Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 31.10.1978, Ricciuti Michele e Ricciuti Maria Luisa – premesso che il Comune di Potenza, per la costruzione di una scuola materna, aveva occupato in Potenza, al Rione Lucania, mq. 4.997 di suolo edificatorio di loro proprietà, dei quali era impossibile la retrocessione, convenivano il Comune innanzi al Tribunale di Potenza chiedendo che, espletata una consulenza tecnica al fine di verificare la esatta estensione dei terreni occupati ed il valore degli stessi, il Comune di Potenza venisse condannato al pagamento della somma dovuta.

Il C.T.U., con relazione depositata il 14.12.1979, accertava tra l’altro che l’opera pubblica era stata già realizzata.

All’udienza del 20.2.1980 il Comune produceva decreto definitivo di occupazione in data 17.1.1980.

Il Tribunale adiva, con sentenza 19.9.1980, dichiarava la propria incompetenza e rimetteva le parti davanti alla Corte di Appello si Potenza. Riteneva il Tribunale che la domanda, sorta originariamente come pretesa di risarcimento danni, si fosse automaticamente trasformata in opposizione alla stima, per essere intervenuto nel corso del giudizio di decreto di esproprio; riteneva, altresì, che l’opposizione – essendosi la procedura espropriativa iniziata dopo la entrata in vigore della legge n. 865 del 1971 – esulasse dalla competenza del Tribunale, dato che l’art. 19 della predetta legge, prevede la competenza funzionale ed inderogabile della Corte d’Appello.

Con comparsa notificata il 28.1.81, Ricciuti Michele e Maria Luisa riassumevano la causa dinanzi alla Corte di Appello di Potenza, chiedendo che venisse determinata la giusta indennità da corrispondersi per l’espropriazione del suolo in oggetto.

Con successiva autonoma citazione del 28.6.1982, Ricciuti Michele, Ricciuti Maria Luisa e Lovecchio Augusta ved. Ricciuti – premesso che dal Comune di Potenza, per l’espropriazione del mq. 6278, era stata notificata, in data 3.6.1982, la determinazione della indennità definitiva di espropriazione da parte dell’U.T.E. – proponevano opposizione alla stima e pertanto convenivano il Comune di Potenza, innanzi alla Corte di Appello di Potenza, chiedendo che venisse determinata la giusta indennità di espropriazione con condanna del Comune al pagamento della somma dovuta. Con ordinanza del 27.9.1983 veniva disposta la riunione delle due cause. Con ordinanza del 23.11.84, la Corte d’Appello, ritenutasi a sua volta incompetente per materia, richiedeva d’ufficio, ex art. 45 c.p.c., regolamento di competenza.

Motivi della decisione

La Corte d’Appello di Potenza ha affermato la propria incompetenza, determinando così il – conflitto negativo di competenza con il Tribunale della stessa città, perché ha ritenuto che l’esecuzione dell’opera pubblica abbia comportato la contestuale acquisizione, in capo al costruttore, della proprietà del terreno, sicché la pretesa fatta valere dagli attori non si era mai trasformata in opposizione alla stima, come ritenuto dal Tribunale, ma aveva mantenuto la sua natura risarcitoria. Ne ha dedotto, quindi, che non sussisteva la propria competenza per materia a norma dell’art. 19 della L. n. 865 del 1971, in quanto la competenza a trattare la causa, che aveva conservato natura risarcitoria, doveva essere determinata secondo i normali criteri di competenza per valore.

Come la stessa Corte d’appello ha rilevato, l’ambito del ricorso per regolamento di competenza, pur essendo stato questo promosso nei confronti delle cause riunite, concerne soltanto quella inizialmente proposta con la citazione innanzi al Tribunale di Potenza; non può infatti, mettersi in dubbio, che l’altra causa, introdotta con l’atto di citazione innanzi alla stessa Corte d’appello, rientrava nella competenza della stessa, ai sensi dell’art. 19 della L. n. 865 del 1971, in quanto gli attori con tale atto hanno formulato domanda di liquidazione della indennità di espropriazione e non di risarcimento del danno. D’altra parte – è appena il caso di rilevare – nei confronti di questa seconda causa il regolamento di competenza sarebbe inammissibile, perché manca una preventiva pronuncia di incompetenza da parte di altro organo giudiziario, pronuncia che è presupposto essenziale del regolamento d’ufficio di competenza.

