Svolgimento del processo

Con citazione 13 maggio 1980 Giovanni e Gaetano Borella convenivano in giudizio davanti alla Corte di Appello di Catania l’Amministrazione della Cassa per le Opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno: CASMEZ) e l’Amministrazione Provinciale; e premesso che, con decreto del Prefetto di Catania 30 ottobre 1975 n. 4388, detta amministrazione era stata autorizzata ad occupare temporaneamente (fra lo altro) un terreno di loro proprietà, nella zona industriale del Comune di Misterbianco, dell’estensione di mq. 8000 lementavano la inadeguatezza della stima posta a fondamento del decreto di espropriazione, comportante l’indennità di L. 144.000, di cui L. 52.000 per l’occupazione, mentre si sarebbe dovuto fare applicazione dei criteri dettati dagli artt. 39 e 40 della l. n. 2359 del 1865.

Gli attori proponevano, pertanto, opposizione alla stima, per ottenere adeguate indennità, con rivalutazione delle somme a titolo di danno sulla base degli indici ISTAT.

Le convenute eccepivano preliminarmente la incompetenza per materia della Corte adita in quanto l’espropriazione non era stata effettuata a norma della L. n. 865 del 1971, bensì in base alla L. 25 giugno 1865 n. 2359, la CASMEZ affermvava, inoltre, di essere estranea alla lite,e chiedeva di essere estromessa dal giudizio.

La Corte d’Appello, riconosciuta la litispendenza rispetto alla stessa opposizione proposta davanti al Tribunale, e ritenuta la prevenzione della causa pendente davanti ad essa, dichiarava la propria competenza a conoscere della opposizione alla stima; rigettava la domanda proposta contro la CASMEZ e, pronunciando non definitivamente sulla parallela domanda contro l’Amministrazione Provinciale di Catania, dichiarava che l’indennità di espropriazione e quella di occupazione temporanea di urgenza dovevano essere determinate, salvo conguaglio, con i criteri stabiliti dalla legge 29 luglio 1980 n. 385. Con separata ordinanza provvedeva alla prosecuzione della causa per il concreto compito dell’indennità con i criteri stabiliti dalla suddetta legge.

Alla prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza, fissata con ordinanza per il giorno 29 marzo 1982, sia il difensore degli attori che quello della Amministrazione Provinciale inserivano nel verbale riserva di gravame.

Specificamente nel suddetto verbale si legge: “E’ altresì presente in sostituzione dello avv. G. Tafuri, l’avvocato Nino Monaco il quale fa riserva di gravame avverso la sentenza non definitiva”.

Nonostante tale riserva i Borella, con atto notificato il 15 novembre 1982, hanno presentato ricorso per cassazione articolato su due mezzi.

Con il primo di essi, lamentando violazione e falsa applicazione dei principi relativi alla delegazione amministrativa intersoggettiva, e degli artt. 9, 16, 30, 32, 33 del d.p.r. 30 giugno 1967 n. 1523 nonché 13, 20, 136, 137 e 138 del d.p.r. 6 marzo 1978 n. 218, si lamenta che erroneamente sia stata accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Cassa per il Mezzogiorno.

Con il secondo mezzo (denunciando violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 115 c.p.c., all’art. 2700 e 2730 c.c. ed all’art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione degli artt. 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ., 136 della Costituzione della Repubblica Italiana, della sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio 1980 n. 5, violazione dell’art. 39 e 72 della legge fondamentale sulle espropriazioni 25 giugno 1865 n. 2359; falsa applicazione della L. 29 luglio 1980 n. 385 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) i ricorrenti sostanzialmente assumono che la Corte di Appello, nel dichiarare che le indennità di espropriazione dovevano essere determinate con criteri della legge 385 del 29 luglio 1980, ha errato perché non ha tenuto conto che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980, per determinare le indennità di espropriazione doveva applicarsi il prezzo di mercato stabilito dagli artt. 39 e 40 della legge fondamentale sulla espropriazione per pubblica utilità (n. 2359 del 1865).

