Svolgimento del processo

Augusto Amici, qual proprietario di un locale sito in Roma, Via Lombardia n. 7, affanciantesi, con una finestra, su un piccolo cortile comune (pozzo di luce) retrostante, sul quale si aprivano anche le finestre di due altri immobili rispettivamente di proprietà Cotta e Mazzatelli, assumendo che i predetti Cotta avevano sostituito la loro finestra con una porta che immetteva in un gabinetto da loro abusivamente costruito sull’area dello stesso cortile e che contemporaneamente avevano chiuso la finestra dell’esponente che prospettava sul cortile, sostituendola con una apertura posta più in alto e che non era se non una piccola fessura, conveniva avanti al tribunale di Roma i nominati Eugenio, Felice e Fulvio Cotta per sentirli condannare a demolire quanto da loro costruito sul cortile comune, nonché a ridurre allo stato pristino la finestra e a risarcirgli i danni, esposti in lire quindici milioni.

Resistevano i convenuti e il tribunale adito respingeva entrambe le domande dell’Amici.

La corte d’appello di Roma, decidendo sul gravame del soccombente Amici, osservava che fondamentali ai fini del decidere risultavano due atti e precisamente il rogito 25 giugno 1927 avente ad oggetto l’acquisto da parte di Cotta Felice di un locale con retrobottega munito di finestra (e non di porta) sul cortile dello stabile in Via Veneto 108 e il rogito 21 febbraio 1929 riguardante l’acquisto da parte di tale Fazi (dante causa dell’Amici) di un locale affacciantesi, con una piccola finestra, sul pozzo di luce fatto realizzare dalle sorelle Benucci, danti causa di Cotta.

Nell’atto di vendita dalle sorelle Benucci ai Cotta (atto del 1927) le venditrici si erano riservate il diritto di eventualmente elevare costruzioni sul retrostante cortile, in allora di notevoli dimensioni, precisando però che, qualora avessero esercitato questo diritto, avrebbero creato un pozzo di luce destinato a dare luce ed aria alla proprietà Cotta e alle altre proprietà affacciantesi sullo stesso. Da ciò desumeva la corte che, poiché nel 1929 il nuovo fabbricato era già costruito e come tale ostacolava il passaggio attraverso il cortile, i Cotta, anche qualora avessero trasformato la finestra in porta ed iniziato subito dopo il loro acquisto a passare lungo il cortile, non avrebbero potuto, per insufficienza di tempo, acquistare la servitù di passaggio.

Conseguentemente, avendo le proprietarie realizzato il pozzo di luce per l’imprescindibile necessità di dare luce e aria alle proprietà confinanti, con ciò stesso avevano posto in essere, sulla base dei principi generali del diritto, una comunione afferente ad un bene, comunione che come tale costituiva di per sé motivo ostativo allo acquisto del bene stesso per usucapione da parte di uno solo dei condomini, in mancanza di un atto di interversione del possesso nella specie mai avvenuto.

In definitiva, secondo la corte, non essendosi acquisita, in base agli atti esaminati, alcuna prova della proprietà esclusiva del cortile a favore dei Cotta e non potendo questa ritenersi acquistata per usucapione sulla base di alcune deposizioni testimoniali assunte, anche per contrasto con l’art. 2722 c.c., la prima domanda dell’Amici, cioé quella diretta alla demolizione della costruzione elevata dai Cotta sul cortile, andava accolta, in riforma, su questo capo, della sentenza appellata.

Era invece da respingere l’altra domanda dell’attore – appellante, di riduzione in pristino della sua apertura esistente verso il cortile, per il rilievo che, costituendo questa luce irregolare, i vicini avevano sempre il diritto di pretendere che fosse ridotta alle misure di legge.

Era anche da respingere la domanda di danni a seguito dei lavori eseguiti, per mancanza di qualsiasi prova dell’esistenza e dell’ammontare dei danni stessi.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i Cotta, formulando tre motivi di annullamento.

Resiste l’Amici, che propone anche ricorso incidentale con un unico motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo del ricorso principale si denuncia nullità del procedimento (art. 360 n. 4 e 112 c.p.c.) perché i ricorrenti Cotta avevano eccepito, in entrambi i gradi del merito, il difetto di legittimazione dell’Amici ad agire in difesa di un diritto di comproprietà (da intendersi sul cortiletto o pozzo di luce) che non aveva mai acquistato e la corte aveva omesso ogni esame dell’eccezione.

Il motivo è infondato.

