Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva 30.6.78, resa in causa tra Ciccarelli Raffaele e l’Amministrazione della Difesa-Esercito avente ad oggetto indennità di espropriazione e danni, relativamente ad un terreno del Ciccarelli sito in Giugliano, la Corte d’Appello di Napoli – su impugnazione principale del Ciccarelli e incidentale dell’Amm. dello Stato – rigettava i motivi 3°; 4° e 5° dell’appello principale (involgenti questioni di danno emergente) e 1° dell’appello incidentale (doglianza per mancato conteggio di L. 4.000.000 circa già avute dal Ciccarelli);

Disponeva ulteriore istruttoria in ordine ai motivi 1° e 2° dell’impugnazione principale (riguardanti l’indennità di occupazione biennale del fondo e il risarcimento danni per l’occupazione ultrabiennale): riservata al definitivo le censure di entrambe le parti attinenti le spese giudiziali.

Con successiva sentenza definitiva del 13.3.81 la stessa Corte rigettava le lagnanze delle parti in punto spese di 1° grado, determinava in L. 1.488.500 l’indennità per l’occupazione biennale legittima del fondo del Ciccarelli e in L. 12.551.840= l’indennizzo per danni da occupazione ultrabiennale illegittima, oltre interessi, osservando che:

a) Dovevano disattendersi le conclusioni di tutte le stime tecniche del reddito netto, in quanto erronee e divergenti, e la indennità andava liquidata per l’occupazione dell’intero fondo in misura pari al 5% (interesse legale) sul valore unitario del medesimo e con lo stesso criterio andava liquidato l’indennizzo per l’occupazione illegittima, che, quale debito di valore, andava rivalutato del 400%;

B) in particolare tranne il certificato attestante lo stato di famiglia del Ciccarelli, non vi erano elementi di prova che egli, gestendo la coltivazione del fondo in proprio, vi dedicasse l’opera normale sua e dei componenti la sua famiglia;

C) non era lecito estendere al caso in esame il concetto di coltivatore diretto assunto dalle norme sui contratti agrari per l’attribuzione dei benefici particolari, irrilevanti nella fattispecie;

comunque, nel calcolo del reddito netto effettivo del fondo – calcolo finalizzato a determinare l’indennizzo per la occupazione del medesimo – non andava compreso il costo della mano d’opera, da chiunque prestata;

o l’eventuale maggior danno riconducibile al mancato introito di somme corrispondenti al lavoro manuale che avrebbero potuto prestare il Ciccarelli ed i suoi familiari non era necessariamente collegabile al fatto dell’amministrazione, bensì all’eventuale disoccupazione dei medesimi non addebitabile – sic et sempliciter – all’occupazione del fondo;

In merito alla liquidazione delle spese processuali, la stessa, a parte la mancanza della nota specifica, risultante allegata solo al fascicolo di appello, era proporzionata al valore della causa, deducibile dall’entità delle somme attribuite nella sentenza di primo grado ed alla misura dei diritti di procuratore deducibile dalle tariffe professionali vigenti nel tempo in cui i singoli atti erano stati compiuti.

Avverso detta sentenza il Ciccarelli ricorre per Cassazione con due motivi.

Resiste il Ministero e propone ricorso incidentale; fondato su un unico motivo.

Motivi della decisione

Riuniti preliminarmente i ricorsi ai sensi dell’art. 335 C.P.C., osserva la Corte che il ricorso incidentale dell’Amministrazione dello Stato – fondato sull’unico motivo di violazione di legge e difetto di motivazione per non aver tenuto conto il giudice di merito, in detrazione, di quattro milioni già corrisposti al Ciccarelli sul dovuto – deve essere dichiarato inammissibile. Invero, la doglianza era stata a suo tempo respinto dalla Corte di Appello con la sentenza non definitiva del 30.6.78 e la parte interessata non aveva fatto riserva di impugnazione entro la prima udienza dinanzi al Consigliere istruttore successiva alla Comunicazione della sentenza stessa, come rivelano i verbali di causa; onde sul punto l’emessa pronunzia è ormai passata in giudicato.

