Svolgimento del processo

Con citazione dell’8 gennaio 1983 la S.p.A. Impresa Angelo Farsura convenne davanti al Tribunale di Roma l’Azienda Nazionale Autonoma delle Strade, chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 47.284.544 con gli interessi del 23%, ovvero con gli interessi legali sulla somma rivalutata.

A sostegno della domanda espose che il primo stato di avanzamento dei lavori di appalto affidatile dall’A.N.A.S. era stato registrato il 15 dicembre 1980, mentre l’ordine di pagamento era stato emesso il 26 maggio 1981, con un ritardo di 116 giorni dalla data ultima del 29 gennaio 1981 in cui il pagamento sarebbe dovuto avvenire.

Aveva diritto, pertanto, alla corresponsione degli interessi sul capitale nella somma complessiva di L. 47.284.544, salvo rivalutazione e liquidazione degli interessi legali sulla somma rivalutata.

Costituitosi il contraddittorio, l’A.N.A.S. chiese che, previa dimostrazione del ritardo, venisse comunque respinta la domanda di pagamento degli ulteriori interessi di mora sulla somma corrispondente agli interessi sul capitale, dato il divieto legale dell’anatocismo, secondo cui soltanto gli interessi dovuti per almeno sei mesi possono produrre ulteriori interessi.

Con sentenza del 30 giugno 1984 il Tribunale di Roma accolse la domanda diretta al pagamento della somma di L. 47.284.544 per interessi dovuti sulle somme pagate con ritardo di 116 giorni rispetto ai termini contrattuali e legali.

Respinse invece la domanda accessoria proposta per ottenere il pagamento degli interessi sulla somma testé indicata, osservando che, pur dopo il pagamento del capitale, permaneva immutato il titolo in base al quale era maturata la somma per interessi durante il tempo in cui si sarebbe dovuto corrispondere il capitale; sì che, trattandosi di un periodo di tempo inferiore a sei mesi (116 giorni), gli interessi non potevano produrre a loro volta interessi contro il suddetto divieto dell’anatocismo.

La società appaltatrice propose appello, chiedendo la riforma della decisione perché gli interessi erano in realtà dovuti da almeno sei mesi e perché si doveva considerare ormai inapplicabile la regola restrittiva del semestre.

Con sentenza del ….. la Corte di Appello di Roma respinse il primo motivo, osservando che in base alla regola dell’anatocismo sarebbe stato necessario che gli interessi fossero dovuti per sei mesi, non da sei mesi.

Accolse invece il secondo motivo, poiché la “ratio” dell’art. 1283 cod. civ. doveva essere individuata nell’esigenza di evitare la spirale di aumento degli interessi; e quindi, estinto il debito per capitale, quello residuo degli interessi si configurava non più come un’obbligazione accessoria ma come un autonomo debito di denaro al quale non poteva essere applicato il divieto degli interessi per sei mesi. Altrimenti il debitore avrebbe potuto protrarre l’adempimento a suo arbitrio senza pagare gli interessi. L’imputazione “ex lege” del pagamento alla prestazione accessoria degli interessi si spiegava, secondo la Corte, non per assicurare la fruttificazione del capitale – da cui, “a contrariis”, il carattere infruttifero degli interessi – bensì per l’esigenza di evitare la prescrizione del credito meno tutelato.

In definitiva, secondo la Corte, venuto meno il rapporto di accessorietà col pagamento del capitale, il debito concernente gli interessi ricadeva sotto le regole generali delle obbligazioni pecuniarie; e la somma dovuta a questo titolo era quindi produttiva di nuovi interessi.

Contro tale decisione l’A.N.A.S. ha proposto ricorso per cassazione, adducendo un unico motivo di censura.

Resiste la Soc. Farsura con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico mezzo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1193, 1194, 1283 cod. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Sostiene che il credito di interessi ha una particolare causa ed una particolare disciplina – quanto alla prescrizione e all’adempimento – “e questa non cessa di applicarsi perché il credito di interessi cessa di essere accessorio a quello principale”.

Siccome – prosegue la ricorrente – la posizione del creditore di interessi è meno garantita, l’art. 1194 cod. civ. impedisce al debitore “di liberarsi prima dell’obbligazione di capitale e poi di quella di interessi”. Questo effetto legale può essere evitato solo dalla volontà del creditore, il quale accetti l’imputazione del pagamento al capitale anziché agli interessi. Ora – conclude il ricorrente – se unicamente il consenso del creditore può produrre tale risultato, non v’è ragione di ricercare in supposti limiti all’applicabilità dell’art. 1283 cod. civ. una tutela dell’interesse del creditore di fronte al ritardo nell’adempimento del debito degli interessi, che è già assicurata dall’art. 1194 cod. civ.

Il motivo è fondato e deve essere accolto.

Il creditore trova il massimo di tutela giuridica nel congiunto disposto degli artt. 1283, 1194 cod. civ. con l’imputazione del pagamento, secondo legge, agli interessi prima che al capitale. Se aderisce, invece, all’imputazione del pagamento al capitale anziché agli interessi, l’obbligazione relativa a questi ultimi mantiene inalterata la propria natura, e la somma che ne costituisce l’oggetto è improduttiva di nuovi interessi tutte le volte che il pagamento, imputato al capitale, sia avvenuto entro il semestre.

Rimangono salvi i principi concernenti il comportamento doloso o gravemente colposo del debitore – principi di ordine pubblico e quindi non derogabili dallo stesso debitore consenziente (arg. ex artt. 1229, 1175 cod. civ.) -, la cui contestazione darebbe luogo ad una controversia d’altra natura, perché basata su una diversa e più specifica “causa petendi”, della quale in questa sede non si discute.

A questo proposito giova ripetere che nella specie l’ordine di pagamento era stato emesso il 26 maggio 1981, con un ritardo di 116 giorni dalla data ultima del 29 gennaio 1981 in cui il pagamento sarebbe dovuto avvenire. E occorre aggiungere che l’A.N.A.S. aveva chiesto che la società attrice fornisse adeguata prova sul ritardo dedotto a fondamento della domanda; e che a seguito della produzione da parte dell’attrice della relativa documentazione entrambe le parti avevano finito col dare per pacifico l’obbligo della convenuta di corrispondere gli interessi sulle somme pagate col ritardo anzidetto; sì che risultava esatto per mancanza di contestazione il conteggio in L. 47.284.564 di quanto dovuto dall’appaltante per il ritardo nel pagamento delle somme precisate dall’attrice.

Nulla invece era dovuto a titolo di interessi anatocistici dell’A.N.A.S. alla Soc. Farsura, che aveva consentito alla imputazione del pagamento al capitale.

Ne consegue che il ricorso deve essere accolto con la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma che, nel riesaminare la controversia, dovrà applicare il seguente principio di diritto: “Per il congiunto disposto degli artt. 1194, 1183 cod. civ., se il creditore consente che il pagamento sia imputato al capitale, gli interessi già maturati per un periodo inferiore al semestre non sono produttivi a suo favore di ulteriori interessi”.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 19 giugno 1990.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 LUGLIO 1991.