Svolgimentomento del processo
Con ricorso in data 30.4.1979, notificato il 9.5 successivo, Galli Maria chiedeva al Pretore di Milano, in funzione di giudice del lavoro, che venisse l’I.N.A.M., convenuto in giudizio, condannato al pagamento dell’indennità di malattia per tre giornate, con decorrenza dal 28.9.1978, indennità questa che le era stata rifiutata dall’Istituto per il rilievo che, per essere la lavoratrice uscita di casa durante la malattia, violando le prescrizioni del medesimo curante, non era stata trovata dal medico inviato per un controllo domiciliare, controllo che pertanto non era stato eseguito.
Deduceva la ricorrente – a sostegno della domanda – che l’Istituto avrebbe dovuto preavvisare la lavoratrice del controllo medico domiciliare.
L’adito Pretore, in contraddittorio con l’Istituto costituito (che, ribadendo il rifiuto già manifestato in sede amministrativa, alla organizzazione della indennità di malattia richiesta, chiedeva il rigetto della pretesa ex adverso dedotta), con sentenza pronunciata in data 10 – 17 luglio 1979 accoglieva la domanda della lavoratrice ed osservava in motivazione:
– che, essendo le ipotesi di esclusione o di limitazione del diritto del lavoratore all’indennità di malattia riservate alla previsione della legge o delle norme ad essa equiparate, l’I.N.A.M. non poteva fondare il manifestato rifiuto alla liquidazione di essa, su norme contenute in contratti collettivi di lavoro (cfr. nel caso di specie: C.C.N.L. 3 gennaio 1939):
– che d’altra parte l’eventuale aggravamento della malattia o l’eventuale ritardo della guarigione dovuto all’allontanamento della lavoratrice malata dalla propria abitazione potevano assumere un qualunque rilievo negli esclusivi rapporti tra la lavoratrice e datore di lavoro (e non anche nei riguardi dell’I.N.A.M.);
– che infine l’Istituto avesse omesso di preavvertire del controllo sanitario la lavoratrice malata e, pertanto, non avrebbe potuto comminare nei confronti di quest’ultima alcuna legittima sanzione.
Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione l’I.N.A.M. (in persona del Commissario liquidatore pro-tempore cui poi è succeduto ex lege il Ministero del Tesoro – ufficio liquidazioni -) e deduce un unico complesso motivo di annullamento variamente articolato.
La intimata Gallia Marisa non sì e costituita.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di annullamento, denunziata la violazione ed errata interpretazione del combinato disposto degli artt. 6 L. 11.1.1943 n. 138, 19 e 32 contr. coll. naz. 3.1.1939 (art. n. 3 C.P.C.) si duole l’Istituto ricorrente della sentenza impugnata, per non avere il Pretore considerato che la “decadenza” dell’assicurato del diritto all’indennità di malattia, è prevista dalla disposizione di cui all’art. 19 del contratto collettivo nazionale suindicato, cui però fa formale rinvio la norma (“in bianco”) inserita nel 4° comma dell’art. 6 della L. 138-1943, e deduce:
– che l’ipotesi di fatto (in cui la assicurata malata è uscita di casa senza regolare permesso del medico, o comunque atti che possono pregiudicare il decorso della malattia) dedotta in giudizio, è prevista dalla legge; e che la legge medesima commina la decadenza dal diritto alla indennità di malattia, per il combinato disposto degli artt. 6 L. 138-1943 e 19 del citato contratto collettivo nazionale valido “erga omnes”:
– che la disciplina collettiva corporativa (art. 32) prevede addirittura nei riguardi dell’assicurato la perdita del diritto a tutte le prestazioni assicurative e di assistenza, qualora il lavoratore di rifiuti di sottoporsi alla visita medica di controllo:
– che il sistema dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie tutela da un lato, il diritto del lavoratore alle prestazioni ed alla dovuta assistenza durante il periodo di malattia e dall’altro, anche l’interesse del datore di lavoro e dello stesso Istituto al regolare decorso della malattia, all’evidente scopo di evitare che eventuali atti o comportamenti del malato possano aggravare la malattia o ritardarne la guarigione;
– che il lavoratore malato non deve essere preavvisato dell’accesso del medico di controllo, quando, come nel caso, la visita è stata effettuata durante l’orario in cui non era consentito all’ammalato di uscire di casa senza permesso;
– che, indipendentemente dalla legittimità o meno delle “sanzioni” previste dalle norme regolamentari interne dell’Istituto assicuratore, o da norme collettive di natura corporativa, posta in dubbio da alcune decisioni della S.C. in relazione agli “effetti” derivanti dalla assenza da casa del lavoratore malato, in violazione delle prescrizioni mediche impartitegli, è tuttavia “jus receptum”, secondo lo uniforme e costante orientamento giurisprudenziale di legittimità di questa stessa Corte che, qualora il lavoratore assicurato abbia precluso all’Istituto, con il suo comportamento, l’accertamento della sussistenza o meno della incapacità lavorativa, deve ritenersi legittimo il disconoscimento dell’indennità di malattia, quanto meno sino al momento in cui l’accertamento non possa essere utilmente svolto ed eseguito.
