Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 20 ottobre 1969 il Condominio denominato “Firenze” del fabbricato sito in Finale Ligure al vico della Madonna, in persona dell’amministratore pro tempore, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Savona la impresa Fratelli Valle in persona dei soci Giobatta Valle e Paolo Valle, esponendo di aver stipulato il 17 agosto 1962 un “compromesso”in forza del quale la ditta Valle aveva ceduto al Condominio per il corrispettivo di lire 1.300.000 un’ area adiacente ad uno dei due caseggiati edificati e da destinarsi a giardino, impegnandosi ad eseguire sul termine indicato e su condizioni convenute le opere indicate nella convenzione. Aggiungeva il Condominio che aveva versato il corrispettivo pattuito e di fronte alla inerzia della impresa aveva provveduto altresì all’esecuzione delle opere.
Ciò premesso chiedeva che venisse accertato che attraverso la menzionata scrittura la ditta Valle aveva venduto al Condominio l’appezzamento di terreno descritto nel contratto, ordinandosi al Conservatore dei Registri Immobiliari la trascrizione dell’emananda sentenza; in via subordinata che la ditta convenuta fosse condannata a stipulare l’atto pubblico di trasferimento del terreno e comunque condannata al pagamento delle spese sostenute per la esecuzione delle opere.
I convenuti costituitisi contestavano la domanda deducendone la infondatezza.
Nel corso del giudizio intervenivano volontariamente nel processo Ginevra Smillovich, Carlo Marchisio, Emilio Spitale e Luigia Sordo per far valere nella loro veste di condomini il proprio diritto di proprietà pro quota sul terreno in contestazione e per ottenere il pagamento della loro quota del costo delle opere di sistemazione dell’area.
Il Tribunale adito con sentenza 28 gennaio 1980 accoglieva integralmente la domanda degli attori.
Investita del gravame dei soccombenti fratelli Valle, la corte di appello di Genova con sentenza 26 settembre 1981 lo accoglieva parzialmente, dichiarando il difetto di legittimazione del condominio con riferimento alla domanda di accertamento dell’avvenuto acquisto dell’area controversa, di cui, invece riteneva, che erano divenuti comproprietari, in virtù della scrittura privata 17 agosto 1962 i condomini intervenuti in ragione delle rispettive quote millesimali.
La Corte del merito per quanto interessa ancora il presente giudizio ritenuto che con la scrittura privata 17 agosto 1962 le parti e cioé il Condominio e l’impresa fratelli Valle, intesero procedere alla compravendita dell’area in questione e non già soltanto obbligarsi alla vendita e che pertanto ciascun acquirente avrebbe potuto agire in giudizio per ottenere attraverso il riconoscimento della autenticità della scrittura, la trascrizione sui registri immobiliari per renderla opponibile ai terzi, osservava che il Condominio, quale mero ente di gestione, privo di personalità giuridica, distinta da quella dei singoli condomini, non aveva la capacità di acquistare la proprietà di un bene e perciò difettava della legittimazione ad causam rispetto all’azione proposta.
Legittimati dovevano ritenersi invece i condomini intervenuti nel processo essendo indubbio il loro diritto di ottenere la eclaratoria dell’efficacia giuridica della scrittura in questione e del conseguente acquisto da parte loro della comproprietà dell’area in proporzione delle rispettive quote condominiali.
La Corte riteneva peraltro che l’eccezione relativa alla nullità del contratto, sottoscritto dal solo Giobatta Valle, il quale sosteneva di avere revocato il suo consenso prima della produzione in giudizio della scrittura, era tardiva in quanto formulata per la prima volta con la comparsa conclusionale e comunque destituita di fondamento.
Del pari infondata doveva ritenersi l’ulteriore eccezione di invalidità del negozio per essere la scrittura sottoscritta dal solo Giobatta Valle e non anche dall’altro titolare della ditta Paolo Valle. Correttamente infatti i primi giudici avevano fatto riferimento al disposto dell’art. 2297 c.c. secondo il quale nelle società irregolari si presume che ciascun socio che agisca per la società abbia la rappresentanza sociale, con tutte le conseguenze d’ordine sostanziale circa la responsabilità del patrimonio sociale e di quello individuale.
Né d’altra parte i Valle avevano fornito la prova della sussistenza di fatti limitativi del potere di rappresentanza del socio sottoscrittore e ancor meno della conoscenza di essi da parte degli acquirenti del condominio Firenze.
Contro questa sentenza ricorrono per cassazione Giobatta Valle e Paolo Valle.
Resistono con controricorso Emilio Spitale, Ginevra Smillovich e Carlo Marchisio i quali hanno a loro volta proposto ricorso incidentale.
Motivi della decisione
I due ricorsi in quanto proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti.
Con il primo motivo del ricorso principale denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 105 c.p.c., nonché omessa e insufficiente motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata perché pur avendo escluso che il condominio fosse legittimato a chiedere l’accertamento del trasferimento del bene controverso in virtù dell’atto denominato o cosiddetto compromesso, ha ritenuto che tale legittimazione spettasse ai condomini convenuti senza indicare sufficientemente le ragioni per cui tutti avevano acquistato la comproprietà dell’area in proporzione delle rispettive quote condominiali e senza accertare se i predetti condomini alla data della stipula del contratto 17-8-62 avevano acquistato una unità immobiliare facente parte del “Condominio Firenze”.
Il motivo è infondato.
La questione proposta dai ricorrenti impropriamente considerata come attinente alla legittimatio ad causam in realtà costituisce una questione di merito che investe la titolarità del rapporto controverso.
