Svolgimento del processo

Con citazione del 29 maggio 1971, Angelo Frascino, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli la S.p.A. Infrasud per sentirla condannare al rilascio di un’area di sua proprietà della estensione di mq. 10.630 sita in località S. Giacomo dei Capri, occupata in virtù di decreto prefettizio 5 giugno 1968 perché era scaduto il termine della occupazione legittima senza la pronuncia del decreto di espropriazione; in mancanza di restituzione dell’area, previa disapplicazione del decreto di occupazione d’urgenza, chiedeva il risarcimento dei danni nonché il pagamento della indennità di occupazione.

Con due decreti in data 16 giugno 1973 il Prefetto di Napoli pronunciava la espropriazione dell’area de qua, determinando la indennità in lire 10.252.950.

Con due atti di citazione in data 23 luglio 1973, il Frascino proponeva opposizione alla stima, deducendo la sua inadeguatezza in rapporto al valore venale dei beni e conveniva pertanto la Infrasud dinanzi allo stesso Tribunale per sentir determinare le giuste indennità.

Nella resistenza della convenuta il Tribunale adito, riuniti i tre giudizi, con sentenza del 28 gennaio 1977, respingeva la opposizione alla stima proposta dal Frascino, accoglieva invece la opposizione della Infrasud riducendo a lire 21.578.685 la indennità di espropriazione, accoglieva in parte la domanda di risarcimento dei danni e condannava la società convenuta al pagamento della somma di lire 255.120.340 con gli interessi legali dal 24 gennaio 1969 al saldo.

Su gravame di entrambe le parti, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza non definitiva del 26 giugno 1978, in riforma della appellata sentenza, riteneva applicabile alla fattispecie la legge n. 2359 del 25 giugno 1865, e dichiarava che la indennità dovuta per la espropriazione del suolo di cui si contende andava determinata in base alla legge anzidetta; con separata ordinanza rimetteva le parti innanzi all’istruttore disponendo nuova consulenza tecnica per la determinazione del valore venale dell’area alla data del decreto espropriativo.

Espletata la consulenza d’ufficio, la Corte d’appello, con sentenza del 28 aprile 1983, in riforma della pronuncia di primo grado, determinava la indennità di espropriazione nella somma di lire 315.223.960 ed ordinava pertanto all’espropriante di versare alla Cassa D.D.P.P. la differenza in lire 269.998.510 oltre agli interessi dal 16 giugno 1973 nella misura legale, determinava la somma dovuta per risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima in lire 946.232.680 oltre agli interessi legali sull’ammontare delle singole annualità alla data delle rispettive scadenze e condannava la s.p.a. Tangenziale di Napoli (subentrata alla Infrasud) al pagamento delle relative somme al Frascino.

Riteneva la Corte: a) con sentenza non definitiva si era riconosciuto che in seguito alla pronuncia del decreto di espropriazione in pendenza della occupazione illegittima, la originaria domanda di risarcimento dei danni si era convertita in opposizione alla stima, onde per la preclusione nascente da quella pronuncia non poteva prendersi in considerazione la nuova impostazione difensiva del Frascino in appello, secondo cui doveva ritenersi irrilevante la pronuncia del decreto espropriativo ed escludersi quindi la accennata conversione; b) annullato dal Consiglio di Stato il decreto di occupazione d’urgenza con decisione della IV Sez. 30 novembre 1971 n. 1087, l’oggetto del giudizio rimaneva circoscritto: 1) alla giusta indennità di espropriazione;

2) al risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima; c) tenuto conto che l’indennità di espropriazione andava determinata, con riferimento al giugno 1973 (data della relativa pronuncia) in base agli artt. 39 e 40 della legge n. 2359 del 1865, avendo la sentenza non definitiva escluso ogni riferimento alla legge n. 865 del 1971, il suolo in questione, sulla base del metodo sintetico-comparativo aveva il valore di lire 30.000 al mq.;

d) doveva escludersi la esistenza di un degrado della zona residua in considerazione della estensione delle relative aree, accessibili dalla via pubblica e del fatto che esse erano state utilizzate ai fini edificatori; e) alla indennità di esproprio determinata in lire 315.223.960 andava poi aggiunto il risarcimento dei danni per la occupazione illegittima dal 28 gennaio 1969 al 16 giugno 1973, in ragione dell’interesse del 16 per cento sull’importo della indennità medesima, tenuto conto che il Frascino era imprenditore edile e che nella zona aveva in corso un vasto programma edilizio avendo costruito diversi fabbricati; il relativo importo andava annualmente rivalutato come debito di capitale, onde applicando i coefficienti di raccordo si otteneva la somma complessiva di lire 946.232.680.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso principale Angelo Frascino in base a tre motivi; resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale la Tangenziale di Napoli S.p.A.. Il ricorrente principale ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, perché proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.). Con il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, denunziandosi violazione degli artt. 112, 277 comma 2° e 324 c.p.c. nonché dello art. 2043 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), si assume che la Corte d’appello ha erroneamente omesso di esaminare il primo motivo di appello proposto dal Frascino sul presupposto erroneo di essersi già pronunciata su di esso con la sentenza non definitiva 26 giugno 1978.