Con il proprio ricorso incidentale, subordinato al mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, l’Amministrazione Provinciale si duole che sia stata estromessa dal giudizio la CASMEZ con motivazione non appagante (motivo I) e deduce la violazione e falsa applicazione dei principi che regolano la delegazione amministrativa intersoggettiva (motivo II).

La CASMEZ non ha svolto attività difensiva.

Ad illustrazione dei motivi di ricorso, e per confutare l’eccezione di inammissibilità, i Borella hanno presentato tempestiva memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale e quello incidentale, essendo diretti contro la medesima sentenza, vanno riuniti sotto il numero di ruolo più antico, per essere decisi in unico contesto processuale, ai sensi degli art. 335 cod. proc. civ.

2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per manifesta violazione dell’art. 361 cod. proc. civ.

Tale norma stabilisce che contro le sentenze previste dall’art. 278 e dall’art. 279 comma 2 n. 4 c.p.c. il ricorso per cassazione può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserve, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, ed in ogni caso non oltre la prima udienza davanti all’istruttore successiva alla comunicazione della sentenza stessa (comma 1°).

Una volta fatta la riserva il ricorso deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio, ovvero a quello proposto dalla stessa, o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisce il giudizio (comma 3°).

La riserva non può farsi, o se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcuna delle altre parti sia proposto immediatamente ricorso (comma 2).

3. L’esame della dedotta eccezione comporta che si debba accertare;

a) se la sentenza impugnata rientra nel novero di quelle non definitive, contemplate al n. 4 dell’art. 209;

b) se la riserva vi si stata e risulti suscettibile di produrre i suoi effetti legali, tenendo presente che la genericità della formulazione di essa da parte del sostituto del procuratore degli attori Borella;

c) se, nonostante l’operata riserva anche da parte sua, in una situazione siffatta l’amministrazione provinciale di Catania, sia legittimata al ricorso incidentale condizionato.

La risposta positiva agli enucleati quesiti porta a riconoscere la inammissibilità del ricorso principale, e l’ammissibilità di quello incidentale che, resta, peraltro, assorbito in regime della subordinazione al mancato accoglimento della eccezione di inammissibilità del ricorso principale.

La riserva di impugnazione differita impedisce pro tempore l’esercizio del potere di impugnazione immediata della sentenza, sicché il gravame presentato prescindendo dalla effettuata riserva deve essere dichiarato inammissibile, perché intempestivo. Ma tale declaratoria di inammissibilità non consuma il diritto potestativo di impugnazione, sicché dopo la pronuncia della sentenza definitiva non è preclusa alla parte di attaccare non solo la sentenza definitiva, ma anche quella non definitiva, il cui passaggio in giudicato resta impedito dalla ritualità della riserva (Cass. 6034-84, 1676-83).

4. La sentenza in esame rientra de plano fra quelle contemplate dall’art. 279 n. 4 cod. proc. civ. denominate “non definitive” (o parziali), in quanto non conclude la controversia nella sua interezza, ma rappresenta un momento dell’iter processuale davanti al giudice adito che, riconosciuta la sussistenza di una ipotesi di litispendenza, è ritenuto investito della causa per effetto del principio della prevenzione, dichiarando la propria competenza a conoscere della domanda di opposizione alla stima nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Catania e “non definitivamente pronunciando su di essa, “ha stabilito i criterio determinativo della indennità di espropriazione, riservando al prosieguo la concreta quantificazione e provvedendo con separata ordinanza alla istruttoria relativa a tale quantificazione.

Esiste, quindi, un evidente parallelismo con la situazione tipica di emanazione di sentenze parziali che caratterizza i processi risarcitori nei quali la fase dell’an resta separata dalla fase di determinazione del quantum. La Corte ha enunciato il principio di diritto applicabile per la risoluzione della controversia, accordandosi a definirla una volta che di tale principio fosse stata fatta concreta applicazione.

