Svolgimento del processo

Il 13.1.1972 Nelva Natalino denunciava all’INAIL di avere contratto malattia professionale (sordità da rumore) nell’espletamento delle mansioni di operaio tessitore addetto ai telai nel periodo dal 1934 al 1968 L’INAIL respingeva la domanda per essere stata presentata oltre il termine massimo di indennizzabilità. Il 2.1.1978 il ricorrente chiedeva il riesame, ma l’INAIL respingeva anche questa richiesta, in quanto alla data di entrata in vigore della “legge 9.10.1975” (sic) ma forse si tratta del D.P.R. 9.6.1975 n. 482) erano trascorsi quattro anni dalla cessazione dell’attività lavorativa.

Anche un ulteriore richiesta ex art. 104 del T.U. n. 1124 del 1965 aveva esito negativo.

Con ricorso 22.3.1979 il Nelva chiedeva al pretore di Biella che l’INAIL fosse condannato a corrispondergli la rendita per malattia professionale, pari al danno da accertarsi in corso di causa, dal 2.1.1978.

Si costituiva l’INAIL eccependo la prescrizione dell’azione, l’inapplicabilita ‘ dell’art. 8 della legge n. 533 del 1973 al termine massimo di indennizzabilità, l’inammissibilità della domanda in data 2.1.1978 essendosi la malattia già manifestata il 31.1.1972.

Disposta C.T.U. il pretore accoglieva la domanda ritenendo che la malattia fosse intervenuta entro i due anni di indennizzabilità e che l’azione non fosse prescritta in quanto la domanda del 2.1.1978 doveva considerarsi solo come una domanda di riesame e non una nuova domanda, con conseguente sospensione del termine di prescrizione del 13.1.1972 alla definizione del procedimento amministrativo.

Contro questa sentenza interponeva appello l’INAIL. Il Tribunale accoglieva il gravame e respingeva la domanda ritenendo tra l’altro: il diritto ad ottenere la prestazione dall’INAIL sorge in presenza di tre condizioni a) esposizione al rischio in una delle lavorazioni di cui alla tabella all. n. 4 del T.U. n. 2124 del 1965, b) manifestazione della malattia nel termine massimo fissato per ogni tecnopatia c) trattarsi di una delle tecnopatie tabellate.

L’art. 135 del T.U. n. 1124 fa coincidere il momento della manifestazione della malattia con quello della presentazione della denuncia, con una presunzione che è iuris et de iure, non superabile con prova contraria. D’altra parte, trascorso il termine di indennizzabilità, la malattia non è più riconducibile alla attività lavorativa; questa può considerarsi il limite temporale entro il quale in vita il rapporto assicurativo. Si doveva escludere che il termine massimo di indennizzabilità potesse qualificarsi come termine di decadenza o di prescrizione o di carattere puramente amministrativo e fosse stato abrogato dall’art. 8 della legge n. 553 del 1973.

Contro questa sentenza propone ricorso il Nelva per cinque motivi; ha presentato controricorso l’INAIL. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 3 del D.P.R. 306.1965 n. 1124 (art. 360 n. 3 cpc) in quanto la manifestazione della malattia nel periodo massimo di indennizzabilità non è un requisito richiesto dalla legge perché sorga il diritto del lavoratore.

Con il secondo mezzo si censura la sentenza per violazione dell’art. 8 della L. 11.8.1973 n. 53 (art. 360 n. 3 cpc) in quanto i periodi di indennizzabilità se non sono termini di decadenza, sono termini amministrativi che rientrano nella più ampia nozione di preclusione in cui al cit.art. 8; la ratio della norma è quella di costringere gli istituti a decidere nel merito.

Con il terzo motivo si rileva la violazione dell’art. 2934 secondo comma c. e (art. 360 n. 3 cpc) in quanto il principio affermato dalla giurisprudenza della imprescrittibilità della rendita di inabilità, deve valere non solo se il diritto alla rendita è stato accertato, ma anche se sia in corso di accertamento.

Con il quarto mezzo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 52, 134, 155 del DPR 30.6.1965 n. 1124, in relazione agli artt. 2727 e 2728 primo comma c.c. (art. 360 n. 3 cpc) per aver confuso la manifestazione “convenzionale” della malattia con quella reale; la sola conseguenza è in relazionwe alla decorrenza dei ratei della rendita, ma non incide sul diritto alla rendita stessa; si tratta di una presunzione iuris tantum che nel caso specifico era stata superata dagli accertamenti del C.T.U.

Con il quinto ed ultimo mezzo, si afferma la violazione dell’art. 112 del DPR 30.6.1965 n. 1124 in relazione all’art. 8 della legge 11.8.1973 n. 533 (art. 360 n. 3 cpc) non trattandosi di prescrizione del diritto, ma di prescrizione dell’azione ciò comporta la prescrizione del diritto agli arretrati prescritti, ma non del diritto alla rendita. Nel caso in esame la prescrizione non era decorsa in quanto il termine non può iniziare a decorrere se non dopo la conclusione dell’iter amministrativo; ma a tal fine doveva tenersi conto che il 2.1.1978 era stato richiesto il riesame della questione, e, come ritenuto dal pretore, tale atto doveva ritenersi ricorso ex art. 104 del T.U. n. 1124 del 1965, talché il diritto, né l’azione erano prescritti.

