Svolgimento del processo

Con atto pubblico del 1° febbraio 1966 il Banco di Sicilia ha concesso un mutuo a Salvatore Fichera e ad altri mutuatari, i quali avevano prestato garanzia ipotecaria, con la intesa che il capitale sarebbe stato restituito attraverso rimborsi annuali posticipati ed al tasso di interesse del 9% ed ulteriore interesse di mora e capitalizzazione annuale in caso di inadempimento. Verificatosi l’inadempimento dei mutuatari, il Banco, dopo la notifica del precetto e del contratto di mutuo in forma esecutiva, ha sottoposto a pignoramento i beni sottoposti ad ipoteca per la garanzia del mutuo, intervenendo nel procedimento esecutivo anche per altri crediti derivanti da successivi mutui e sovvenzioni ipotecarie. I beni pignorati sono stati oggetto di vendita forzata. Con ricorso al giudice dell’esecuzione del 16 febbraio 1977 il Fichera ha proposto opposizione all’esecuzione, deducendo la nullità del titolo esecutivo, perché spedito in forma esecutiva in contrasto con gli altri presupposti inerenti la convenzione e l’avvenuto adempimento delle sue obbligazioni. Il Banco di Sicilia ha resistito all’opposizione rilevando l’inammissibilità del primo motivo, costituente opposizione agli atti esecutivi e proposto oltre il termine indicato dall’art. 617 cod. proc. civ., e l’infondatezza del secondo. Il Tribunale di Catania, con sentenza dell’11 aprile 1978, ha dichiarato che l’opposizione agli atti esecutivi doveva considerarsi inammissibile e quella all’esecuzione era infondata. Proposto appello dal Fichera, la Corte di Appello di Catania con una prima sentenza non definitiva del 28 agosto 1981, ritenuto che l’opposizione, con la quale il debitore aveva denunciato la nullità del titolo esecutivo perché illegittimamente spedito in forma esecutiva, doveva essere qualificata come opposizione agli atti esecutivi e non opposizione all’esecuzione, ha rilevato che il Fichera aveva proposto la propria opposizione oltre il termine indicato dall’art. 617 cod. proc. civ. e lo ha dichiarato “decaduto” dalla proposizione dell’opposizione stessa.

Con sentenza definitiva del 18 aprile 1988 la stessa Corte ha rigettato l’appello relativamente a quella parte dell’opposizione con la quale il Fichera aveva sostanzialmente dedotto l’insufficienza del titolo esecutivo e l’avvenuto adempimento delle proprie obbligazioni. Per questa parte dell’opposizione la Corte, premesso che risultava accertato che gli interessi erano stati calcolati dal creditore in larga parte nella misura legale e senza applicazione di anatocismo, ha rilevato che l’eccezione del Fichera dell’integrale soddisfacimento di tutti i crediti del Banco era stata smentita da specifico accertamento dal quale era risultato l’attuale esistenza di un residuo credito e che gli interessi sulle somme depositate erano stati regolarmente computati. Per la cassazione di entrambe le sentenze Salvatore Fichera ha proposto ricorso, svolgendo sette motivi. Resiste il Banco di Sicilia con controricorso contenente anche ricorso incidentale, articolato in due motivi ed illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1) Il ricorso principale e quello incidentale debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., trattandosi di impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza.

2) Preliminarmente occorre procedere all’esame del ricorso incidentale con il quale il Banco di Sicilia ha eccepito sotto due distinti profili l’inammissibilità del ricorso principale. Il controricorrente, rilevato che nel giudizio di opposizione all’esecuzione erano litisconsorti necessari anche gli altri creditori intervenuti nel processo esecutivo, sostiene in primo luogo che la sentenza impugnata erroneamente ha disatteso la relativa eccezione che era stata proposta nel corso del giudizio di merito. A queste considerazioni aggiunge che la stessa sentenza impugnata altrettanto erroneamente non ha rilevato che l’appello avverso la sentenza di primo grado doveva essere considerato inammissibile e che questa situazione doveva essere rilevata dal giudice di appello con la conseguenza di eguale inammissibilità del presente giudizio di cassazione.

