Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 23.4.1980, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (Inail) – sede di Ragusa – agendo in regresso, chiedeva al Pretore di Catania, in funzione di giudice del lavoro, la condanna di Gaetano Failla al pagamento in suo favore della somma di L. 59.313.756, oltre agli interessi legali e al rimborso delle spese del giudizio, quale costo, alla data del 1°.1.1980, dello indennizzo corrisposto agli aventi diritto da Sebastiano Grasso, a seguito dell’infortunio mortale a questi occorso il 18.10.1973 mentre lavorava alle dipendenze del Failla, il quale era stato ritenuto penalmente responsabile con sentenza del Tribunale di Catania in data 18.10.1977.

Costituitosi il contraddittorio, il convenuto chiedeva il rigetto della domanda perché in fondata e, in subordine, chiedeva che fosse rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 d.p.r. 30.6.1965, n. 1124,, in relazione agli artt. 3, 35, 1° comma, e 38 Cost.; ancora più in subordine, chiedeva che fosse ridotta la pretesa attrice.

Il Pretore, adito, con sentenza 16.7-4 agosto 1980, accoglieva integralmente la domanda.

Su appello del Failla, al quale resisteva l’INAIL chiedendo il rigetto del gravame e la condanna dell’appellante al pagamento, in suo favore, della maggiore somma di L. 94.136.230, costituente il costo dell’indennizzo alla data del 1°.1.1981, il Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica di ufficio per la verifica del calcolo del valore capitale della rendita, contestato dall’appellante, con sentenza 9.6-13.7.1981, rigettava l’appello e confermava la gravata sentenza, condannando lo appellante al rimborso in favore dell’Istituto appellato delle spese del giudizio di secondo grado.

Sull’eccezione d’incompetenza del giudice del lavoro, riproposta dall’appellante Failla, il Tribunale riteneva che essa fosse infondata, sussistendo, come da consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, la competenza del giudice del lavoro per tutte le controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali e, quindi, anche delle norme infortunistiche di cui agli artt. 10 e 11 t.u. 30.6.1965, n. 1124.

In ordine alla risposta accezione di illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 del citato t.u., in riferimento agli artt. 3, 35, 1° comma, e 38 Cost., il Tribunale, dopo aver premesso che la Corte Costituzionale l’aveva dichiarata infondata, sotto i vari profili dedotti, con sentenza n. 22 del 1967, e che da tale pronuncia, anzi, la portata delle suddette disposizioni era risultata ampliata, ne ribadiva la manifesta infondatezza sul rilievo che il diritto di regresso può essere esercitato dall’INAIL soltanto se l’infortunio derivi da reato ed ha, perciò, sempre carattere eccezionale, non snaturando, di conseguenza, il rapporto assicurativo, né trasformando i contributi da premi assicurativi in una sorta di tributi.

In ordine alla questione della responsabilità penale del Failla per l’infortunio mortale occorso al Grasso, responsabilità che l’appellante pretendeva di rimettere in discussione, il Tribunale rilevava che essa (in forma esclusiva) era stata accertata, con l’efficacia del giudicato, dalla sentenza del Tribunale di Catania del 18.10.1977, mentre dovevasi tener conto che il rapporto tra giudicato penale e giudicato civile, in linea generale, risultava consacrato negli artt. 27 e 28, c.p.c.; senza dire che, in ogni caso, la colpa del datore di lavoro per l’infortunio occorso al dipendente non era esclusa dalla disattenzione di quest’ultimo.

Alla luce delle risultanze della esperita consulenza tecnica d’ufficio, poi, la contestazione dell’appellante sul calcolo del dovuto all’INAIL in via di regresso si appalesava infondata e inconsistente, avendo il consulente riscontrato l’esattezza dei conteggi operati dallo Istituto con riferimento all’attestato del 23 febbraio 1980.

Infondata era anche la doglianza secondo cui il Pretore non avrebbe tenuto conto “della colpa e del grado di concorsi della vittima”, poiché andava ribadito che dalla sentenza penale del Tribunale di Catania del 18.10.1977 non risultava accertato alcun concorso di colpa. Correttamente, quindi, il Pretore aveva disatteso la richiesta del Failla di ammissione della prova per testi e per interrogatorio poiché si trattava di mezzi di prova inammissibili, essendo diretti a rimetter in discussione l’esclusiva responsabilità dell’appellante Failla in ordine all’infortunio mortale “de quo”, accertata dal giudicato penale.

Quanto alle spese del giudizio, il primo giudice aveva fatto corretto uso del criterio della soccombenza, sancito dall’art. 91, c.p.c., non sussistendo, peraltro, alcun motivo che potesse giustificare la compensazione, sia pure parziale, delle spese stesse.

