Svolgimento del processo

Con atto del 15 maggio 1975 Domenico Orazio, Dora Maria e Rachele Papandrea e Anna Mastroeni citarono davanti al tribunale di Messina il Comune di Roccalumera, nella loro qualità di proprietari e usufruttuari di terreni che erano stati vincolati per la costruzione della scuola media di Roccalumera (decreti 13 febbraio 1968 e 10 ottobre 1970 del Provveditore delle opere pubbliche di Palermo) e successivamente, in virtù del decreto del Prefetto di Messina in data 10 febbraio 1973, erano stati occupati in via temporanea dal comune.

Poiché non era intervenuto, entro il biennio della occupazione, il provvedimento di esproprio, gli istanti domandarono il risarcimento del danno, essendo l’occupazione divenuta illegittima.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, eccepì che il vincolo imposto sui terreni era stato prorogato di 24 mesi e che era stata anche chiesta al Prefetto la proroga del termine di occupazione di urgenza, per cui si oppose all’accoglimento della domanda.

Previa consulenza tecnica, con sentenza del 20 aprile 1977 il tribunale condannò il Comune al risarcimento dei danni in favore degli attori (in L. 49.500.000 per valore del fondo e L. 2.475.000 per la mancata fruttificazione per ciascun anno, in favore di Domenico Orazio e Dora Maria Papandrea, e L. 51.900.000 per valore venale del fondo e L. 2.595.000 pera mancata fruttificazione, per ciascun anno, in favore di Rachele Papandrea e di Anna Mastroeni).

Sul gravame interposto dal Comune, al quale resistettero gli appellati, la Corte di Messina, con sentenza 19 aprile 1978 rigettò l’impugnazione e stabilì come segue le somme dovute ai proprietari dei terreni:

1°) in favore di Domenico Orazio e Dora Maria Papandrea, L. 54.450.000 (valore dell’area, con interessi legali a decorrere dalla pronuncia di appello), nonché L. 2.722.500, per ciascun anno, per mancato reddito del 20 aprile 1977 al soddisfo, oltre interessi legali su quest’ultima somma da ogni singola scadenza,a decorrere dal 20 aprile 1977, ferme restando le statuizione del tribunale circa la corresponsione annuale della minore somma di L. 2.457.000 per il mancato reddito a decorrere dal 1° marzo 1973 (data dell’occupazione) fino al 19 dicembre 1977 e circa gli interessi legali sulla somma stessa da ogni singola scadenza, dal 1° marzo 1973 al 19 aprile 1977; 2°) in favore di Rachele Papandrea e di Anna Mastroeni, L. 57.090.000, (valore dell’area, con interessi legali a decorrere dalla pronuncia di appello), nonché L. 2.854.500 per ciascuna anno, dalla data del 20 aprile 1977 al soddisfo, oltre interessi legali su quest’ultima somma da ogni singola scadenza, a decorrere dal 20 aprile 1977 al soddisfo, ferme restando le statuizioni del tribunale circa la corresponsione annuale della minore somma di L. 2.595.000 per mancato reddito, a decorrere dal 1° marzo 1973 (data della occupazione) al 19 aprile 1977 e circa gli interessi legali sulla stessa somma da ogni singola scadenza, a decorrere dal 1° marzo 1973 fino al 19 aprile 1977.

Per quanto ancora interessa, la Corte di appello ritenne che il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche che vincola determinate aree per l’edilizia scolastica ha il duplice effetto di imposizione del vincolo e di dichiarazione di pubblica utilità dell’edificio scolastico da costruire.

La dichiarazione di p.u. segue le regole previste dagli articoli 13 e 14 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, per cui il relativo termine ha carattere di autonomia, quanto alla fissazione e alla proroga, rispetto al termine di cui all’art. 14, comma 8°, della legge n. 641 del 1967 (imposizione del vincolo urbanistico di destinazione).

Il decreto del provveditorato alle opere non conteneva alcuna prefissione di termine di inizio e di compimento del lavori né per le espropriazioni, e pertanto era inidoneo a dar vita al potere espropriativo.

La intervenuta esecuzione dell’opera non eliminava la illiceità della occupazione e la lesione del diritto di proprietà, né poteva riconoscersi efficacia alla proroga di 24 mesi, da parte della Commissione provinciale scolastica, del vincolo sui terreni, in quanto:

a) la commissione, a seguito della legge n. 641 del 1967, non può fissare il termine per il compimento dei lavori e per le espropriazioni;

b) il termine di 36 mesi stabilito con il primo decreto era scaduto il 7 luglio 1973, mentre la proroga era intervenuta successivamente e pertanto non era comunque idonea a produrre effetto.