Ciò premesso, deduce il ricorrente principale, con il primo mezzo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 – 2043 – 2056 c.c. 72 l. 22.6.1865 n. 2359 e 195 C.P.C.; il Tribunale esplicitamente e la Corte di Appello, quanto meno implicitamente con la sentenza non definitiva, avevano ritenuto, con capo di pronuncia, non impugnato da alcuna delle parti e quindi passato in giudicato, che le indennità di occupazione legittima e di occupazione illegittima andassero determinate in base al reddito effettivo che il Ciccarelli, proprietario coltivatore diretto del fondo avrebbe ricavato se il terreno non fosse stato occupato.

Con l’impugnata sentenza la Corte di merito, sol perché aveva ritenuto che nessuna delle relazioni di consulenza fosse immune da errori, disattendeva le conclusioni di tutte le stime tecniche del reddito netto e liquidava l’indennità relativa all’occupazione dell’intero fondo in misura pari all’interesse legale (5%) sul valore unitario del medesimo, come determinato ai fini dell’indennità di espropriazione della minore estensione non restituita dall’Amministrazione; e con lo stesso criterio liquidava l’indennizzo per la occupazione illegittima, indennizzo che quale debito di valore, rivalutava del 400%.

Orbene, così statuendo, la Corte di merito è incorsa nella denunciata violazione dell’eccepito giudicato interno, in quanto, con la sentenza non definitiva, la Corte napoletana aveva statuito che “si debbano approfondire le indagini per determinare in concreto quale fu il mancato guadagno subito dal Ciccarelli nel biennio relativo all’occupazione dell’intero fondo e nel periodo successivo sino al decreto di esproprio per la sola zona espropriata” e che “a tale fine, la istruttoria dovrà proseguire limitatamente a ciò che attiene all’ora specificato mancato guadagno, come da ordinanza a parte”.

E a ciò la Corte di Appello è pervenuta con motivazione logicamente viziata e contraddittoria e incorrendo in altri errori di diritto, attinenti alla disciplina del rapporto di causalità tra condotta ed evento dannoso, escludendo che la sofferta privazione del diritto di coltivare il fondo col lavoro dello stesso Ciccarelli e della sua famiglia dipendesse – sia pure mediatamente ed indirettamente – dal fatto della P. Amministrazione.

La censura è infondata.

Vero che v’é violazione del giudicato sostanziale, ai sensi dell’art. 2909 c.c., allorché il giudice perviene ad una decisione che si pone in contrasto con precedente e ormai definitiva pronunzia sull’oggetto della domanda; con riferimento, però, alla sentenza non definitiva non va dimenticato che il giudicato parziale si può formare solo in relazione ad un capo autonomo di sentenza, dovendosi per tale intendere solo quello che risolve una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; e tale autonomia non sussiste non solo quando si tratti di una mera argomentazione, ma anche quando si verta in tema di presupposto necessario per accertare il “petitum” richiesto (Cass. 27.3.80 n. 2028).

Nella specie, appunto, il citato passo della sentenza non definitiva difetta di propria autonomia ed individualità, essendo all’evidenza strumentalizzato agli ulteriori fini di causa con suo travaso, giusta richiamo, nell’ordinanza che ha provveduto al prosieguo dell’istruzione della causa; mentre, la menzione in esso della necessità di “determinare in concreto quale fu il mancato guadagno subito dal Ciccarelli,” altro non è che la puntualizzazione della ricerca” di una delle componenti e presupposti – ex artt. 1223 e 2056 c.c. – di ogni indennizzo, il mancato guadagno, precisamente o lucro cessante.

E del pari inconsistenti sono le altre angolazioni di censura, vuoi sotto il profilo di pretese violazioni di legge vuoi sotto quello del vizio di motivazione.

Per tutte vale la considerazione che i giudici di merito – dimostrato con adeguata, diffusa e congrua motivazione che, da una parte, non potevano liquidarsi le indennità per occupazione legittima e illegittima del fondo sulla base delle conclusioni peritali (contrastanti tra loro nei vari elaborati espletati e l’ultimo portante ad una abnormale e oggettivamente sproporzionata misura) e dall’altra, attese le difficoltà obbiettive (evidenziate in sentenza), non era il caso di insistere sul tentativo di liquidarle previo accertamento analitico delle componenti del reddito netto che presumibilmente il Ciccarelli avrebbe ricavato “medio tempore” dal fondo – hanno provveduto per via forfettaria (e quindi equitativa) alla valutazione e liquidazione del danno mediante commisurazione agli interessi legali annuali calcolati sull’indennità di espropriazione, – sia per l’occupazione temporanea biennale che per la successiva occupazione illegittima (debitamente rivalutando la voce per quest’ultima, qual debito di valore, del 400% secondo gli indici ISTAT, giusta conforme richiesta della parte).