La difesa dei Borella, per contrastare la eccezione di inammissibilità, oppone che la sentenza impugnata non rientra fra quelle previste dall’art. 279 n. 4 c.p.c., dovendosi annoverare fra quelle previste dall’art. 279 n. 5 c.p.c. e si diffonde a dimostrare la inapplicabilità dell’art. 361 alle ipotesi complementari dal suddetto n. 5. Indubbiamente la conclusione che dall’ipotizzato inquadramento si pretende di trarre è giuridicamente corretta.

Tuttavia il presupposto fattuale dell’inquadramento non sussiste, pretendendosi, con evidente forzatura, di ravvisare la sussistenza di un litisconsorzio facoltativo e la scissione ope iudicis del litisconsorzio medesimo laddove la domanda azionata era unica e si indirizzava alla Provincia ed alla CASMEZ per ottenere “in solido” la condanna alla maggiore indennità di espropriazione pretesa.

La Corte d’Appello ha negato la sussistenza della postulata solidarietà, rigettando conseguentemente la domanda nei confronti della Cassa del Mezzogiorno e riconoscendo il diritto degli attori a conseguire la giusta indennità dalla Provincia alla stregua dei criteri stabiliti dalla legge n. 385 del 1980, differendo al prosieguo la concreta liquidazione alla stregua del suddetto criterio.

Stante la linearità della riassunta situazione processuale non può essere condivisa l’escogitazione difensiva di inquadramento della fattispecie nel modello legale dell’art. 279 n. c.p.c.; riguardante la facoltà di separazione delle cause con scissione del litisconsorzio con decisione di una, o taluna di esse.

Nel caso di specie non è stata operata alcuna separazione giacché non ricorreva ipotesi di congiunta proposizione di causa, ma era stata introdotta una sola causa, indicando quali destinatari della pretesa due soggetti in solido; ed il giudice adito si è limitato ad escludere che della chiesta maggiorazione indennitaria dovesse rispondere uno dei convenuti.

Gli stessi ricorrenti riconoscono che alla stregua dell’inquadramento della fattispecie nello schema dell’art. 279 n. 4 c.p.c. il ricorso immediato, stante la riserva di gravame, risulterebbe inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel riconoscere che la sentenza con la quale nel corso di un giudizio con pluralità di parti una di esse venga estromessa dal processo, che continua fra le altre, assume carattere definitivo in relazione al contenuto obiettivo di tale situazione e che perciò l’eventuale riserva di gravame al riguardo formulata è senza effetto e non dispensa il soccombente all’onere di proporre impugnazione immediata, per impedire il passaggio in giudicato della pronuncia (Cass. 3048-84, 3110-83, 6591-81). Ma nel caso di specie, non si verteva in ipotesi di estromissione di una parte del giudizio, ma di pronuncia di merito di rigetto della domanda proposta in solido contro due soggetti riferita ad uno solo di essi, sicché il processo non si veniva a scindere ex parte subiecti, ma trovava il suo ubi consistam nella decisione sulla legittimazione passiva immediata e in questa prospettiva nella prosecuzione condizionata da tale presupposto, suscettibile di essere rimesso in discussione, per effetto della riserva, solo all’esito definitivo della lite comportante l’identificazione del soggetto obbligato a corrispondere l’indennità di espropriazione e la quantificazione della indennità medesima. Del resto, anche a volere conseguire concessivamente la logica della imposizione difensiva degli attori, in nessun caso avrebbe trovato giustificazione l’impugnazione immediata riferita alla scelta del criterio liquidatore da applicare ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto secondo i giudici catanesi da uno solo convenuti, quali pretesi debitori in solido. Lo stesso discorso sulla economia processuale, quindi, a parte l’obiezione che l’invocato principio in tanto opera in quanto non collida con altre regole inderogabili del processo, non sembra utilmente invocabile in quanto vi è perfetta autonomia fra il profilo della legittimazione e quello della quantificazione dell’indennità la cui misura resta insensibile alla circostanza che sia chiamato a risponderne uno o altro soggetto, ovvero entrambi i soggetti in solido. Finché l’indennità non sia quantificata l’espropriato non può azionare “in executivis” la pretesa; e solo allora si cristallizza l’interesse ad individuare l’obbligato (o gli obbligati) dovendosi la relativa indagine svolgersi sul piano dello stretto diritto, a prescindere da adempimenti istruttori e da prove precostituende.