Le legittimazione attiva e passiva, che opera esclusivamente nell’ambito della disciplina processuale, non va confusa con la titolarità attiva e passiva del rapporto dedotto in giudizio, che involge invece una questione di merito, atteso che mentre la legitimatio ad causam è condizione dell’azione come potere di ottenere dal giudice una qualsiasi pronuncia di merito, sia essa favorevole o contraria, l’effettiva titolarità del diritto azionato in testa a che agisce è condizione per l’accoglimento della domanda (sull’argomento, tra le più recenti, vedi sentenze n.ri 1689 e 6234 del 1977 di questa corte).

Nella specie non si verte in tema di legittimazione, bensì di merito in senso stretto, in quanto i consorti Cotta hanno contestato allo Amici di essere proprietario o comproprietario del cortiletto e conseguentemente il motivo, come proposto, è infondato e la doglianza si insolve sul piano della fondatezza delle domande, investita dai motivi susseguenti.

Col secondo motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione agli elementi di fatto su cui la decisione si fonda.

Sostanzialmente si afferma che la corte del merito, dopo aver rilevato che le sorelle Benucci, avendo realizzato il pozzo di luce a favore degli edifici contermini, avevano con ciò stesso posto in essere una comunione afferente ad un bene, del quale quindi uno solo dei compratori compossessori non poteva aver usucapito la proprietà esclusiva, aveva altresì esposto che nella vendita dell’immobile fatta dalle Benucci ai Cotta le venditrici non avevano manifestato alcune intenzione di vendere agli stessi anche lo spazio antistante la finestra posta sul retrobottega, né comunque di concedere alcunché, rispetto al pozzo di luce, se non la servitù tra le due affermazioni.

Il motivo è fondato.

La corte, dall’esame dell’atto di vendita Benucci-Cotta del 1927, ha tratto conclusioni contraddittorie.

Invero, esaminando quest’atto, la corte ha per un verso affermato che le Benucci, realizzando il pozzo di luce per l’imprescindibile necessità di dare luce ed aria alle proprietà previste come confinanti, hanno posto in essere “sulla base dei principi generali del diritto, una comunione” e dall’altro che le venditrici non avevano manifestato la volontà di concedere ai Cotta alcunché, se non la servitù di veduta. In sede poi di esame dell’appello incidentale dell’Amici è tornata ad affermare di avere accertato “la comproprietà del pozzo di luce sia dell’appellante che degli appellati”.

E’ necessario che tale contraddizione, attinente al punto essenziale dei diritti spettanti alle parti sul pozzo di luce, sia eliminata mediante una interpretazione che raggiunga conclusioni coerenti. E’ anche possibile che la spiegazione possa trovarsi mediante una indagine sullo sviluppo nel tempo dei rapporti tra venditrici e compratore nel senso che, concessa all’atto di vendita una semplice servitù sul cortile, fosse prevista dalle parti la trasformazione di tale diritto a seguito della ipotizzata elevazione di nuove costruzioni sul cortile stesso con la creazione di un pozzo di luce intermedio. Ed è ovvio che, traendo origine i diritti controversi da contratti (per questo aspetto),la questione si insolve sul piano della interpretazione della volontà delle parti, che dovrà fare il giudice di rinvio, e non con richiamo a non precisati “principi generali del diritto”.

Col terzo motivo infine si deduce nuovamente insufficienza di motivazione della sentenza impugnata.

Si rileva che la corte del merito aveva escluso che il passaggio dal retrobottega dei Cotta al retrostante pozzo di luce avesse potuto integrare gli elementi costitutivi del possesso richiesto per l’usucapione della proprietà esclusiva del fondo attraversato, trascurando di considerare, anzitutto, che a differenza dell’Amici i Cotta avevano sempre potuto accedere al pozzo di luce mediante la porta che, per le deposizioni testimoniali assunte e per la consulenza tecnica esperita, risultava esistente quanto meno dal 1939. Vi erano inoltre altri elementi di fatto, non esaminati dalla corte, (dichiarazioni rese alla società assicuratrice in occasione della stipula di una polizza furti; inserimento della porta nella planimetria redatta in occasione della introduzione del nuovo catasto edilizio urbano) idonei a dimostrare che i Cotta avevano sempre considerato il cortiletto (nel quale avevano costruito il piccolo edifico destinato a gabinetto) come cosa propria. Si aggiunge che la corte aveva ammesso il passaggio dei Cotta sul cortile, per cui, l’affermazione espressa in sentenza che lo esercizio del passaggio avrebbe al massimo consentito l’acquisto di una servitù di transito ma giammai del diritto di proprietà, era, quanto meno, insufficientemente motivata.