Le censure sono fondate (nei limiti qui di seguito precisati). Quanto alle prime, esse di appuntano sulla soluzione (negativa), meramente formalistica, adottata dal giudice di merito in ordine alla problematica relativa alla validità ed efficacia delle limitazioni del diritto dell’assicurato all’indennità di malattia, previste da norme “regolamentari” interne dello stesso Istituto assicuratore (ed adottate da suo Consiglio di Amministrazione) o comunque da fonti di diritto di rango “inferiore” (C.C.N.L. “corporativo” 3 gennaio 1939).
In relazione ad esso di può osservare quanto segue:
– come è noto, l’I.N.A.M. è stato costituito con Legge 11 gennaio 1943 n. 138 – la quale, nella prima parte dell’art. 6, indica in otto “voci” diverse le varie forme di assistenza che l’Ente o Istituto è tenuto a fornire ai lavoratori assicurati. Il n. 8 della prima parte del citato art. 6 prevede l’erogazione di una indennità di malattia; il 4° comma dello stesso articolo stabilisce poi che l’assistenza di cui al n. 8 richiamato deve essere prestata” ….. nei limiti, nelle misure e secondo le modalità che verranno determinate nazionalmente dalle associazioni sindacali a mezzo di contratti collettivi o da deliberazioni dei loro competenti organi, ovvero dal decreto di cui al secondo comma dell’art. 4 ….” (decreto del Capo dello Stato).
Ma, come è noto, nessun “contratto collettivo” è stato poi stipulato, nessuna delibera è stata adottata, e nessun regolamento è stato emesso al riguardo, con le forme previste (decreto del Capo dello Stato) dalla legge.
Secondo l’assunto difensivo sostenuto dallo Istituto ricorrente (che ribadisce sostanzialmente quello delineato nel giudizio di merito), sono applicabili, però, al caso di specie (in cui è risultato, in linea di fatto, che il lavoratore infermo non si è voluto sottoporre alla visita fiscale domiciliare di controllo, essendo risultato assente da casa senza giustificato motivo, in violazione delle prescrizioni mediche al riguardo impartite): 1°) l’art. 32 del C.C.N.L. interconfederale 3 gennaio 1939 (“corporativo”, avente efficacia “erga omnes” e tuttora in vigore per il noto principio della ultrattività dei contratti collettivi “corporativi”) che dispone la “decadenza” dell’assistito iscritto dal diritto a tutte le prestazioni previdenziali previste, allorquando lo assicurato si rifiuti di sottoporsi alla visita del medico di controllo e non segue le cure mediche prescritte dall’INAM; 2°) l’art. 4 del regolamento deliberato dal Consiglio di Amministrazione dello stesso Istituto ed approvato dal Ministero del lavoro in data 16 maggio 1963, nel testo modificato ed integrato dalla “circolare” 14 febbraio 1967 n. 12 dello stesso Ministero, che prevede la “sospensione” della erogazione dell’indennità di malattia, per un periodo della durata minima di cinque giorni, nell’ipotesi in cui il lavoratore malato non si è presentato alla visita fiscale di controllo.