In conclusione l’intera vicenda processuale ricade sotto l’art. 279 n. 4 c.p.c. e non è riconducibile nell’ambito del successivo n. 5 con l’effetto di rendere inammissibile il presente ricorso, restando affidata la tutela giurisdizionale ex art. 361 c.p.c., anche per quanto attiene ai profili della legittimazione, all’esito del giudizio di appello proseguito per la quantificazione dell’indennità alla stregua di criteri che non sono sembrati accettabili agli espropriati.

5. Nel caso di specie alla prima udienza il “sostituto” del procuratore costituito degli attori ha inserito a verbale riserva “generica” di gravame.

Si pongono al riguardo due problemi: quello della adeguatezza della riserva, in quanto generica e quello della legittimazione a formularla del sostituto.

La genericità non costituisce ostacolo. In proposito la giurisprudenza di questa Corte è univoca nel senso che la riserva di impugnazione va intesa, sebbene formulata in termini generici, come riserva di impugnazione differita, ai sensi ed agli effetti degli artt. 340 e 361 c.p.c., in considerazione della non configurabilità, e comunque della superfluità, di una riserva in ordine all’esercizio dell’impugnazione immediata (Cass. S.U. 2247-83). E nemmeno la circostanza che la riserva sia stata avanzata dal sostituto del procuratore non munito di delega scritta comporta un vizio tale da privare di effetti l’atto.

La riserva di impugnazione differita avverso sentenza non definitiva rientra fra gli atti processuali per il cui compimento il procuratore costituito della parte può farsi sostituire da altro procuratore iscritto nell’albo del distretto in cui ha sede il giudice adito; perché la sostituzione sia valida occorre che il mandato risulti da atto scritto. Se un atto scritto manchi, tuttavia, non ne consegue una nullità insanabile; ed il vizio resta sanato se non venga eccepito nella prima difesa od istanza successiva in sede di prosecuzione del processo davanti al giudice che ha reso la pronuncia non definitiva (Cass. 2208-84).

La riserva formulata dal sostituto privo di mandato scritto nel caso in esame è da ritenersi rituale per non essere stato tempestivamente eccepito il vizio che la inficiava. Ne consegue che avendo la parte rinunciato alla impugnazione immediata della sentenza non definitiva, il ricorso per cassazione immediato deve essere dichiarato inammissibile, restando la potestà di impugnazione differita al momento della emanazione della sentenza definitiva per essere eventualmente proposta unitamente a quella riguardante tale sentenza definitiva (cfr. Cass. 918-79, 4817-78, 3514-77).

6. Anche la difesa dell’amministrazione provinciale di Catania ha presentato riserva di ricorso differito. Ma tale riserva, ai sensi dell’art. 361 comma 3 c.p.c., deve ritenersi priva di effetto (Cass. 5313-83).

Il ricorso incidentale dell’Amministrazione Provinciale di catania risulta, quindi, ammissibile, ma essendo subordinato al mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso principale resta assorbito della presente pronuncia che tale inammissibilità ratifica.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione
1. riunisce i ricorsi iscritti ai nn. di ruolo 8756 e 9536 del 1982 sotto il numero di ruolo più antico;
2. dichiara inammissibile il ricorso n. 8756-82 proposto da Giovanni e Gaetano Borella nei confronti della Amministrazione Provinciale di Catania; 3. dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato dell’Amministrazione;
4. condanna i Borella a rifondere alla suddetta amministrazione le spese del presente giudizio che liquida in complessive L. 1.570.000, di cui L. 1.500.000 per onorari di difesa.
Così deciso in Roma il 23 settembre 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 FEBBRAIO 1986