Svolgimento del processo

Il 7 marzo 1972 furono appaltati dal Ministero dei lavori pubblici all’impresa I.CO.RI. (Impresa Costruzioni e Ricostruzioni), i lavori di urbanizzazione primaria dal nuovo centro di Salaparuta.

Il 6 giugno 1979, rilasciato il certificato di collaudo, fu liquidato il credito residuo dell’impresa in lire 44.892.446. Il titoli di pagamento fu emesso il 15 aprile 1980.

Il 25 ottobre 1982, deducendo il ritardo nel pagamento di alcune delle rate di acconto e di quella di saldo rispetto ai tempi previsti dal capitolato generale di appalto approvato con dPR 16 luglio 1962 n. 1063, l’impresa chiese ingiunzione per lire 60.231.893 a titolo di coacervo degli interessi maturati sulle rate anzidette con gli interessi sul relativo importo al tasso bancario dal 4 settembre 1981, data della richiesta all’amministrazione dei lavori pubblici.

Avverso il decreto 10 novembre 1982 del Presidente del Tribunale di Palermo per la somma suindicata con gli interessi al tasso legale propose opposizione il Ministero dei lavori pubblici, deducendo l’improponibilità e l’infondatezza della domanda. L’impresa chiese a sua volta che sull’importo dovutole gli interessi fossero ragguagliati al tasso bancario.

Con sentenza del 12 novembre 1984, il Tribunale di Palermo, revocato il decreto ingiuntivo, condannò il Ministero a corrispondere all’impresa I.CO.RI. la somma di lire 54.714.899 con gli interessi legali dal 4 settembre 1981. Sulla domanda dell’impresa che gli interessi sul quantum anzidetto fossero liquidati al tasso bancario, il Tribunale osservò che la pretesa non poteva essere accolta ostandovi l’art. 35 del Capitolato generale secondo cui, gli interessi da ritardo sono comprensivi del risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c..

Su gravame di entrambe le parti, la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza in questa sede impugnata, in parziale riforma della decisione di primo grado, liquidato l’importo degli interessi da ritardo dovuti dall’Amministrazione all’impresa in lire 29.878.135, ritenne che gli interessi anatocistici su tale somma somma fossero dovuti, con decorrenza dalla domanda giudiziale (25 ottobre 1982), secondo il tasso bancario, non essendo applicabile per essi l’art. 35 del Capitolato generale, ma la disciplina desumibile dagli artt. 1224 e 1283 c.c..

Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso principale il Ministero dei lavori pubblici; ha resistito con controricorso la s.p.a. I.CO.RI. che ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato, perché proposti contro la stessa sentenza, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.).

2. Con l’unico motivo del ricorso principale, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1283 c.c. con riferimento agli artt. 35 e 36 del dPR 16 luglio 1962 n. 1063 di approvazione del capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, il ricorrente si duole che la Corte d’appello, in accoglimento dell’appello incidentale dell’impresa, abbia ritenuti dovuti sull’importo degli interessi da ritardo liquidati in lire 29.878.135 gli interessi (anatocistici) al tasso bancario.

Si assume che la decisione è sul punto criticabile sotto un duplice profilo: a) per ultrapetizione; b) per violazione della disciplina contenuta nell’art. 75 del capitolato generale d’appalto e della data di decorrenza degli interessi anatocistici.

3. Occorre anzitutto rilevare che la Corte d’appello, decidendo sull’appello incidentale della impresa che invocava gli interessi anatocistici al tasso bancario sulle somme liquidate, si è limitata ad accogliere parzialmente il gravame, modificando altresì in pejus per l’appellante incidentale la data di decorrenza di tali interessi già fissata dal primo giudice, onde non sussiste la dedotta extrapetizione in cui il giudice di secondo grado sarebbe incorso.

4. Per quanto concerne il saggio degli interessi anatocistici la questione viene esaminata per la prima volta dalla Corte di Cassazione; essa è prospettata nel presente giudizio con riferimento all’art. 35 del Capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con dPR 16 luglio 1962 n. 1063 (nel testo risultante prima delle modifiche apportate dall’art. 4 della l. 10 dicembre 1981 n. 741, inapplicabile ratione temporis al presente giudizio), il quale, dopo di aver previsto le ipotesi in cui spettano all’appaltatore per il ritardo nel pagamento degli acconti gli interessi di mora pari all’interesse praticato dagli istituti di credito di diritto pubblico o dalle banche di interesse nazionale in applicazione di disposizioni o accordi disciplinanti il mercato nazionale del danaro a norma del r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, e successive modificazioni, nel comma terzo statuisce: “Tutti gli interessi da ritardo sono interessi di mora comprensivi del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1224 2° comma cod. civile”.