2-1) Con la prima doglianza il Banco di Sicilia, invocando una asserita giurisprudenza conforme di questa Corte in tema di legittimazione passiva nei giudizi di opposizione disciplinati dal titolo quinto del terzo libro del codice di rito, sostiene che l’opposizione proposta dal Fichera doveva essere notificata a tutti i creditori che erano intervenuti nella procedura esecutiva; che l’opponente non aveva provveduto a tanto e che la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare tale omissione provvedendo a dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione per questo motivo. La doglianza è infondata. Infatti, la configurazione di una incondizionata situazione di litisconsorzio necessario, e quindi di inscindibilità della causa in fase di impugnazione, tra tutti i creditori che intervengono nel processo esecutivo non può essere condivisa e non è nella giurisprudenza di questa Corte. Questo viene chiarito indipendentemente dalla considerazione che il mancato rispetto del litisconsorzio necessario, quando non comporta la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., primo comma, nel giudizio di impugnazione non produce immediatamente la inammissibilità di questa, ma impone al giudice di provvedere preventivamente a dare le disposizioni previste dall’art. 331cod. proc. civ., primo comma, e che di fronte all’inattività del giudice dell’impugnazione in questo senso la cassazione deve limitarsi a rinviare le parti innanzi al giudice di merito che provvederà ad emettere il mancato ordine di integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione.

2-2) Ciò posto, il problema sollevato dal controricorrente richiede di precisare innanzitutto che la sentenza di primo grado ha distinto l’opposizione proposta dal Fichera in due parti, qualificando come opposizione agli atti esecutivi il motivo in essa contenuto relativo alla nullità del titolo esecutivo e come opposizione all’esecuzione quello relativo all’inesistenza del credito azionato. In relazione a questa situazione non è legittimo affermare, come mostra di fare il controricorrente, che la sfera dei soggetti legittimati passivamente nelle opposizioni disciplinate dal titolo quinto del libro terzo del codice di rito sia unica in tutte le forme di opposizione ivi prescritte. Piuttosto occorre distinguere il problema a seconda che si tratti di opposizione alla esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi.

2-3) Nell’opposizione all’esecuzione, secondo la lettera dell’art. 615 cod. proc. civ., legittimato passivo è “la parte istante”. Con riferimento specifico all’espropriazione forzata, parte istante è colui che ha chiesto il pignoramento, mentre gli altri creditori che sono intervenuti perché muniti di titolo esecutivo, lo diventano soltanto se abbiano provocato “singoli atti del procedimento” (come si esprimono gli artt. 526, 564 cod. proc. civ.) o si siano sostituiti al primo nell’iniziativa del proseguimento dell’azione esecutiva. Da ciò discende che, al di fuori delle situazioni indicate, nell’opposizione all’esecuzione non possono essere considerati litisconsorti necessari i creditori intervenuti, non figurando per essi una specifica previsione normativa, né potendosi ravvisare in questo caso una ipotesi di causa inscindibile: sent. 23 giugno, n. 3695 del 1984. Nell’opposizione agli atti esecutivi, invece, il diverso oggetto del giudizio comporta un allargamento dei soggetti passivamente legittimati e questi sono non soltanto la parte istante del processo esecutivo, ma tutti i soggetti interessati a resistere all’invalidazione del singolo atto contro il quale è mossa l’opposizione. Da ciò discende che nelle cause di opposizione agli atti esecutivi sono passivamente legittimati e litisconsorti necessari tutti i soggetti del processo esecutivo indicati dall’art. 485 cod. proc. civ. e così non solo il creditore precedente, ma anche i creditori intervenuti e gli altri interessati, nei confronti dei quali deve essere disposta l’integrazione del contraddittorio nella fase di impugnazione: sent. n. 4876 del 1989; n. 2060 del 1986.