Così determinato l’oggetto del regolamento di competenza in esame, questa Corte deve rilevare che la cognizione della causa introdotta con la domanda inizialmente proposta innanzi al Tribunale e riassunta innanzi alla Corte d’Appello, rientra nella competenza di questa. Infatti, ai fini della determinazione della competenza occorre individuare l’oggetto della domanda e l’indagine che questa Corte può effettuare a tal fine, trattandosi di errore in procedendo, mette in evidenza che gli attori, i quali avevano inizialmente chiesto, con lo atto introduttivo del giudizio, il risarcimento dei danni subiti, a seguito della sentenza del Tribunale di Potenza del 19 settembre 1980 – la quale ha affermato (- aderendo all’ordinamento giurisprudenziale dell’epoca) – che l’originaria domanda, essendo intervenuto nel corso del giudizio il decreto di espropriazione, si era trasformata in opposizione alla stima, – hanno poi in questo senso formulato la loro pretesa. Essi, infatti, nell’atto di riassunzione della causa innanzi alla Corte d’appello hanno chiesto la determinazione della giusta indennità di espropriazione e tale richiesta hanno ribadito sia nella memoria al collegio, sia nella citazione del 28 giugno 1982, con la quale, premesso di aver ricevuto da parte del Comune la notifica della determinazione della indennità definitiva di occupazione, hanno dichiarato di voler proporre opposizione alla stima ed hanno convenuto il Comune medesimo innanzi alla Corte d’appello. La domanda proposta è, pertanto, di liquidazione dell’indennità di espropriazione e non di risarcimento del danno.

La stessa Corte d’Appello, del resto, nella cui competenza, quale accertamento di fatto, rientra l’interpretazione della domanda non è pervenuta alla dichiarazione della propria incompetenza sulla base della domanda della parte interpretandola nel senso che essa, malgrado le espressioni letterali usate, dovesse intendersi quale domanda di risarcimento del danno; essa, al contrario, ha dato per pacifico che la domanda della parte fosse rivolta a conseguire la giusta indennità di espropriazione, ma ha applicato il principio di diritto, che, come si vedrà, non è pertinente nella fattispecie, secondo cui il decreto di espropriazione, quando sopravviene dopo la costruzione dell’opera pubblica è del tutto irrilevante. Questa Corte, quindi, non sussistendo una diversa qualificazione della domanda della parte ad opera del giudice di merito, non trova il limite di tale accertamento di fatto, limite che, peraltro, sussiste soltanto ove il giudice di merito abbia rispettato i principi giuridici che regolano tale interpretazione ed, in particolare, il divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa a quella espressamente e formalmente proposta e l’obbligo di non prescindere dalla effettiva esistenza di una manifestazione di volontà perché quando essa manchi del tutto, il giudice, che esamini d’ufficio una questione non proposta, incorre nel vizio di extrapetizione.

Il principio ricordato nell’ordinanza che ha sollevato il regolamento di competenza è stato enunciato da questa Corte con la sentenza n. 1464 del 1983; con esso si è affermato che nella ipotesi in cui la pubblica amministrazione (o un concessionario) abbia occupato un fondo di proprietà privata per la costruzione di un’opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali l’occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con l’irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell’opera pubblica, comporta la estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all’ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere, nei termini prescrizionali di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo, la condanna dell’ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva in quel momento, con la rivalutazione per l’eventuale diminuzione del prezzo di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione, con l’ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità, intervenuto successivamente a tale momento, deve considerarsi del tutto privo di rilevanza, sia ai fini dell’assetto proprietario, sia ai fini della responsabilità da illecito.

Risulta evidente dal richiamo del contenuto essenziale della predetta sentenza di questa Corte, poi seguita da molte altre, che l’accoglimento della pretesa di risarcimento del danno presuppone la domanda in tal senso dell’interessato, non essendo il danno stesso liquidabile d’ufficio.

L’art. 112 c.p.c. stabilisce, infatti, che il giudice deve pronunciare entro i limiti della domanda proposta; esso pone, quindi, un principio fondamentale dell’ordinamento processuale che impedisce al giudice di sostituire d’ufficio alla domanda proposta dalla parte altra da lui ritenuta più adeguata alla situazione di fatto; invero il potere dovere di interpretare il contenuto e le finalità della domanda giudiziale e, quindi, di dare all’azione una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella ritenuta dalle parti, incontra in ogni caso il limite del rispetto del petitum e della causa petenti, nonché quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed il divieto di sostituire un’azione diversa da quella espressamente e formalmente proposta.

Pertanto la competenza a conoscere della domanda di opposizione alla stima contenuta nel decreto di opposizione per pubblica utilità spetta alla Corte d’appello di Potenza.

Nessuna pronunzia deve essere adottata in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione; dichiara la competenza della Corte d’appello di Potenza. Nulla per le spese.
Così deciso nella camera di consiglio della I sezione civile della Corte di Cassazione il 24 settembre 1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 31 GENNAIO 1986