventuale responsabilità “extracontrattuale” che consiste come è noto nella violazione del generale dovere giuridico del “neminem laedere” e che esclude, pertanto, la preesistenza di uno specifico vincolo obbligatorio tra le parti, al contrario sussistente nel caso del collocamento ordinario a seguito dell’avviamento disposto dall’ufficio di collocamento su richiesta del datore di lavoro.

Alla stregua di tali principi e venendo ad esaminare nell’ordine le censure proposte dal ricorrente, osservasi che quelle di cui al primo motivo del ricorso sono fondate.

Infatti, il Tribunale, dopo avere riconosciuto la natura “contrattuale” della responsabilità del datore di lavoro inadempiente, è pervenuto alla conclusione decisionale impugnata, non avendo ravvisato nel comportamento del datore di lavoro né il dolo né la colpa, facendo però erroneo ed inammissibile riferimento ad un criterio di valutazione che non può avere alcuna rilevanza sulla imputabilità dell’inadempimento, fonte di responsabilità ex art. 1218 c.c., indipendentemente dalla prova dell’eventuale comportamento doloso o colposo del debitore inadempiente, ma che può avere incidenza soltanto ed esclusivamente sull’impossibilità della prestazione (fra l’altro mai dedotta difensivamente neppure dalla soc. resistente) quale causa di esonero della responsabilità medesima.

Dispone l’art. 1218 c.c. il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Orbene, dai principi chiaramente desumibili dalla univoca formulazione della disposizione di legge, una volta verificatosi l’inadempimento, il debitore deve risarcire il danno (art. 1223 c.c.), potendo essere esonerato dall’obbligo risarcitorio soltanto nell’ipotesi in cui la mancata prestazione sia a lui non imputabile, ovverossia allorquando essa dipenda, secondo l’elaborazione giurisprudenziale al riguardo formatasi, da caso fortuito o da forza maggiore.

Nel caso concreto il Tribunale, incorrendo nei vizi di legittimità denunziati, ha utilizzato il criterio del dolo e della colpa non già per escludere la inimputabilità della impossibilità della prestazione (del resto neppure difensivamente dedotta dalla società Fiat-auto) ma per escludere erroneamente e con motivazione contraddittoria (e con violazione di legge) l’imputabilità dell’inadempimento.

Non è necessario pertanto indagare se nel comportamento del datore di lavoro (che si è rifiutato di assumere il lavoratore-avviato, perché ritenuto inidoneo sulla base del giudizio al riguardo formulato dai suoi medici fiduciari; giudizio peraltro contrastato da quello successivamente esternato dal C.t.u.) fosse ravvisabile il dolo o la colpa. Infatti, una volta accertato l’inadempimento del datore di lavoro (per non aver assunto ingiustificatamente il lavoratore-avviato risultato (-c.t.u.-) perfettamente idoneo alle mansioni di lavoro per il cui esercizio era stata fatta la richiesta) il datore di lavoro inadempiente è tenuto a risarcire il danno provocato indipendentemente dalla (inutile) verifica dell’imputabilità dell’inadempimento ex art. 1218 c.c..

Quanto poi alle ulteriori censure subordinatamente dedotte dal lavoratore-ricorrente circa la mancata allegazione da parte del debitore inadempiente di elementi di prova al riguardo (gravando su di lui il correlativo onere probatorio) (v. secondo motivo); o la mancata, insufficiente motivazione della sentenza impugnata a proposito del giudizio di non imputabilità del datore di lavoro formulato dal Tribunale, e inammissibilmente collegato a quello asseritamente incolpevole dei suoi medici fiduciari (v. terzo motivo); o, infine, la ritenuta mancanza di ogni e qualsiasi responsabilità del datore di lavoro (e di conseguenza l’inesistenza di un obbligo risarcitorio ritenuta dal Tribunale), perché l’errore (di giudizio e di valutazione) sarebbe stato comunque commesso dai suoi medici fiduciari, liberi professionisti (e non dal datore di lavoro) e di esso non poteva pertanto quest’ultimo rispondere, essendosi trattato fra l’altro di un errore incolpevole (quarto ed ultimo motivo), esse, dopo la statuizione adottata in relazione alle doglianze di cui al primo mezzo di annullamento, non hanno più rilievo decisivo ai fini della definizione del ricorso, o sono superate o rimangono comunque assorbite dall’accoglimento del primo motivo.

Non senza ricordare che gli accertamenti preassuntivi eseguiti dal datore di lavoro, a mezzo di suoi medici fiduciari, sono risultati illegittimi, perché non effettuati a mezzo degli organismi sanitari e con le forme previste dall’art. 5 dello Statuto dei lavoratori (L. 20 marzo 1970 n. 300), disposizione questa applicabile anche nei riguardi del lavoratore-avviato e non ancora assunto (v. art. 5 ult.

comma L. citata) dato che la norma (al pari di altre: v. ad es. art. 8 dello stesso Statuto, in tema di nullità degli atti discriminatori) si riferisce indifferentemente tanto al lavoratore “occupato” quanto a quello non ancora occupato, essendo evidente la finalità perseguita dal legislatore di porre sullo stesso piano la tutela del cittadino che è già parte di un rapporto di lavoro e quella di colui che ad un posto di lavoro aspira, sussistendo anche per quest’ultimo, l’esigenza di garantirne la libertà, la dignità, la riservatezza; tanto pì, in quanto la posizione del lavoratore avviato e non assunto è semmai più debole rispetto a quella del lavoratore dipendente ed a maggior ragione merita quella stessa tutela a questo accordata (cfr . Cass. 4 maggio 1984 n. 2729).

Oltreché illegittimi, gli accertamenti si sono rivelati anche infondati, secondo il giudizio di merito al riguardo compiuto dal Tribunale sulla scorta degli accertamenti tecnici d’ufficio (C.T.U.) eseguiti nel giudizio di 1° grado, ed alla stregua dei quali il Moscufo, nonostante la situazione patologica accertata (spondilosi del rachide lombare, con modeste manifestazioni radiologiche sui corpi della seconda e terza vertebra, ma senza alcuna manifestazione clinica di malattia in atto) è risultato perfettamente idoneo a quelle particolari mansioni di lavoro, per l’esercizio delle quali la soc. Fiat-auto aveva fatto la richiesta di avviamento.

Concludendo, accolto il ricorso per quanto di ragione, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice (che si designa nel Tribunale di Campobasso) il quale dovrà riesaminare la domanda proposta, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati; provvedendo infine anche in relazione alle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, sez. lavoro; accoglie per quanto di ragione il ricorso proposto da Moscufo Antonio.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia per il nuovo esame, e per provvedere in relazione alle spese di questo giudizio, al Tribunale di Campobasso.
Roma, li 6 marzo 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19 MARZO 1986