3) Applicando i principi indicati ne discende che la Corte di Catania, in relazione all’opposizione all’esecuzione, non doveva rilevare affatto che questa non fosse stata notificata a tutti i creditori intervenuti nel processo esecutivo, perché il creditore opposto non aveva rilevato nella sede opportuna che vi fossero creditori intervenuti che avessero compiuto atti di impulso del processo esecutivo. Sotto questo profilo la doglianza del primo motivo del controricorso, come è stato già anticipato, non può essere condivisa per la parte in cui si riferisce ad una esigenza di integrazione del contraddittorio nella causa di opposizione all’esecuzione.

4) La stessa doglianza mossa con riferimento alla causa di opposizione agli atti esecutivi resta assorbita dall’esame del secondo motivo del controricorso. A questi fini giova riportarsi nuovamente alla distinzione operata dal giudice di primo grado tra opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, entrambe contenute secondo quel giudice nell’atto di opposizione. Rispetto a questa distinzione lo stesso giudice ha dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi perché proposta oltre il termine indicato dall’art. 617 cod. proc. civ. ed ha rigettato l’opposizione all’esecuzione. Il Fichera, senza dolersi specificamente di questa distinzione e delle conclusioni che da essa erano state ricavate dal Tribunale, ha impugnato la sentenza del Tribunale con il solo mezzo dell’appello. A sua volta la Corte di Catania con la sentenza non definitiva del 28 agosto 1981 ha confermato implicitamente la distinzione operata dal primo giudice, sia confermando nel corso della motivazione che l’opposizione con la quale il debitore aveva dedotto la nullità del titolo esecutivo per illegittima spedizione di questo in forma esecutiva è opposizione agli atti esecutivi, sia dichiarando nel dispositivo della sua decisione che il Fichera era “decaduto dal diritto di proporre opposizione agli atti esecutivi”. In relazione allo svolgimento del procedimento nella maniera indicata si diceva che il Banco di Sicilia ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione, come questa Corte può rilevare anche di ufficio sia pure sotto profili in parte diversi da quelli prospettati.

4-1) Occorre ricordare al riguardo che dalla disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 618 cod. proc. civ. si deve ricavare che la sentenza, che il giudice pronuncia sull’opposizione agli atti esecutivi è impugnabile soltanto con il rimedio del ricorso per cassazione ai sensi del secondo comma dell’art. 111 della Costituzione, oltre che con il regolamento di competenza specificamente consentito dall’art. 187 disp. att. cod. proc. civ. Da ciò discende che la Corte di Catania, applicando questa normativa, avrebbe dovuto ricavare la conclusione che l’impugnazione, mediante appello del capo della sentenza del Tribunale con il quale era stata qualificata come opposizione agli atti esecutivi la doglianza della nullità del titolo esecutivo, era inammissibile, perché l’unica impugnativa consentita avverso questo capo della sentenza era rappresentata dal ricorso per cassazione. La Corte, infatti, che era vincolata dalla qualificazione dell’opposizione operata dal giudice “a quo” ai fini della sola individuazione del mezzo di impugnazione prescelto (sent. n. 2466 del 1986), avrebbe dovuto cioè dichiarare non già che il Fichera era decaduto dal diritto di proporre opposizione agli atti esecutivi per avvenuta decorrenza del termine indicato dall’art. 617 cod. proc. civ., ma dichiarare l’appello inammissibile per quella parte dell’opposizione e questo avrebbe potuto fare vuoi con sentenza non definitiva, come è avvenuto, vuoi anche con sentenza definitiva.

4-2) Da ciò discende che l’errore in cui è incorsa, per questa parte, la sentenza impugnata può essere rilevato d’ufficio da questa Corte con la sola conseguenza, non individuata dal controricorrente se non con la memoria difensiva, che la sentenza stessa deve essere immediatamente cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., poiché il processo non poteva essere proseguito in grado di appello per la parte indicata. Questa conclusione assorbe l’esame dei motivi del ricorso svolti contro la sentenza non definitiva del 28 agosto 1981 e che si riferiscono alla nullità del titolo esecutivo.