Questa Corte, nel procedere alla interpretazione della normativa anzidetta, ha già avuto occasione di precisare che essa contiene una specifica disciplina attinente sia alla decorrenza degli interessi di mora che prescindono da una apposita richiesta o intimazione da parte dell’appaltatore ex art. 1219 c.c. sia alla “tipizzazione” del danno risarcibile ex art. 1224 comma 2 c.c. nel senso che l’art. 35 sostituisce ad una tipizzazione del giudice una tipizzazione normativa da valere per tutte le fattispecie prese in considerazione dalla norma.

In aderenza alla letterale formulazione del precetto normativo si è pertanto concluso nel senso che, nel sistema degli appalti di opere pubbliche, gli interessi di mora previsti dall’art. 35 sono comprensivi anche del risarcimento del maggior danno subito dall’appaltatore e della rivalutazione monetaria (sent. n. 4088-88).

5. Nel presente giudizio l’interpretazione dell’art. 1283 c.c. viene in rilievo con riferimento agli interessi moratori scaduti in favore dell’impresa appaltatrice ex art. 35 cit..

Come si è rilevato in dottrina, l’art. 1283, nel disciplinare l’anatocismo ha previsto una norma di favore per il debitore, statuendo in quali casi e con quali presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri interessi.

In mancanza di una disciplina specifica, infatti, gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro sarebbero stati in ogni caso produttivi automaticamente di interessi di pieno diritto ai sensi dell’art. 1282 c.c.. La disciplina dell’art. 1283, d’altro canto, ha inciso sulla stessa natura degli interessi anatocistici: essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi e quindi anche per gli interessi moratori (sent. n. 3500-86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto: a) quando siano dovuti per almeno sei mesi; b) e vi sia stata la domanda giudiziale del creditore ovvero una convenzione posteriore alla loro scadenza.

A differenza dell’art. 1232 c.c. 1865 – che prevedeva che gli interessi scaduti potessero produrre altri interessi al tasso legale dal giorno della domanda giudiziale o nella misura pattuita in base a convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi, quando si trattasse di interessi dovuti per un anno -, il codice vigente, con l’art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda giudiziale e ridotto l’entità degli interessi scaduti (sui quali si applicano gli interessi anatocistici) a sei mesi sul rilievo risultante dalla relazione sul progetto ministeriale “che il valore odierno della moneta consente di ritenere che con l’importo di un semestre di interessi si può costituire una somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale”, nulla ha statuito espressamente circa il saggio degli interessi anatocistici.

5. Il problema interpretativo che l’art. 1283 suscita circa il saggio degli interessi anatocistici, ove si consideri il testo normativo nella formulazione vigente rispetto al corrispondente art. 1232 del codice abrogato, è più apparente che reale.

Per rendersene conto è necessario raffrontare tra loro i due testi normativi.

L’art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così statuiva: “gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi”.

L’art. 1283 c.c. vigente è così concepito:

“In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

La ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione “interessi al tasso legale” del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l’art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3° comma dell’art. 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284.

Questa norma, infatti, statuisce che il saggio degli interessi legali è del cinque per cento in ragione di anno ed aggiunge che allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura, la quale deve avvenire per iscritto.

L’art. 1283 va quindi letto coordinandone le disposizioni con il successivo art. 1284, onde per gli interessi sugli interessi scaduti almeno per un semestre sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale ex art. 1284 comma 1 c.c., a meno che le parti che abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza.

L’art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l’ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali.

D’altronde la stessa ratio legis esclude una interpretazione diversa ove si consideri che, essendo stato l’art. 1283 c.c. (come nel corrispondente art. 1232) previsto a tutela del debitore contro il pericolo dell’usura, in mancanza della norma speciale, gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro (come si è accennato al paragrafo 4) sarebbero stati in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell’art. 1282.

Non può quindi la norma essere interpretata in maniera più gravosa per il debitore di quanto non si sarebbe verificato in mancanza della sua espressa formulazione.