Il Comune di Roccalumera ricorre per cassazione con tre motivi, mentre le controparti resistono con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce: 1) – difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di disapplicazione di atti amministrativi, sia perché mancava una posizione di diritto soggettivo, sia perché gli interessati avevano già impugnato dinanzi al TAR il decreto di espropriazione; 2°) – la fattispecie non è disciplinata dalla legge 29 luglio 1967 n. 641, bensì dalle leggi (indicate nel finanziamento dell’opera) 9 agosto 1954 n. 645, 26 gennaio 1962 n. 17 e 24 luglio 1962 n. 1073. Per l’art. 7 di quest’ultima legge il decreto di vincolo spettava alla competenza del Provveditore alle oo.pp., ma il termine di compimento dei lavori e per le espropriazioni doveva essere fissato dalla Commissione provinciale per l’edilizia scolastica. Nel caso vi era quindi valida fissazione dei termini, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello.

La sopravvenuta normativa non era applicabile alla procedura in corso, per cui anche per questo motivo vi era difetto di giurisdizione del giudice ordinario, spettando il potere di annullamento degli atti amministrativi al giudice amministrativo.

Peraltro, non vi era incompetenza della commissione provinciale per l’edilizia scolastica, né la proroga era intervenuta a termine già spirato 3°) – erroneamente i danni da occupazione illegittima sono stati liquidati nella misura degli interessi calcolati sul valore del terreno edificatorio, mentre si sarebbe dovuto tener conto del carattere agricolo dei terreni.

Per il biennio di occupazione legittima la liquidazione è errata. Infine, non poteva la Corte, in mancanza di appello incidentale, concedere perfino la svalutazione monetaria, mancando oltre tutto qualsiasi prova dell’incide di svalutazione.

I motivi primo e secondo, strettamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente.

Va premesso che dagli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza impugnata (sui quali non esiste alcuna contestazione) risulta che il vincolo di destinazione alla edilizia scolastica fu imposto sulle aree una prima volta con decreto del 13 febbraio 1968 e una seconda volta con decreto del 10 ottobre 1970, mentre con decreto del 10 febbraio 1973 il prefetto di Messina, autorizzò l’occupazione di esse da parte del Comune di Roccalumera, e con successivo decreto del 4 ottobre 1977 pronunciò le espropriazione dei fondi.

Sempre in punto di fatto la Corte di Appello dà atto che il decreto del Provveditore alle OO.PP. del 10 ottobre 1970 (tale decreto era stato infatti richiamato nel provvedimento autorizzativo della occupazione di urgenza e in quello espropriativo) non conteneva la prefissione dei termini di inizio e compimento dei lavori e delle procedure espropriative.

Sulla base di questi elementi, le censure formulate dal ricorrente sono infondate.

Va innanzitutto precisato che esattamente la Corte di Appello ha ritenuto che la fattispecie, quanto allo svolgimento della procedura espropriativa, fosse regolata dalla legge 29 luglio 1967 n. 641, già in vigore all’epoca della emanazione dei decreti del Provveditore alle OO.PP. (13 febbraio 1968 e 10 ottobre 1970) con i quali era stato previsto il vincolo sulle aree in conformità dell’art. 14 della indicata legge.

Nessuna riserva è in tale legge contenuta in ordine all’asserita applicabilità, rispetto alle espropriazioni relative ad opere finanziate in precedenza, della normativa anteriore, come è dimostrato, tra l’altro, anche dalla circostanza che, sopravvenuta la legge n. 641 del 1967, e non essendo stata ancora iniziata nessuna delle fasi in cui si articola il vero e proprio procedimento espropriativo, il Comune di Roccalumera e gli organi competenti (Provveditore alle oo.pp. e Prefetto) si uniformarono alle disposizioni della detta legge.

L’art. 60 di questa dichiara infatti espressamente abrogate le norme incompatibili con le nuove disposizioni.

Ciò premesso, le Sezioni Unite osservano che in base al chiaro disposto dell’art. 14 della legge N. 641 del 1967, alla Commissione provinciale prevista dall’art. 2 della legge 26 gennaio 1962 n. 17 è conferito soltanto il compito di esprimere “il giudizio di idoneità delle aree, secondo le norme di cui alla legge stessa”, come testualmente è detto nel 5° comma dell’art. 14 citato, mentre il potere di emettere il decreto di vincolo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, è attribuito esclusivamente al Provveditore alle opere pubbliche, il quale è tenuto (1) nel termine di quindi giorni dall’avvenuta comunicazione, da parte della commissione, del giudizio di idoneità.

Dal coordinamento delle richiamate disposizioni si desume perciò inequivocabilmente che la legge n. 641 del 1967 ha inteso riservare alla Commissione di cui alla precedente legge n. 17 del 1962 unicamente il giudizio tecnico sulla idoneità delle aree (designate dagli organi competenti) a soddisfare le esigenze dell’edilizia scolastica, mentre l’efficacia impositiva del vincolo di destinazione deriva esclusivamente dal decreto del provveditore.

Anche per l’art. 2 della legge n. 17 del 1962 il decreto stesso era di competenza del provveditore, ma la innovazione decisiva introdotta con la legge del 1967 consiste appunto nella diversa rilevanza giuridica attribuita al decreto del provveditore, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità secondo l’art. 14 della legge vigente, mentre nella normativa precedente era la deliberazione di approvazione delle aree prescelte, da parte della commissione prevista dall’art. 2 delle n. 17 del 1962, ad assumere efficacia di “dichiarazione di pubblica utilità” (art. 2 citato, 8° comma).