Infine, per il Tribunale, andava disattesa anche la domanda dell’Istituto appellato tendente ad ottenere la condanna dell’appellante al pagamento della maggiore somma di L. 94.136.230, corrispondente al costo dell’infortunio alla data del 1°.1.1981, in quanto, se, da un lato, per costante giurisprudenza, la domanda relativa ai miglioramenti della rendita – stante il carattere risarcitorio della stessa e la conseguente soggezione al principio generale per cui la determinazione del danno va fatta al momento della pronuncia giudiziale – può essere proposta dall’Istituto assicuratore, che agisca in surroga o in regresso, in qualunque stato e grado del processo, non ostandovi la preclusione dell’art. 345 c.p.c., né, per quanto riguarda specificamente il rito del lavoro, quella dell’art. 437 dello stesso codice (nuovo testo), tuttavia l’INAIL avrebbe dovuto proporre al riguardo appello incidentale per ottenere, sul punto, la riforma della sentenza impugnata.

Avverso la suddetta sentenza l’INAIL ha proposto ricorso per cassazione per un unico motivo.

Altro autonomo ricorso è stato successivamente proposto dal Failla contro la stessa sentenza per otto motivi, e a tale ricorso ha resistito l’INAIL con controricorso. L’Istituto ha prodotto memoria illustrativa

Motivi della decisione

Con l’unico motivo del suo ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 d.p.r. 30.6.1965, n. 1124, 112, 113, 345 e 347, c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, c.p.c., l’INAIL, premesso che esso Istituto ha fatto rilevare nel giudizio d’appello che, per successive disposizioni di legge intervenute nelle more, le prestazioni assicurative erogate erano aumentate a L. 94.136.230 e che questa era, quindi, la somma che, oltre agli interessi di legge, il datore di lavoro Failla doveva essere condannato a rimborsare, si duole che tale precisazione non sia stata accolta dal Tribunale e che questo abbia ritenuto che, per la riforma nel senso invocato, della sentenza impugnata, esso Istituto avrebbe dovuto comunque proporre appello incidentale.

Per l’Istituto ricorrente, la pronuncia del Tribunale è, sul punto, manifestamente erronea, sia perché l’indicazione che l’Istituto assicuratore faccia del valore pecuniario raggiunto, per effetto di disposizioni legislative intervenute nel corso del giudizio, dalle prestazioni delle quali chiede il rimborso, può essere effettuata in qualsiasi stato e grado del procedimento, sia perché il diritto al rimborso non serve nell’Istituto assicuratore dalla data di entrata in vigore della norma che prevede aumenti di rendita, bensì da quella dell’avvenuta riliquidazione della rendita stessa, sia perché, comunque, il soddisfacimento del credito soggetto a variazioni quantitative nel corso del giudizio deve intendersi chiesto, di regola, con implicito riferimento alla misura che esso si troverà ad avere al momento della pronuncia, sicché l’indicazione nel giudizio d’appello dell’entità raggiunta, nelle more, dal credito, del quale è chiesto il rimborso, costituisce semplice precisazione, non già mutamento del “petitum”.

Inoltre – sempre secondo il ricorrente – il credito dell’Istituto ha, “in subiecta materia”, natura di credito di valore, per il quale vale il principio generale, secondo cui la determinazione va fatta in base ai valori correnti al momento della liquidazione definitiva, che normalmente è quella effettuata dal giudizio d’appello.

Col primo motivo del suo autonomo ricorso, il Failla ribadisce l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 d.p.r. 30.6.1965, n. 1124, in riferimento agli artt. 3, 35 e 38 Cost., in relazione all’art. 360, pp., n. 3 e 5, c.p.c., sostenendo che la questione non dovrebbe intendersi esaurita a seguito della sentenza n. 22 del 1967 della Corte Costituzionale.

Col secondo motivo del ricorso stesso, il Failla deduce violazione dell’art. 10 del d.p.r. n. 1124 del 1965, in relazione all’art. 360, pp., n. 3 e 5, c.p.c., sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto rigettare la richiesta dell’INAIL in virtù del primo comma del citato art. 10, secondo cui “l’assicurazione … esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro”, senza tener conto né del comma successivo dello stesso articolo né della prima parte dell’art. 11, che sono in palese contrasto con il primo comma dell’art. 10.

Col terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 202 e segg., c.p.c., in relazione allo art. 360, pp., nn. 3 e 5, dello stesso codice, il Failla sostiene che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che vi fosse la prova relativamente al calcolo della rendita, prova che solo una perizia contabile avrebbe potuto fornire con esattezza, purché con riferimento all’età del soggetto-vittima e ad altri elementi.

Col quarto motivo, denunciando violazione delle stesse norme indicate nel precedente motivo, il Failla sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel non considerare la colpa o il grado di concorso nella colpa del Grasso, il quale sarebbe stato in grado di discernere i pericoli ai quali era andato incontro. Sul punto la sentenza impugnata sarebbe immotivata.

Col quinto motivo, denunciando la violazione delle stesse norme indicate nel terzo motivo, in Failla sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel non esaminare chi erano gli eredi del Grasso e sino a quale età essi erano pensionabili.

