Svolgimento del processo

1. Solito Martino, con citazione 18 maggio 1987, conveniva davanti al Tribunale di Taranto Raguso Angelo e Colaprico Angela Maria esponendo di essere stato da essi calunniato subendo per tale causa un’ingiusta detenzione; di essere stato prosciolto con formula piena dalle accuse rivoltegli; di avere pertanto denunciato per calunnia i convenuti, costituendosi parte civile nel procedimento penale a loro carico. Esponeva di avere ottenuto dal Presidente del Tribunale di Taranto sequestro conservativo in danno dei convenuti a garanzia del credito per risarcimento e chiedeva la convalida del relativo provvedimento, eseguito su beni immobili del Raguso e della Colaprico.

Costoro si costituivano deducendo l’insussistenza del periculum in mora.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza 22 marzo 1993, depositata il 15 aprile 1993, rigettava la domanda di convalida, ritenendo non provato il periculum in mora, e ordinava la cancellazione della trascrizione del sequestro.

Il Solito proponeva appello, contestando tale mancanza e deducendo che i convenuti erano coniugi in regime di separazione dei beni; che il Raguso aveva fatto intestare, con atto 5 gennaio 1984, alla sola moglie un appartamento che in precedenza, con il preliminare, si era obbligato ad acquistare; che successivamente, con due atti di compravendita ed uno di donazione la Colaprico, dal 1987 al 1991, si era spogliata di tutti gl’immobili di sua proprietà, con eccezione di quelli sottoposti al sequestro.

Chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata, il sequestro fosse convalidato.

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza depositata il 30 luglio 1994, ha convalidato il sequestro.

Avverso tale sentenza ricorrono il Raguso e la Colaprico con atto notificato il 18 novembre 1994, formulando tre motivi ai quali il Solito resiste con controricorso ed ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 671 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si sostiene al riguardo che essi ricorrenti avevano eccepito in corso di causa l’inesistenza del diritto in relazione alla cui lesione era stato chiesto il sequestro conservativo, poiché erano stati assolti, con sentenza 23 giugno 1989 del Tribunale di Taranto, dall’accusa di calunnia, in relazione ai danni derivanti dalla quale il sequestro era stato disposto.

Ne derivava l’assenza del fumus boni iuris e la erroneità della convalida del sequestro.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 671 c.p.c. sotto altro aspetto, e precisamente per non essere indici di periculum in mora i trasferimenti di proprietà dall’uno all’altro coniuge, essendo entrambi tenuti in solido all’adempimento delle eventuali obbligazioni risarcitorie connesse con la denuncia per calunnia e non essendo a tal fine rilevanti i fatti dispositivi del patrimonio avvenuti in corso di causa.

Con il terzo motivo si deduce la contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte d’Appello ritenuto indici del periculum in mora alienazioni compiute dopo il sequestro, in quanto continuazione di precedenti comportamenti, non specificamente individuati.

2. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, infondato quanto al secondo ed al terzo.

Va premesso al riguardo che, a norma dell’art. 671 c.p.c. l’emanazione di un provvedimento di sequestro conservativo presuppone l’esistenza sia del fumus boni iuris – cioè di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa in contestazione – sia del periculum in mora, cioè del fondato timore di perdere le garanzie del primo credito, cosicché la carenza di una soltanto di dette condizioni impedisce la concessione della misura cautelare e, qualora sia stata emessa, il giudizio di convalida deve avere per oggetto la sussistenza di entrambe (da ultimo, Cass. 3 febbraio 1996, n. 927).

Nel caso di specie, trattandosi di sequestro richiesto in relazione a danni derivanti da un fatto costituente reato, all’esame del giudice penale, dinanzi al giudice civile era stata proposta unicamente domanda di convalida, e non anche il giudizio di merito, cosicché oggetto del giudizio era solo l’accertamento dell’esistenza delle due anzidette condizioni, necessarie per la legittimità del sequestro, essendovi stata, in relazione a detto fatto, costituzione di parte civile in sede penale.

3. La sentenza di primo grado aveva negato la convalida del sequestro, affermando la mancanza del periculum in mora, senza nulla statuire in ordine al fumus boni iuris. Avendo la parte soccombente impugnato la sentenza deducendo la esistenza di detto pericolo, la Corte d’Appello, per poter convalidare il sequestro, avrebbe dovuto riscontrare l’esistenza di entrambe le condizioni necessarie per la convalida, e quindi anche del fumus boni iuris, contestato dagli odierni ricorrenti nel giudizio di primo grado.

Tale insussistenza, in quanto si riferisce ad una delle due condizioni necessarie per la convalida del sequestro, non costituisce eccezione in senso proprio, da riproporsi espressamente in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c., inerendo detto fumus boni iuris, ex lege, alla convalidabilità del sequestro, cosicché la Corte d’Appello, per poterlo convalidare, doveva riscontrarne d’ufficio la ricorrenza. Non avendolo fatto, il primo motivo del ricorso va accolto.

Quanto agli altri due motivi del ricorso, relativi alla sussistenza periculum in mora affermata dalla Corte d’Appello, essi sono infondati, avendola la Corte riscontrata sulla base dell’accertamento – conforme al dettato dell’art. 671 c.p.c. – che soltanto la Colaprico era proprietaria di beni immobili, che essa, dopo la costituzione di parte civile del Solito (odierno resistente) e prima della presentazione dell’istanza di sequestro, alienò un immobile; che nel corso del giudizio di convalida trasferì ad altri la proprietà di altri due immobili, restando proprietaria dei soli beni immobili sottoposti a sequestro.

Ne deriva che, mentre il secondo e il terzo motivo del ricorso vanno rigettati, il primo motivo deve essere accolto e la sentenza cassata in relazione ad esso, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce, che dovrà statuire anche sulle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione: Rigetta il secondo e il terzo motivo del ricorso.
Accoglie il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.
Così deciso in Roma il 20 dicembre 1996.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA L’8 SETTEMBRE 1997.