Si sostiene inoltre che comunque i giudici di secondo grado hanno omesso di esaminare la domanda di risarcimento dei danni per occupazione illegittima temporanea e che ove si ritenga che tale omissione implichi il rigetto implicito da parte della Corte d’appello di tale ultima domanda, fatta valere anch’essa con il primo motivo di appello, il motivo riflettente la pretesa di risarcimento dei danni, anche per quanto concerne il lucro cessante, viene riproposto in questa sede.

Le riassunte censure non sono fondate.

Va premesso che, contrariamente a quanto sostenuto sia pure con difforme impostazione dalle difese delle parti, non vengono in rilievo nel presente giudizio i principi relativi al giudicato interno formatosi nell’ambito dello stesso processo, ma trova invece applicazione il diverso principio secondo cui il giudice che abbia emesso una sentenza non definitiva, anche se non passata in giudicato, resta da questo vincolato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé in ordine alle questioni definitive e a quelle da questa dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base della intervenuta pronuncia (da ultimo sent. n. 546 del 1985).

E’ quindi con riferimento a tale principio che deve essere presa in esame la doglianza del ricorrente principale secondo cui la Corte di appello con la sentenza non definitiva 26 giugno 1978: a) non statuì affatto sulla domanda di risarcimento dei danni corrispondente al valore venale dei beni (ex art. 2043 c.c.) che prescindeva dalla (tardiva) pronuncia del decreto di esproprio; b) né espresse alcun giudizio sulla (subordinata) domanda di risarcimento dei danni da occupazione illegittima ultrabiennale.

La Corte d’appello, nel prendere in esame il primo motivo di gravame proposto dal Frascino, ha correttamente interpretato la sua precedente sentenza non definitiva, non impugnata, né con riserva né in via immediata da nessuna delle parti, nel senso che con essa, essendosi statuito che al Frascino spettava la indennità di espropriazione secondo i criteri previsti dalla legge generale sulle espropriazioni n. 2359 del 1865 nonché il risarcimento dei danni per occupazione illegittima temporanea (dal suo inizio, per l’annullamento del decreto di occupazione, d’urgenza, al giorno della pronuncia del decreto di esproprio), si era ormai preclusa ogni possibilità di porre in discussione la (ammessa) conversione della originaria domanda di risarcimento dei danni in opposizione alla stima; onde la causa nell’ulteriore corso del giudizio, non poteva prescindere da questa impostazione di fondo.

Non è esatto quindi quanto afferma il ricorrente principale in questa sede che cioé la Corte d’appello sarebbe caduta in un vizio logico di motivazione allorché da un canto ha statuito (con la sentenza non definitiva) di differire la decisione sul primo motivo di gravame alla sentenza definitiva e dall’altra ha poi affermato di non poter esaminare la “convertita domanda di risarcimento”.

Il difetto di motivazione è invece insussistente sol che si consideri l’effettivo contenuto della sentenza non definitiva – secondo cui al Frascino spettano: a) la indennità di espropriazione secondo la legge n. 2359 del 1865; b) il risarcimento dei danni da occupazione illegittima temporanea, di talché si è attenuta ad esatti criteri giuridici la sentenza impugnata quando, in ossequio ai criteri statuiti con la sentenza non definitiva, da una parte ha ritenuto preclusa – nel corso ulteriore del giudizio – ogni possibilità di escludere la ormai riconosciuta conversione della domanda di risarcimento dei danni (corrispondenti al valore venale del bene) in opposizione alla stima (conversione esclusa invece da un recente indirizzo di questa Corte: S.V. n. 1364 del 1983) e dall’altra ha differito al definitivo la determinazione della indennità di esproprio nonché l’esame della connessa domanda di risarcimento dei danni (per occupazione illegittima temporanea).

Né la Corte d’appello è caduta nell’omesso esame della domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per occupazione illegittima temporanea. I giudici di secondo grado infatti, non solo hanno esaminato la suddetta domanda, ma l’hanno accolta sotto il particolare profilo fatto valere dal Frascino, del danno per lucro cessante, non accolto invece dalla sentenza del Tribunale.

