Svolgimento del processo

Con sentenza 12 maggio 1981, il Pretore di Roma rigettava la domanda di Mario Cirelli, avente ad oggetto la condanna di Giovanni Roberto Salvatore,suo datore di lavoro, al pagamento della somma di L. 20.136.206 a titolo di risarcimento dei maggiori danni da esso Cirelli subiti, rispetto all’indennizzo ottenuto dall’I.N.A.I.L., per infortunio sul lavoro, occorsogli il 2 settembre 1975.

Contro tale decisione, il Cirelli interponeva appello per ottenere la integrale riforma, lamentando che il Pretore aveva illegittimamente ritenuto, nel caso, precluso l’esercizio dell’azione civile alla stregua del disposto dell’art. 10, quinto comma, del T.U. 30-6-1965 n. 1124.

Il Tribunale, resistente il Salvatore, con sentenza 5-10-1982-10-2-1983, rigettava l’appello. Osservava che l’inammissibilità della domanda de qua discendeva dalla mancanza nella specie di una sentenza penale di condanna per il fatto dal quale l’infortunio era derivato (art. 10, 2° comma T.U. n. 1124-65) e dalla impossibilità per il giudice civile di decidere se “per il fatto – infortunio che avrebbe costituito reato” sussistesse responsabilità civile, non essendosi verificata nessuna delle condizioni tassative previste dall’art. 10, 5° comma, T.U. predetto, ma soltanto l’archiviazione del processo penale. E ciò nonostante che la Corte Costituzionale con la sent. n. 102-81 avesse dichiarato la illegittimità del citato art. 10, 5° comma, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui escludeva dalle eccezioni ivi previste, il caso di proscioglimento de datore di lavoro (o suo dipendente) in istruttoria o di archiviazione del processo, ma relativamente all’azione del regresso dell’I.N.A.I.L., dato che la stessa Corte, con sent. n. 74-81, aveva rigettato, in riferimento agli artt. 3, 4, 24 e 41 Cost., l’eccezione d’illegittimità dello stesso art. 10, nella parte in cui esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile nei confronti del lavoratore, sul rilievo che la norma non attua una misura discriminatoria in senso peggiorativo per i lavoratori.

Ricorre per cassazione il Cirelli con due motivi di annullamento. Resiste il Salvatore con rituale controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo del ricorso, si denuncia falsa applicazione dell’art. 10, 5° comma, d.p.r. 30-6-1965 n. 1124 e si deduce che il Tribunale avrebbe erroneamente disatteso la decisione della Corte Costituzionale n. 202-81, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del quinto comma dell’art. 10 d.p.r. n. 1124-65, nella parte in cui non consente al giudice civile l’accertamento del fatto reato, anche quando il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia stato provvedimento di archiviazione.

Il motivo non è fondato.

Invero, la sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 1981, che ha dichiarato l’illegittimità del 5° comma dell’art. 10 d.p.r. n. 1124-65, nella parte in cui non consente che l’accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal Giudice civile, oltre che nei casi di morte dell’imputato, prescrizione ed amnistia, anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore (o di un suo dipendente) si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione, riguarda soltanto il caso dell’azione di regresso dell’I.N.A.I.L. e non estende il principio a tutti gli “interessi”, di cui al 5° comma dell’art. 10 suddetto.

E tale dichiarazione di illegittimità così oggettivata nel dispositivo della pronuncia, in perfetta rispondenza con la parte motivata della sentenza, non può subire ad opera dell’interprete o del giudice ordinario limitazioni od estensione (v. Cass. Civ.

15-1-1975 n. 159).

Nella specie, trattasi, invece, di azione del lavoratore infortunato per il conseguimento del maggior danno rispetto a quello, soltanto tabellare, liquidatogli dall’I.N.A.I.L., azione legittimamente condizionata alla condanna penale del datore di lavoro (o di un suo dipendente) per il fatto dal quale è derivato l’infortunio (salvi i casi di morte dell’imputato, amnistia e prescrizione), in considerazione (v. sent. Corte cost. n. 74-81) dei vantaggi, valutati discrezionalmente dal Legislatore, che il lavoratore stesso riceve dalla tutela complessiva assicuratagli dalla normativa previdenziale in questione, di cui all’art. 10 de quo è parte integrante, tali da bilanciare, avuto riguardo alla vasta e complessa normativa penale vigente in materia, l’eventualità del tutto marginale, in concreto, di un fatto lesivo che non integri gli estremi di illecito penale.

Perciò, deve escludersi dai casi tassativamente previsti dall’art. 10, 5° comma, d.p.r. n. 1124-65, come integrato dalla giurisprudenza costituzionale, l’ipotesi di archiviazione del processo, per il caso di azione del lavoratore infortunato tendente al conseguimento del maggior danno rispetto alle indennità corrispostegli dall’I.N.A.I.L..

Col secondo motivo, si denuncia omessa motivazione da parte del Tribunale di Roma su un punto decisivo della controversia, costituito dalla produzione agli atti della intervenuta sentenza del Pretore penale di Roma, il quale nel procedimento a carico del Salvatore, aveva applicato la prescrizione del reato.

Il motivo non ha pregio.

Infatti, a parte la sua estrema genericità, non si lascia in alcun modo apprezzare in quanto non risulta dagli atti la produzione della pretesa sentenza del Pretore penale di Roma, che avrebbe dichiarato estinto per prescrizione il reato imputato al Salvatore.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese ed onorari di questo giudizio di cassazione, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione in L. 10.000, oltre L. 1.000.000 (un milione) per onorari.
Così deciso in Roma addì 25-3-1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 15 GENNAIO 1986