Il che di per sé porta al superamento dell’appiglio del ricorrente “valutationis causa” alle stime tecniche (disattese dai giudici di merito), all’importo delle spese, per la coltivazione e raccolta dei prodotti e all’attività lavorativa propria e della propria famiglia, anche vista quest’ultima in relazione alla perdita della fonte di guadagno, se il dovuto indennizzo non è stato ancorato a criteri analitici, ma unicamente rimesso a mero apprezzamento equitativo.

Come pure superata per lo stesso motivo è da ritenersi ogni questione sul rapporto di causalità tra condotta e particolare evento dannoso (relazionata alla sofferta privazione del diritto di coltivare il fondo col lavoro proprio e della propria famiglia), se il danno, pur vere le sue componenti causali, per i giudici di merito non ha potuto essere “singulatim” provato nelle sue voci e nel suo preciso ammontare.

Ed il tutto rivela correttezza di operato in iure. Invero: a) per regola inizialmente posta per le occupazioni ordinate per l’esecuzione di lavori ferroviari in base alla L. 7.7.1907 n. 429 e al R.D. 24.9.1923 n. 2119 (ribadita anche – all’art. 188 – del T.U. n. 1399 del 1917 per il terremoto calabro-siculo del dicembre 1908) poi estesa dall’interpretazione giurisprudenziale alle altre espropriazioni, è ormai “ius receptum”, che per la determinazione dell’indennità di occupazione legittima di un fondo, cui segua la espropriazione per pubblica utilità, può essere utilizzato il sistema degli interessi legali sull’indennità di espropriazione (Cass. 25.6.1980 n. 3985) è ciò vieppiù quando il giudice non è in grado di stabilire, in base alle risultanze processuali, quale sia la fruttificazione annua di un terreno prima occupato e poi espropriato (Trib. Sup. Acque 30.3.80 N. 7);

b) quanto all’indennità per occupazione illegittima, certo il risarcimento del danno spettante al proprietario dell’immobile a seguito dell’illegittimo protrarsi dell’occupazione temporanea del medesimo oltre il biennio deve essere disciplinato dalle regole generali sulla responsabilità per fatto illecito (damnum iniuria datum), ponendo il danneggiato nella condizione in cui si sarebbe trovato se l’evento dannoso non si fosse verificato (Cass. 23.2.79 n. 1206), ma proprio per tal via di colpa acquiliana, ex artt. 2056-1226 c.c., nella liquidazione del danno il giudice può rifarsi a valutazione equitativa, quando esso in base alle risultanze processuali, non può essere provato nel suo preciso ammontare.

Con il 2° motivo deduce il Ciccarelli violazione degli artt. 6 della tariffa forense di cui al D.M. 26.9.79 n. 14 e 91 C.P.C. per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che la liquidazione delle spera operata dal Tribunale era proporzionata al valore della causa (deducibile dall’entità delle somme che erano state attribuite in sentenza) ed alla misura dei diritti di procuratore, come dato dalle tariffe professionali vigenti al tempo in cui i singoli atti erano stati compiuti.

Anche questa censura è infondata.

Il regolamento delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, nel rispetto della regola della soccombenza e con l’unico limite che la liquidazione deve essere fatta in modo tale da poter mettere la parte interessata in grado di controllare se il giudice ha rispettato i limiti dell’operatività nel caso delle relative tabelle.

L’asserita, però violazione della tariffa mai può assurgere degnamente a contenuto di ricorso per Cassazione, ove non siano state specificate le singole partite contestate e non siano state indicate le singole voci violate dalla tariffa professionale (Cass. 25.7.67 n. 1962).

E nella specie il ricorrente a tanto non ha ottemperato, sol limitandosi a doglianza in via generale e in globalità posta.

Il ricorso principale, pertanto va respinto.

Ricorrono giusti motivi per procedere all’intera compensazione tra le parti delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi proposti avverso la sentenza 13.3.81 della Corte d’Appello di Napoli; dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Ministero Difesa-Esercito, rigetta il ricorso principale di Ciccarelli Raffaele;
Dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio. Roma, 7.6.85.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 FEBBRAIO 1986