E’ noto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di risarcimento dei danni per occupazione illegittima temporanea, al proprietario espropriato compete una somma corrispondente agli interessi legali sul capitale costituito dalla indennità di espropriazione, in difetto di prova di danni particolari eccedenti il tasso legale (sentt. 6913-82; 3870-81; 1688-80).

In applicazione del suddetto principio, i giudici di secondo grado, in base al fatto che il Frascino era imprenditore edile e nella zona aveva in corso un vasto programma edilizio (risultando da lui costruiti in loco diversi fabbricati), hanno liquidato il danno da lui subito per non aver potuto costruire in seguito alla occupazione illegittima del bene di sua proprietà (dal 29 gennaio 1969 al 16 giugno 1973), in misura pari all’interesse del 16 per cento sulla indennità di espropriazione. Il relativo capitale è stato poi rivalutato, come si vedrà nell’esame del ricorso incidentale.

Sottraendosi la sentenza impugnata alle suddette censure, i primi due motivi del ricorso principale devono essere pertanto respinti.

Con il terzo motivo, infine, denunziando violazione degli artt. 39 e 40 della l. 25 giugno 1865 n. 2359 nonché omesso esame di punto decisivo della controversia, il ricorrente principale si duole che la Corte d’appello, nel determinare il valore di mercato dell’area espropriata, non soltanto sia incorsa in vizio logico di motivazione, ma non abbia tenuto conto del degrado della zona residua non espropriata.

Il motivo è infondato sotto entrambi i profili accennati. In primo luogo non è censurabile in questa sede l’adozione del metodo sintetico-comparativo ai fini della determinazione del valore di mercato del bene espropriato con riferimento al giugno 1973 (data del decreto di esproprio). La Corte di appello a tal fine ha ritenuto di prendere in considerazione soltanto due contratti di compravendita di suoli contigui v. pag. 16 (con riferimento al 1973 ed al 1970), mentre non ha calcolato il prezzo di suoli alienati in epoche diverse.

La tesi del ricorrente principale è nel senso che la impugnata sentenza sarebbe caduta in errore giacché non potevano ignorarsi ai fini che si considerano i prezzi dei suoli anche relativi ad epoca anteriore, non costituendo un elemento ostativo al riguardo la circostanza – addotta dalla Corte del merito – che essi non scontavano i vincoli urbanistici intervenuti all’epoca della espropriazione.

La doglianza è priva di fondamento ove si consideri che se è vero che al fine della determinazione dell’indennità di esproprio di un’area urbana non deve computarsi l’incidenza negativa sul valore di mercato derivante dai vincoli imposti dai piani regolatori (od equivalenti strumenti urbanistici) e preordinati a successiva espropriazione (da ultimo S.U. n. 5993 del 1984), non altrettanto può dirsi dei vincoli limitativi di carattere generale, onde non merita alcuna censura il criterio adottato dalla Corte d’appello secondo cui sono stati esclusi dal confronto comparativo i dati relativi ad epoca anteriore caratterizzati da una normativa edilizia che, ad avviso della Corte, consentiva una maggiore edificabilità.

Né può dirsi che la Corte d’appello sia caduta in contraddizione quando da un lato ha ritenuto attendibile parametro il contratto di compravendita v. pag. 18. Mensa Arcivescovile di Napoli-Frascino del 5 dicembre 1973 per estensione, eguale disciplina urbanistica e simiglianza di giacitura e dall’altra ha ammesso analoghe possibilità di sfruttamento soltanto a seguito di urbanizzazione (riempimento di un dislivello di circa 30 metri, costruzione di un fognone etc.).

La Corte ha rilevato che il relativo v. pag. 18 suolo era stato alienato dalla Curia per il prezzo di lire 13.810 al mq., ma che a tale somma occorreva aggiungere l’importo delle opere di sistemazione di cui sopra.

E avendo ritenuto di non potere accedere alle valutazioni prospettate dalle parti circa il costo di tali opere (da aggiungere al prezzo sopra indicato), la Corte ha argomentato da un altro atto di compravendita (rogito Restino del 31 ottobre 1970) che il prezzo unitario del suolo espropriato potesse calcolarsi in ragione di lire 30.000 al mq.

Né la contraddizione può ravvisarsi nel fatto che in quest’ultimo atto del 1970 il Fisco aveva accertato un valore unitario di lire 52.800 al mq., in quanto, come la Corte ha sottolineato, trattasi di contratto stipulato in epoca anteriore alla approvazione con legge del 31 marzo 1972 del P.R.G., già intervenuta invece quando sopravvenne il decreto di espropriazione del giugno 1973.

Quanto, infine, alla esclusione di un degrado della zona residua rimasta in proprietà dell’espropriato – ritenuta dalla sentenza in esame – anche questa parte della motivazione si sottrae alle proposte censure.