Ne consegue che la Corte d’appello è caduta nella violazione delle norme denunziate in questa sede quando ha riconosciuto all’impresa creditrice, a titolo di interessi anatocistici sugli interessi (moratori) scaduti non già il saggio del cinque per cento in ragione di anno ex art. 1284 comma 1 c.c. (come aveva rettamente ritenuto il Tribunale) ma l’integrale risarcimento del danno da ritardo in base ad una erronea applicazione dell’art. 1224 comma 2 c.c., del tutto estraneo alla materia controversa.

Il ricorso principale deve essere pertanto accolto. 6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la resistente sostiene che, ove sia accolta la tesi dell’Amministrazione, gli interessi anatocistici sarebbero dovuti a far tempo dal 4 settembre 1981 e cioé dalla data della richiesta di pagamento formulata dalla società appaltatrice all’Amministrazione appaltante.

Il ricorso incidentale non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che, ai sensi dell’art. 1283 c.c., gli interessi anatocistici possono essere corrisposti solo se richiesti con domanda giudiziale formulata non come domanda generica di interessi scaduti, ma come domanda specifica di interessi sugli interessi scaduti. La decorrenza dalla domanda giudiziale attiene in tal caso non solo al profilo processuale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), ma riguarda altresì l’aspetto sostanziale della costituzione del relativo diritto di credito il quale quindi non può farsi risalire ad un momento anteriore alla specifica domanda giudiziale (sent. n. 4088-88 ed altre ivi richiamate).

Nel presente giudizio, tuttavia, l’indagine non si esaurisce negli anzidetti rilievi in quanto, l’impresa ha formulato la sua domanda specifica di interessi anatocistici sia nel ricorso per decreto ingiuntivo sia in sede di costituzione innanzi al giudice della opposizione, onde la necessità logico-giuridica di precisare se nel caso in esame gli interessi medesimi siano dovuti dal ricorso ovvero dalla costituzione giudiziale.

La risposta al suddetto quesito è nel primo senso ove si consideri che, richiedendo l’art. 1283 la domanda giudiziale (in luogo della intimazione in mora del debitore) perché gli interessi scaduti possano produrre interessi a loro volta, la disciplina giuridica ha privilegiato il momento della richiesta al giudice rispetto a quello della intimazione o richiesta scritta notificata al debitore (art. 1219 comma 1 c.c.), sicché nella nozione di “domanda giudiziale” prevista dalla norma in esame rientra anche la domanda formulata dal creditore nel ricorso per decreto ingiuntivo, a nulla rilevando, ai fini che si considerano, che in tal caso, per la specialità del procedimento ingiunzionale, il contraddittorio del debitore sia posticipato alla pronuncia del decreto (artt. 638, 645 c.p.c.).

Per quanto concerne la decorrenza degli interessi anatocistici la Corte d’appello non merita pertanto la proposta censura, avendo rettamente fatto decorrere i medesimi (sia pure ad un tasso erroneo come si è visto nell’esame del ricorso principale) dalla data del ricorso per decreto ingiuntivo (25 ottobre 1982).

In definitiva, riuniti i ricorsi e respinto il ricorso incidentale, in accoglimento del ricorso principale si impone la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte d’appello di Messina, la quale, nel decidere la controversia, si atterrà ai seguenti principi di diritto: “Dal coordinamento degli artt. 1283 e 1284 c.c., si desume che, in mancanza di usi contrari ovvero di convenzione posteriore alla loro scadenza, il saggio degli interessi anatocistici è del cinque per cento ad anno, qualunque natura abbiano gli interessi scaduti sui quali si applicano”.

“Poiché l’art. 1283 c.c. richiede una specifica domanda giudiziale – in luogo della intimazione in mora del debitore – perché gli interessi scaduti possano produrre a loro volta altri interessi, privilegiando il momento della richiesta al giudice rispetto a quello della richiesta notificata al debitore, per domanda giudiziale, agli effetti della norma anzidetta, è compresa anche la domanda formulata dal creditore nel ricorso per decreto ingiuntivo, a nulla rilevando che in tal caso, per la specialità del procedimento ingiunzionale, il contraddittorio del creditore sia posticipato alla pronuncia del decreto”.

Il giudice di rinvio pronuncerà anche sulle spese (art. 385 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte: riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Messina.
Così deciso in Roma il 12 aprile 1989.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 SETTEMBRE 1990