Dunque, nel nuovo sistema il legislatore ha collegato al decreto del provveditore alle opere pubbliche, quale organo dell’amministrazione attiva, tutti gli effetti tipici derivanti sia dal vincolo sulle aree, sia dalla dichiarazione di pubblica utilità delle costruzioni programmate, quali presupposti di validità della procedura espropriativa.

Non è quindi possibile sostenere, sotto il vigore della legge del 1967, che permanga il potere della commissione di stabilire o di prorogare i termini che gli artt. 13 e 14 della legge fondamentale n. 2359 del 1865 impongono di stabilire per l’inizio e il compimento dei lavori e della procedura di espropriazione, dovendo tali termini, come tassativamente prescrive l’art. 13, essere fissati nell’atto con il quale un’opera viene dichiarata di pubblica utilità.

Questa Corte ha già avuto occasione di ritenere (SS.UU. n. 3838 del 1976 e N. 1150 del 1983) che a norma dell’art. 14 della legge 28 luglio 1967 n. 641 il decreto del provveditore alle opere pubbliche ha una duplice funzione, perché ha efficacia impositiva del vincolo (sulle aree) di destinazione ad opere di edilizia scolastica, ma anche autonoma efficacia di dichiarazione di pubblica utilità dell’edificio erigendo, soggetta (quest’ultima) alla disciplina dei termini di cui agli art. 13 e 14 della legge generale sulle espropriazioni; ed ha inoltre ritenuto (sent. n. 1150 del 1983 citata) che i termini anzidetti, per l’inizio e il compimento delle procedure di espropriazione e dei lavori, debbono essere necessariamente indicati nello stesso provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, mentre ogni sanatoria deve escludersi quando il provvedimento originario non contenga alcuno dei termini prescritti dalla legge.

In base a tali specifici precedenti, e con riferimento inoltre all’altro consolidato principio (SS.UU. n. 6036 del 1983, n. 4076 del 1976, n. 2125 del 1974) secondo il quale la mancanza o la scadenza dei termini fissati per il compimento della espropriazione e dei lavori, dedotte come cause di inefficacia della dichiarazione di utilità, in quanto rendono questa ultima inidonea ad affievolire il diritto di proprietà per carenza del potere espropriativo, comportano che la relativa controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché attiene alla tutela di una posizione avente natura consistenza di diritto soggettivo.

In conclusione, giustamente la Corte del merito ha ritenuto che nel caso in esame si trattasse di una fattispecie di questo tipo e, conseguentemente, ha accolto l’istanza di disapplicazione del sopravvenuto decreto di espropriazione ed anche del decreto di occupazione di urgenza, i quali – trattandosi di provvedimenti correlati e preordinati alla espropriazione di aree per l’edilizia scolastica – difettano del presupposto di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

Né aveva alcun rilievo che le parti interessate avessero cautelativamente impugnato anche in sede di giurisdizione amministrativa il decreto di esproprio e gli altri provvedimenti.

Anche il terzo motivo è infondato.

Trattandosi di illecito consistente nella illegittima occupazione ab initio delle aree, giustamente la Corte di Appello ha calcolato il danno e gli interessi nei modi indicati nella sentenza impugnata, cioé in base al valore del terreno considerato di natura edificatoria e con liquidazione degli interessi su tale valore.

Divenuta impossibile la restituzione del bene per l’avvenuta esecuzione dell’opera, le zone occupate abusivamente, aventi non contestata vocazione edificatoria, giustamente sono state considerate sotto tale profilo ai fini del loro valore.

E’ stato affermato il principio (Cass. 3 maggio 1984 n. 2689) che ai fini del risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, ove si faccia ricorso al criterio degli interessi legali sul valore del fondo, deve aversi riguardo al valore determinato in base alla natura edificatoria del fondo stesso, pur se concretamente sfruttato a scopi agricoli al momento della occupazione, tenuto conto che il proprietario, dal giorno in cui ha perduto la disponibilità del bene, è stato privato di ogni possibilità di utilizzazione del medesimo, sicché non è consentito presumere il protrarsi di detto sfruttamento agricolo in luogo di quello edilizio.

La Corte del merito si è uniformata a tale principio. Circa la rivalutazione della somma liquidata a titolo di danno, calcolata dalla Corte di appello con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza del tribunale (20 aprile 1977), la Corte stessa ha fatto riferimento agli indici forniti dall’ISTAT e alle nozioni di comune esperienza, ed ha contenuto la liquidazione del maggior danno da svalutazione con riferimento al periodo di circa un anno (cioé dal 20 aprile 1977 alla data di pronuncia della sentenza di appello, che risulta depositata il 19 aprile 1978).

Trattandosi di debito di valore derivante da fatto illecito, la rivalutazione del credito poteva essere operata anche di ufficio, come ha ritenuto con giurisprudenza consolidata questa Corte Suprema.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei resistenti, liquidandole in L. 1.517.000 di cui 1.500.000 per onorario.
Così deciso il 30 maggio 1985.
(1) “ad adempiere tale compito”
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 FEBBRAIO 1986