La Corte ha rilevato che trattasi di due zone della consistenza rispettiva di mq. 8020 e 5.450, accessibili ciascuna dalla via pubblica ed utilizzate a scopi edificatori. Né per sostenere invece il degrado può obiettarsi con fondamento che le opere di urbanizzazione originariamente incidenti sull’intero comprensorio edificabile, gravano dopo la espropriazione sulla sola area residua con incidenza quindi più rilevante sulla stessa, perché, seguendo il criterio estimativo adottata dalla Corte d’appello, una volta ripartite per ciascun metro quadrato, quelle incidenti sull’area espropriata sono comprese nel prezzo unitario fissato in lire 30.000 al metro quadrato.

Alla stregua dei precedenti rilievi le doglianze mosse dal ricorrente principale alla impugnata sentenza con il terzo motivo sono prive di fondamento e devono essere pertanto respinte.

Con l’unico motivo del suo ricorso incidentale la Tangenziale di Napoli S.p.A. assume a sua volta che la sentenza impugnata, nel determinare i danni da occupazione illegittima sia incorsa nella violazione dell’art. 2043 c.c., attribuendo al Frascino una somma superiore al danno patrimoniale dallo stesso subito.

La censura non è fondata.

Deve premettersi che la giurisprudenza richiamata dal ricorrente incidentale (S.U. n. 1873 del 1982) non ha inteso precostituire, come si sostiene in questa sede, un criterio inderogabile per la determinazione dei danni da occupazione illegittima, ma facendo riferimento alla ipotesi più comune – quando cioé il relativo pregiudizio venga determinato nella misura degli interessi legali sulla somma attribuita a titolo di indennità di espropriazione – ha statuito il principio secondo cui è irrilevante che il terreno dotato di attitudine v. pag. 22 edificatoria fosse utilizzato in concreto come fondo agricolo, dovendosi, anche in tal caso, calcolare gli interessi sul valore del suolo come edificatorio. Tale principio, comunque, non offre deroga, allorché superandosi – come è accaduto nella fattispecie – il criterio presuntivo degli interessi legali, il danno subito dal proprietario espropriato per la illegittima occupazione venga liquidato tenendo conto delle particolari modalità del caso concreto e del pregiudizio (di più ampie dimensioni rispetto a quello presunto adottando il criterio degli interessi legali) dal medesimo in realtà subito. Quando infatti sussista la prova del lucro cessante dipendente dall’uso che il soggetto avrebbe potuto fare della cosa di sua proprietà durante la occupazione illegittima e che non ha fatto a causa dell’illecito da altri compiuto in suo danno, non vi è motivo alcuno per escludere, secondo i principi, la risarcibilità del danno in misura superiore al tasso legale degli interessi sul valore capitale del bene (cfr. per il principio generale le sentt. nn. 6913-82; 3870-81). Ed è quanto è accaduto nel caso di specie, poiché – come si è accennato nello esame dei primi due motivi del ricorso principale – la Corte d’appello ha liquidato il danno da occupazione illegittima tenendo conto del lucro cessante (perduta possibilità per il Frascino di utilizzare durante il periodo di occupazione illegittima il fondo occupato a fini costruttivi) in base ad una valutazione complessiva degli elementi probatori risultanti dal processo (qualità di imprenditore edile del Frascino, natura edificatoria dell’area illegittimamente occupata, vasto programma edilizio posto in essere dal Frascino nella zona avendo richiesta ed in parte ottenuta la concessione di diverse licenze edilizie, tanto che risultano da lui costruiti in loco diversi fabbricati (v. sentenza impugnata a . 26), onde vede ritenersi del tutto congruo il criterio di liquidazione adottato dai giudici di appello in ragione dell’interesse del 16 per cento sulla sorta capitale.

Né la sentenza impugnata è incorsa in una duplicazione allorché ha proceduto alla rivalutazione di quella somma. Infatti, la determinazione del risarcimento in base al danno in concreto subito dal ricorrente principale per la sua qualità di imprenditore edile, non ha fatto perdere alla relativa obbligazione la sua natura di debito di valore e pertanto deve essere adeguata alla capacità di acquisto della moneta al momento della decisione.

Sull’ammontare complessivo delle singole annualità la Corte d’appello ha poi rettamente liquidato gli interessi compensativi in considerazione del mancato godimento della somma che doveva essere corrisposta al proprietario fin dalla data della consumazione dell’illogico (sent. S.U. n. 830 del 1982).

In conclusione, sia il ricorso principale che il ricorso incidentale devono essere respinti per la loro infondatezza, ma sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte: riuniti il ricorso principale e il ricorso incidentale, li rigetta entrambi.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 25 settembre 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 FEBBRAIO 1986