Il Pretore, nell’accogliere la domanda dell’assicurato, diretta ad ottenere l’integrale erogazione della indennità di malattia (nonostante che il lavoratore non si fosse sottoposto alla visita fiscale domiciliare di controllo da parte dei sanitari incaricati dall’Istituto, perché risultando ingiustificatamente assente da casa) ha tuttavia ritenuto “arbitraria” la “trattenuta” dell’indennità medesima operata dall’Istituto, perché basata su norme “regolamentari” interne dell’INAM e che, non avendo rilievo alcuno nei rapporti esterni con gli assistiti assicurati, non potevano pertanto portare limitazioni di sorta al diritto dell’assicurato di ottenere prestazioni previdenziali ed assicurative, previste dalla legge.
Il problema così proposto dalla decisione impugnata e dalle specifiche censure dell’Istituto ricorrente, è stato risolto inizialmente – essendo stato – devoluto in precedenza al vaglio di legittimità, con un orientamento giurisprudenziale uniforme, costante di questa stessa Corte (anche a Sezioni Unite (cfr. 3760-1980) anche se limitatamente alle norme regolamentari “interne” dello Istituto, con riferimento alla previsione degli “effetti” derivanti dall’omesso o ritardato inoltro della prescritta certificazione medica di malattia all’Istituto, (entro il termine al riguardo prescritto), in senso contrario a quello proposto dall’Istituto ricorrente, ed in linea con il giudizio formulato dal giudice di merito.
Si è osservato infatti (cfr. Cass. 4084-1974; Cass. 1971-1978; Cass. 1988-1978; Cass. 3048-1978; Cass. 4512-1979):
– che l’erogazione dell’indennità di malattia (quando dovuta ex art. 6, comma 1°, L. citata 138-1943) costituisce un obbligo istituzionale dell’I.N.A.M., per cui eventuali esclusioni o limitazioni del correlativo diritto dell’assicurato alla indennità medesima non possono che essere riservate alla legge o alle norme ad essa “equiparate”;
– che la legge istitutiva (L. 138-1943: art. 11, comma 1°) ha rinviato espressamente alla contrattazione nazionale od alle relative delibere adottate dagli organi a ciò destinati ed ai regolamenti (da approvarsi con decreto del Capo dello Stato) le modalità di accertamento del diritto degli assicurati alla assistenza prevista dalla legge;
– che nessun contratto collettivo (corporativo) è stato successivamente stipulato al riguardo, e nessun regolamento amministrativo è stato emanato con le forme previste dalla legge;
– che non possono certamente equipararsi i regolamenti “interni” adottati dall’Istituto (attraverso il suo Consiglio di Amministrazione privo peraltro di autonomo potere “normativo”, e nell’esercizio del suo potere (interno) di autodeterminazione ex art. 17 n. 3 L. citata 138-1943, i quali, pertanto, aventi efficacia limitata ex art. 4 disp. sulla legge “in generale”, non possono certamente introdurre esclusioni al diritto dagli assicurati, non previste da norma di legge o da norme ad esse “equiparate”;
– che neppure le norme collettive di natura “corporativa” (C.C.N.L. interconfederale 3 gennaio 1939) esistente, ed ancora in vigore nel nostro ordinamento (ma non stipulate successivamente alla L. 138-1943, ed in attuazione di questa ultima), possono comunque comminare sanzioni o decadenze al riguardo, non avendo la forza di derogare alle disposizioni imperative delle leggi e dei “regolamenti” (art. 7 disp. sulle leggi in generale).
Recentemente però la giurisprudenza di questa Corte, nell’evidente tentativo di temperare il rigido e rigoroso orientamento giurisprudenziale precedentemente adottato ed allo scopo di (giustamente) tutelare le esigenze pubbliche correlate alla imponente e gravosa “gestione” della assicurazione sociale contro le malattie, e, quindi, in definitiva gli stessi interessi della collettività, ha ritenuto” valide ed efficaci (Cass. 2354-1980; Cass. 3884-1984) anche le fonti di diritto di “rango inferiore” sopra richiamate, ai fini che qui interessano, e ritenute “legittime” le sanzioni al riguardo previste nei confronti dell’assicurato che non ottemperi alle prescrizioni mediche o che non si sottoponga alle necessarie visite di controllo (domiciliari o ambulatoriali) e cioé la riduzione o la sospensione dell’indennità di malattia. E ciò per il rilievo che, ritenuto necessario e indispensabile l’accertamento ed il controllo della malattia da parte dell’Istituto assicuratore, ai fini della prevista erogazione della indennità di malattia, deve essere adeguatamente valutato (e quindi sanzionato) il comportamento dell’assicurato assistito che abbia in qualche modo frapposto ostacoli a tali accertamenti e tali controlli, precludendo all’Istituto l’accertamento “tempestivo”, utile ed opportuno, dello stato invalidante.