Anche questo motivo è fondato.

La corte, infatti, ritenuto il passaggio dei Cotta, ha escluso apoditticamente che questa situazione potesse portare all’acquisto della proprietà; così giudicato non si è adeguata al principio per il quale la distinzione tra possesso “uti dominus” e “quoad servitutem” è in funzione del comportamento concreto tenuto dal possessore, il quale, se accompagni al transito (per stare alla distinzione tra possesso della servitù di passaggio e possesso della proprietà) altri atti di utilizzazione della cosa può essere ritenuto possessore uti dominus.

Nella specie non si tratta di possesso iniziato come corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui che per trasformarsi in possesso utile ai fini dell’acquisto della proprietà necessita di un formale atto di interversione (art. 1164), ma si tratta di accertare le modalità in concreto dell’esercizio del possesso, tenendo conto non solo del fatto materiale del passaggio, ma degli altri atti di signoria sulla cosa denunciata dai ricorrenti.

Il giudice del merito, ancoratosi alla affermazione che l’esistenza di una porta poteva far presumere il transito sul cortile e, “al massimo”, il conseguente acquisto della servitù di passaggio, si è sottratto ad ogni ulteriore indagine (o almeno non ha dato atto di averla compiuta) e pertanto anche qui è necessario un nuovo esame da parte del giudice di rinvio per stabilire se in ipotesi, qualora non acquistata per titolo (come si assume con il motivo precedente) i consorti Cotta abbiano acquistato la proprietà (piena o limitata) dell’attuale pozzo di luce (o altro diritto minore) per effetto del possesso protrattasi per il tempo necessario per l’usucapione ordinaria (essendo stato invocato questo istituto).

Nel nuovo accertamento richiestogli il giudice di rinvio dovrà considerare tutti i comportamenti dei Cotta, risultanti dalle concrete emergenze processuali, valutandone la incidenza sull’ambito di estensione del possesso come modo di acquisto di diritti sul fondo, tenendo conto anche delle concrete possibilità di utilizzazione di questo, anche in relazione alla sua estremamente modesta estensione. E’ utile al riguardo sottolineare l’errore nel quale è caduta la corte romana quando ha affermato che i Cotta, per acquisire il possesso esclusivo ad usucapionem, avrebbero dovuto chiudere tutte le finestre dei proprietari affacciantesi sul cortile, ignorando in tal modo il principio sulla corrispondenza tra l’ambito del possesso e il diritto acquistato per usucapione e la possibilità quindi di acquistare la proprietà con limitazione oppure diritti minori rispetto alla proprietà esclusiva.

In questi limiti pertanto il ricorso principale va accolto. Anche il ricorso incidentale appare fondato. Si tratta della doglianza contro il capo della sentenza che ha respinto la domanda Amici di rimessione in pristino della sua finestra, che la corte del merito ha formulato in applicazione degli artt. 901 e segg. c.c. concernenti l’apertura di luci e finestre sul fondo altrui.

Per l’esattezza la corte non ha qualificato “finestra” l’apertura esistente nell’edificio Amici verso il pozzo di luce, ma “luce irregolare”. Comunque la ratio decidendi è stata ispirata dalle norme del codice che si occupano di luci e vedute aperte sul fondo vicino, cioé di un terzo, mentre, poiché la corte ha confermato anche in questo punto che il pozzo di luce è di comproprietà dell’Amici e ai Cotta (nonché agli altri proprietari di edifici affacciantesi sullo stesso) le norme applicabili non erano quelle indicate, bensì quelle che regolano il diritto del condominio di servirsi delle parti comuni senza altri obblighi che non quelli di rispettare la destinazione delle stesse, di non ledere diritti degli altri condomini e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (artt. 1102, 1139 c.c.). Consegue che il motivo va accolto, restando affidato al giudice di rinvio il compito di coordinare la decisione sulla domanda dell’Amici con la decisione sulla situazione giuridica del pozzo di luce, alla quale dovrà pervenire a seguito degli accertamenti richiestigli con l’accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso principale.

Lo stesso giudice provvederà sulle spese anche di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie per quanto di ragione il secondo e il terzo; accoglie il ricorso incidentale; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche per provvedere sulle spese di questo giudizio.
Roma, 20 maggio 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 FEBBRAIO 1986