E’ noto che la legittimatio ad causam costituisce una condizione dell’azione, intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito, sia essa favorevole o sfavorevole, sicché non riguardano la legittimazione, ma il merito, tutte le questioni attinenti alla effettiva titolarità del rapporto sostanziale controverso, ovvero alla identificazione concreta dei soggetti di tale rapporto, che investono il fondamento della pretesa fatta valere da una parte nei confronti dell’altra.
Non c’é alcun vizio logico quindi nella sentenza impugnata che pur avendo escluso la legittimazione del condominio, ha riconosciuto il diritto controverso in capo ai singoli condomini intervenuti, essendo essi stessi in quanto proprietari delle singole unità condominiali acquirenti pro quota dell’area oggetto della convenzione 17 agosto 1962 e perciò titolari del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
Né può essere oggetto di censura la identificazione dei soggetti titolari di tale rapporto, non solo perché la questione sotto tale aspetto viene proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità, avendo gli attuali ricorrenti nel giudizio di merito contestato solo la legittimatio ad causam dei condomini intervenuti; ma anche perché la Corte del merito con accertamento di fatto congruamente motivato ha ritenuto che i condomini titolari del diritto controverso, con implicito riferimento a quelli intervenuti, erano esattamente determinati in quanto acquirenti alla data della stipulazione del contratto di una unità immobiliare facente parte del condominio Firenze.
Con il secondo motivo denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 1326 e 1328 c.c. nonché omessa insufficiente motivazione i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto tardivamente proposta e comunque disattesa la questione da essi sollevata circa il mancato perfezionamento del contratto di compravendita sottoscritto dal solo venditore avendo questo ultimo revocato il proprio consenso prima della produzione in giudizio da parte dei compratori, e sostengono che la corte del merito ha operato anzitutto una arbitraria equiparazione della questione del mancato perfezionamenti del negozio con quella della nullità del negozio stesso che non era stata affatto prospettata ed ha perciò arbitrariamente applicato le preclusioni che riguardano soltanto questioni di nullità e in ogni caso ha fatto malgoverno delle risultanze di causa, dalle quali risultava che essa Giobatta Valle aveva revocato il proprio consenso prima dell’inizio della lite.
Le censure sono infondate.
La revoca della proposta attiene al perfezionamento della fattispecie negoziale e come tale costituisce materia di eccezione in quanto incombe a colui che deduce di avere revocato la proposta prima della conclusione del contratto, l’onere di proporre la relativa eccezione oltre che di dimostrarla.
Non è questione perciò di nullità del contratto, nel qual caso, trattandosi di giudizio diretto alla sua applicazione la nullità avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio anche in sede di impugnazione, ma dell’accertamento del perfezionamento del procedimento di formazione del contratto che il giudice del merito correttamente ha ritenuto, con argomentazione decisiva ed assorbente, validamente conclusa a seguito della produzione in giudizio da parte del compratore del contratto sottoscritto dal solo venditore, essendo rimasta preclusa ogni questione sulla revoca anteriore da parte del venditore.
Con il terzo motivo denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2297 c.c., nonché insufficiente motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata che ha ritenuto applicabile alla fattispecie, il disposto dell’art. 2297 in base al rilievo che essi non avrebbero fornito la prova della sussistenza di fatti limitativi del potere di rappresentanza relativamente a Giobatta Valle e dalla conoscenza di tali fatti da parte degli acquirenti del condominio senza tener conto sulla base della prodotta documentazione che ogni qualvolta il Giobatta Valle si era obbligato con riferimento alla proprietà dei beni in comune con l’altro socio aveva sempre agito quale procuratore di quest’ultimo.
Anche tale motivo è infondato.
Le censure dei ricorrenti contrastano col preciso orientamento della giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamato dal giudice del merito, secondo il quale nella società collettiva di fatto perché il vincolo sociale ed i suoi effetti si proiettino nel mondo esterno rispetto ai terzi, non è necessaria la partecipazione di tutti i soci ad ogni attività sociale, presumendosi che ciascun socio che agisce per la società ne abbia la rappresentanza e non occorre che le manifestazioni esteriori, atte a provocare di fronte a terzi l’agire del socio in nome della società assurgano alla spendita anche del nome dell’altro o degli altri soci, essendo sufficiente che il comportamento di chi agisce per la società sia tale da rendere palesi il vincolo sociale e l’esplicazione dell’attività nell’interesse comune ed inequivoca la riferibilità del negozio alla società stessa (Cass. 18 maggio 1968 n. 1568; 26 maggio 1975 n. 2013).
Né può essere oggetto di censura il giudizio di merito sulla operatività della presunzione di cui al 2° comma dell’art. 2297 c.c. poiché la corte ha precisato in modo logico e coerente le ragioni in base alle quali ha escluso la prova della esistenza di un limite è, della sua conoscenza comunque da parte dei terzi, ai presunti poteri generali di rappresentanza del socio Giobatta Valle. Giustamente poi la Corte ha ritenuto che il fatto che quest’ultimo avesse sottoscritto in proprio e in nome e per conto del fratello in virtù di procura speciale (non soltanto per il fratello quindi come ricordano i ricorrenti) gli atti notarili di vendita degli appartamenti deponeva se mai per la esistenza del potere generale di rappresentanza e non del contrario.
In definitiva il ricorso principale deve essere respinto mentre quello incidentale diretto ad ottenere la declaratoria della formazione del giudicato in ordine alla avvenuta conclusione del contratto di compravendita per la sua natura di ricorso condizionato all’accoglimento di quello principale deve essere assorbito.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale;
condanna i ricorrenti principali alle spese in lire 52.850 e agli onorari in lire 600.000.
Così deciso in Roma il 3 giugno 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 MARZO 1986