Orbene, anche se in realtà non si può ulteriormente condividere tale recente e non consolidato orientamento giurisprudenziale (diretto soprattutto,sia pure con apprezzabile intenti e per ragioni di “pubblico interesse”, a colmare il “vuoto” legislativo esistente in materia, e in relazione al quale finalmente il legislatore ha ritenuto era di provvedere, ma non retroattivamente (cfr. art. 5, comma 14° D.L. sett. 1983 n. 463 conv. in L. 11 Nov. 1983 n. 683), per la determinante, decisiva ed insuperabile rilevanza degli argomenti, rigorosamente giuridici, che fanno da valido supporto al contrario, precedente orientamento, il ricorso tuttavia pur riproponendo la contestata linea difensiva dello Istituto, può trovare comunque accoglimento sulla base di ulteriori censure dedotte che propongono, anche se non specificamente, ed in modo vago e indeterminato, il vero e decisivo problema, la cui soluzione consente, esclusivamente sul piano del diritto, di enunciare corretti-principi, utili per la regolamentazione della materia controversa dello attuale giudizio.
In realtà il giudice di merito, dopo aver seguito, nei termini suindicati, la soluzione meramente formalistica del complesso problema proposto al suo esame dalla materia controversa del processo, ha pretermesso ogni e qualsiasi valutazione della condotta dell’assicurato-assistito che, nel caso concreto, per non essersi sottoposto (é pacifico) alla necessaria visita di controllo domiciliare (perché risultato assente ingiustificatamente da casa) da parte dei sanitari incaricati dall’Istituto, ha sostanzialmente precluso all’Ente assicuratore di poter effettuare quei tempestivi e necessari accertamenti sull’effettivo stato di infermità del lavoratore-assicurato medesimo.
Orbene, indipendentemente dalla “sanzioni” al riguardo previste dalla richiamate disposizioni di rango “inferiore” (e correttamente disapplicate dal giudice di merito), esiste indiscutibilmente nell’ordinamento dell’assicurazione sociale, e in particolare, in quello dell’assicurazione contro le malattie, la regola fondamentale di “comportamento” per cui l’assicurato-assistito, per avere diritto alle prestazioni previdenziali ed assicurative, è tenuto a porre l’assicuratore nelle condizioni di esercitare tutti quei controlli ed accertamenti necessari per verificare la sussistenza della malattia denunziata, ovverosia del “rischio” assicurato.
Ciò può essere desunto dai principi generali che ispirano il sistema delle assicurazioni sociali (e che ha recepito anche se in parte la disciplina normativa – in quanto compatibile – dettata dal codice civile in tema di assicurazioni “private”: v. art. 1886 C.C.) e che utilizzano i principi relativi all’obbligo di buona fede, di diligenza, di fedeltà e di correttezza; principi questi che regolano, secondo il nostro ordinamento generale, il comportamento del soggetto-assicurato ed in particolare del lavoratore-dipendente anche nell’ambito del rapporto di assicurazione sociale che lo lega all’Istituto assicuratore. E ciò anche in base a quelle analoghe regole di accertamento legittimamente inserite (in quanto dirette a disciplinare semplicemente le modalità e le formalità di condotta dell’assistito in un momento cronologicamente precedente alla erogazione dell’indennità di malattia, e non certo a comminare sanzioni o decadenze) nelle suindicate fonti di diritto di rango “inferiore”.