Per quanto attiene al primo motivo questo Collegio ha ripetutamente affermato che il termine indicato per ciascuna malattia professionale nella tabella all. n. 4 al D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 come modificato dal D.P.R. n. 482 del 1975; ed entro quale deve verificarsi lo evento indennizzabile, costituisce non un termine di prescrizione previsto dall’art. 112 dello stesso DPR, bensì un elemento che attiene all’esistenza del diritto all’indennizzo correlato, nel quadro del sistema tabellare, ad una presunzione iuris et de iure della sussistenza di un nesso causale tra la lavorazione morbigena e la malattia verificatasi nel periodo stabilito (Cass. sent. n. 439-84). Il termine previsto dagli artt. 134 e 135 del D.P.R. n. 1124 è un termine di indennizzabilità del tutto avulso dal comportamento dell’assicurato ed obbiettivamente stabilito, in base a criteri statistici e clinici, per delimitare l’ambito delle malattie indennizzabili. La previsione di tale termine è coerente con il sistema tabellare che è stato ritenuto legittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 1974 e n. 140 del 1981 e non contrastante con il disposto dell’art. 38 della Costituzione, il quale pur prevedendo il diritto del cittadino all’assistenza sociale, non impedisce al legislatore ordinario di porre limiti e condizioni – che non siano irrazionali o discriminanti

– per il conseguimento di tali diritti. Né i motivi per i quali la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimo l’art. 112 del T.U. sono tali da giustificare fondatamente un dubbio di costituzionalità in relazione a queste norme.

Né, con riguardo al secondo mezzo, può invocarsi l’applicazione dell’art. 8 della legge 11 agosto 1973 n. 533, il quale sancisce l’irrilevanza dei vizi delle preclusioni e delle decadenze verificatesi nelle procedure amministrative riguardanti le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie; si tratta di norma processuale, come ripetutamente affermato da questa Suprema Corte, che non è applicabile nemmeno alle decadenze comminate per l’inosservanza dei termini per la presentazione della domanda iniziale agli istituti ed enti previdenziali, proprio perché si è ritenuto che queste attenessero all’aspetto sostanziale del diritto e non al procedimento. Ciò vale a maggior ragione per il termine anzidetto che, si è visto, attiene ad un elemento indispensabile per integrare l’esistenza stessa del diritto, dato che, nel sistema tabellare il legislatore ha adottato il criterio della presunzione iuris et de iure della sussistenza di nesso causale tra lavorazione morbigena e tecnopatia manifestatasi in quel periodo (Cass. sent. n. 3413-82).

Il terzo motivo è assorbito, in quanto muove dalla premessa erronea – per quanto detto – che si tratti di termine di prescrizione.

Per quanto riguarda al quarto mezzo, questo introduce una differenza tra malattia “convenzionale” e malattia “reale” che non si rinviene nel sistema normativo; in questo, al contrario la malattia è valutata unitariamente ed il legislatore ha delimitato il concetto stesso di malattia professionale a seconda della manifestazione entro un determinato periodo di tempo o meno, rispetto allo svolgimento dell’attività comportante il rischio assicurato.

Né può darsi dimostrazione che una tecnopatia insorta nel tempo stabilito dal T.U. abbia eziopatogenesi diversa dalla lavorazione tabellata, né, in modo corrispondente può dimostarsi la natura di tecnopatia della malattia insorta oltre i limiti di tempo stabiliti; d’altra parte, e ciò rileva ai fini della ragionevolezza, si tratta di termini sufficientemente ampi, che la scienza della medicina del lavoro ha ripetutamente valutato come congruamente commisurata alle diverse fattispecie.

Per quanto concerne l’ultimo mezzo, si deve riaffermare che così come la data della insorgenza della malattia corrisponde alla data dell’assenza dal lavoro per quella determinata causa o alla presentazione di certificazione medica, nello stesso modo, qualora l’Istituto non provveda entro i termini stabiliti dal T.U. sulla domanda dell’assicurato, questo può adire l’autorità giudiziaria.

Talché, in ordine a questo mezzo, si deve rilevare come, oltre a non potersi ritenere trattarsi di prescrizione dell’azione dell’assicurato, la domanda di riesame fatta in data 2.1.1978, in nessun caso poteva essere considerata come tempestiva, essendo stata proposta a circa dieci anni dalla cessazione della attività lavorativa ed oltre sei anni dopo la presentazione della prima domanda respinta dall’INAIL, proprio per essere stato presentato oltre il termine massimo di indennizzabilità. Tanto meno evidentemente, la domanda del 1978 era suscettibile di riammettere in termini l’assicurato, cioé di rendere tempestiva la prima domanda che – come detto – si e ritenuta presentata oltre il termine massimo di indennizzabilità.

Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso; non vi è luogo a pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 152 cod. proc. civ.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione il 29.4.1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 GENNAIO 1986