5) Restano così da esaminare i motivi del ricorso principale svolti contro la sentenza definitiva del 18 aprile 1988 nella parte in cui essi non si risolvono in una ripetizione delle questioni relative alla nullità del titolo esecutivo. Queste doglianze, variamente articolate nel ricorso, si possono raggruppare fondamentalmente in due gruppi.

5-1) Con il primo gruppo il ricorrente lamenta falsa applicazione di legge e difetto di motivazione sul punto, svolto principalmente nella sentenza definitiva, che il creditore era munito di un titolo esecutivo sufficiente a correggere l’azione esecutiva. Egli sostiene in contrario che il giudice del merito non ha rilevato che nell’atto di precetto erano state chieste, tra l’altro, somme corrispondenti ad interessi moratori calcolati nell’importo del 10% del capitale e che invece questi non erano dovuti se non nella misura del 5%, come era stato accertato in sede di consulenza tecnica di ufficio. La doglianza è infondata. Invero il giudice di merito non aveva alcun obbligo di compiere questo accertamento poiché in sede di opposizione il Fichera non aveva contestato le singole voci del credito come erano state specificate nell’atto di precetto, ma si era limitato a dedurre in primo luogo che il titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione era nullo e, subordinatamente, che egli aveva “saldato” l’intero credito per il quale si procedeva. Bastava accertare in sede di merito l’esistenza di un credito in favore del creditore precedente, come appunto è stato fatto, e questo accertamento di fatto non può essere rinnovato in sede di legittimità se non per vizi logici, i quali non sussistono.

5-2) Con il secondo gruppo delle proprie doglianze, riguardanti in parte la sentenza non definitiva e totalmente quella definitiva, il ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 474 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. e difetto di motivazione in relazione all’affermazione specificamente contenuta nella sentenza definitiva che non formava oggetto del giudizio di opposizione l’accertamento dell’esatto ammontare del credito del Banco di Sicilia, essendo sufficiente avere accertato che questo esisteva ed era superiore all’importo dei versamenti complessivamente effettuati dal debitore. Il motivo si collega al più generale problema dell’opposizione all’esecuzione proposta sotto il profilo della eccessività della somma richiesta con l’atto di precetto rispetto a quella indicata nel titolo esecutivo. Sostanzialmente il debitore dichiara che l’intero credito del Banco di Sicilia era stato interamente “saldato” anche con gli interessi maturati sulle somme ricavate dalla vendita forzata e che a tal fine la sentenza impugnata avrebbe dovuto far dipendere la dichiarazione della legittimità dell’esecuzione dall’accertamento dell’ammontare del credito azionato ponendo l’onere della relativa dimostrazione sul Banco di Sicilia. Anche questa doglianza è infondata.

Quando l’opposizione all’esecuzione si concreta nella deduzione che le somme richieste con l’atto di precetto non trovano la loro corrispondenza nel titolo esecutivo, il giudice dell’opposizione non deve procedere alla determinazione dell’intero credito, ma limitarsi a verificare gli aspetti di questa non coincidenza attraverso le specifiche doglianze mosse dall’opponente. Il che vale a dire che il Fichera non può pretendere che sia il Banco di Sicilia a specificare tutte le voci del credito portate nel precetto (che in questo è sorretto dal titolo esecutivo), ma deve egli stesso indicare per quali voci dello stesso precetto tale corrispondenza con il titolo esecutivo non esiste. Ma, come si è visto esaminando le precedenti doglianze, il Fichera nel corso della fase di merito non si è fatto carico di questi oneri e non può certo recuperare gli effetti negativi di questo suo atteggiamento in questa sede di legittimità.

6) Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento dei motivi del ricorso incidentale. Le spese di questo grado del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e decidendo il ricorso principale, cassa senza rinvio la sentenza non definitiva del 28 agosto 1981; rigetta il ricorso avverso la sentenza definitiva del 18 aprile 1988, dichiarando assorbiti i motivi del ricorso incidentale. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 2 aprile 1990.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA L’8 MAGGIO 1991.