Infatti, la sospensione della prestazione lavorativa per causa di malattia che la giustifica ( art. 2110 C.C.), comporta non solo ai fini del rapporto con il datore di lavoro, ma anche a quelli con l’Istituto assicuratore, l’obbligo del lavoratore-infermo, assente dal servizio, di sottostare a tutte le prescrizioni mediche impartitegli dal medico curante, per non aggravare le sue già menomate condizioni di salute e per ottenere la più sollecita, in quanto possibile, reintegrazione delle proprie energie fisiche allo scopo di riprendere il lavoro nel termine previsto dal periodo di invalidità diagnosticato. Ciò l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, diligenza fedeltà e correttezza. Di guisa ché l’inosservanza delle prescrizioni mediche, o il comportamento non di buona fede, negligente, infedele e scorretto del lavoratore-assicurato (che si sottrae con dolo o per colpa alla necessaria visita fiscale di controllo), se nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato può rendere compatibile e giustificata l’applicazione di una eventuale sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro, legittima a maggior ragione, nell’ambito del rapporto di assicurazione che lo lega allo Istituto (anche per le esigenze pubblicistiche e sociali di arginare l’antisociale fenomeno dell'”assenteismo”) il disconoscimento (sospensione o riduzione) della indennità di malattia, allorquando viene meno, per colpa dell’assicurato, ed in conseguenza dell’immediato esercizio del legitto potere di accertamento e di controllo sanitario da parte dell’Istituto assicuratore, la prova della perdurante esistenza della malattia, e cioé lo stesso presupposto per la corresponsione della indennità medesima.
Gli enunciati principi aderiscono proprio alla “ratio” dell’art. 6 L. citata 138-1943 (che prevede l’erogazione della indennità di malattia) e ne costituiscono la sua conseguenziale e coerente applicazione, in quanto il trattamento economico-previdenziale è strettamente collegato con l’accertamento dello stato morboso invalidante del lavoratore-infermo: accertamento questo, diretto fra l’altro, e soprattutto,a salvaguardare l’interesse pubblico correlato ad una corretta “gestione” dell’Ente previdenziale, istituito proprio allo scopo di tutelare l’interesse della collettività contro le malattie.
Del resto tali principi si inseriscono nella scia del “filone” giurisprudenziale di questa stessa Corte, ormai consolidatosi in materia in modo uniforme e costante (cfr. Cass. 3.3.1978 n. 0515; Cass. 18.6.1980 n. 3889; Cass. 12.4.1980 n. 2354; Cass. 2.7.1980 N. 3884). Ed essi hanno trovato anche se indiretta, ma significativa conferma nel recente intervento legislativo (art. 5, comma 14° D.L. 12 sett. 1983 n. 463 conv. in L. 11 nov. 1983 n. 638) che, disciplinando ora, anche se non retroattivamente, le modalità di visita e di controllo domiciliare o ambulatoriale nei riguardi dei lavoratori ammalati, aventi diritto alla indennità – malattia, effettuate dai sanitari dell’I.N.P.S. (che, come è noto, ha assunto
– dopo la soppressione degli Enti mutualistici e la recente “riforma sanitaria” – la gestione della assicurazione contro le malattie, succedendo all’I.N.A.M. “soppresso”) prevede “sanzioni” nei riguardi di coloro che siano assenti da casa, senza giustificato motivo nelle fasce orarie fissate con D.M. 8.1.1985, e che si risolvono in un motivo di “decadenza” dell’assistito da ogni e qualsiasi trattamento economico: per lo intero periodo, e sino a 10 giorni, e, nella misura della metà, per il restante periodo, esclusi però quelli relativi al ricovero ospedaliero e già accertati da precedente visita di controllo.
Con tale provvedimento ( che riguarda tutti i lavoratori, pubblici e privati, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato), il legislatore ha in definitiva realizzato, attraverso una specifica articolata disciplina normativa, la “ratio” del sistema dell’assicurazione sociale contro le malattie, codificando in apposita legge (emanata fra l’altro, e significativamente, allo scopo di adottare “….. misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica …..”: cfr. il titolo della legge) quegli stessi principi che già la giurisprudenza di questa Corte aveva correttamente e in precedenza enucleato.
Va concludendo accolto il ricorso; con rinvio ad altro giudice (che si designa nel Pretore di Modena – Giudice del Lavoro) il quale, riesaminando la materia controversia, dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra enunciati; e indipendentemente dalla citata L. 638-1983 che non può naturalmente regolare una situazione di fatto che, nel caso concreto, risale ad epoca anteriore.
Il giudice di rinvio dovrà infine provvedere anche in relazione alle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, sez. lavoro –
– accoglie il ricorso proposto dall’Istituto Nazionale assicurazione contro le malattie, ora sostituito ex lege dal Ministro del Tesoro Ufficio Liquidazioni Inam:
– Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per il nuovo esame per le spese di questo giudizio, al Pretore del lavoro di Varese.
Roma, li 20 Maggio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 MARZO 1986