Col sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 18, c.p.c., e degli artt. 409 e segg., c.p.c., sub L. 11.8.1973, n. 533, in relazione all’art. 360, pp., nn. 3 e 5, c.p.c., il Failla sostiene che competente a giudicare era il magistrato col rito ordinario e on il giudice del lavoro.

Col settimo motivo, denunciando violazione dell’art. 202, c.p.c., in relazione all’art. 360, pp., nn. 3 e 5, c.p.c., il Failla deduce che il Tribunale avrebbe dovuto accogliere i mezzi di prova chiesti e articolati da esso stesso Failla, tra cui la prova per testi, dato che la sentenza penale non aveva stabilito il grado di colpa del datore di lavoro e a tanto avrebbe dovuto provvedere il giudice civile.

Con l’ottavo ed ultimo motivo, denunciando violazione degli artt. 91 e 92, c.p.c., in relazione all’art. 360, pp., nn. 3 e 5, c.p.c.,il Failla sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto condannare alle spese e agli onorari l’INAIL o, comunque, compensarli tra le parti.

Il ricorso dell’INAIL e quello dell Failla vanno riuniti ai sensi dell’art. 335, c.p.c.

Conformemente all’eccezione sollevata dall’INAIL, l’autonomo ricorso proposto dal Failla va dichiarato inammissibile.

Infatti, contro la stessa sentenza sono stati proposti due autonomi ricorsi: da parte dello INAIL con atto notificato il 30.3.1982 e da parte del Failla con atto notificato il 10.6.1982.

Ancorché il successivo ricorso del Failla sia stato proposto nella forma di ricorso principale, esso va considerato incidentale rispetto a quello proposto dall’INAIL.

E’ principio giurisprudenzialmente consolidato secondo cui, nel vigente sistema processuale,l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti di impugnazione principale, e determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali successive impugnazioni della stessa sentenza, le quali, perciò, hanno sempre carattere incidentale, ma che, peraltro, pur se irritualmente proposte nella forma dell’impugnazione principale, devono ugualmente ritenersi ammissibili quando siano state notificate nel termine prescritto per il gravame incidentale e vengano in concreto riunite all’impugnazione precedente, per modo che del pari si realizzi il “simultaneus processus”; con la conseguenza che il ricorso che, qualificato autonomo, sia stato proposto dopo quello principale con atto notificato oltre il termine di quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale, va dichiarato inammissibile (Cass. civ., 19.4.1983, n. 2672; idem, 19.2.1982, n. 1053; 26.10.1981, n. 5591; 23.12.1977, n. 5727).

Alla data di notifica del ricorso del Failla (10.6.1982) era già decorso il termine di quaranta giorni rispetto alla notifica del precedente ricorso dell’INAIL (30.3.1982), termine stabilito per il ricorso incidentale dal combinato disposto degli artt. 370 e 371, c.p.c..

Il ricorso dell’INAIL, nell’unico motivo prospettato è fondato e va, peraltro, accolto.

L’Istituto ha giustamente censurato la sentenza d’appello del Tribunale di Catania per avere questa rigettato la domanda dell’Istituto stesso (proposta con la memoria di costituzione in appello), intesa ad ottenere l’aggiornamento monetario degli importi erogati a favore dei superstiti dell’infortunato Grasso, in quanto – secondo quanto motivato in sentenza – l’Istituto avrebbe dovuto proporre qual punto gravame incidentale.

Ed invero, nella specie, l’aumento in termini monetari della somma richiesta dall’INAIL non ha comportato mutamento della domanda, né sotto il profilo della “causa petendi”, poiché la domanda si è mantenuta nei limiti della pretesa di rimborso delle somme erogata per il sinistro in oggetto, né sotto il profilo del “petitum”, il quale, nel suo contenuto giuridico, è rimasto invariato, avendo l’Istituto semplicemente precisato in grado d’appello l’ammontare raggiunto dalle prestazioni assicurative erogate nelle more del giudizio.

Infatti, l’indicazione che l’Istituto assicuratore faccia del valore pecuniario raggiunto, per effetto di disposizioni legislative intervenute nel corso del giudizio, dalle prestazioni delle quali chiede il rimborso, è legittimamente effettuata in qualsiasi stato e grado del procedimento senza alcuna limitazione o preclusione, non implicando tale indicazione alcun mutamento della domanda, che resta sempre quella originaria, e costituendo semplice precisazione, non già mutamento della domanda (Cass. civ., 18.9.1979, n. 4792; idem, 24.3.1979, n. 1712; 1°.3.1974, n. 566; 26.11.1973, n. 3211).

D’altra parte, è innegabile che l’azione di regresso, esercitata ai sensi degli artt. 10 e 11 t.u. n. 1124 del 1965, ha per oggetto un credito di valore, per il quale vale il principio generale secondo cui la determinazione va fatta in base ai valori correnti al momento della liquidazione definitiva, che normalmente è quella effettuata, in caso di controversia, dal giudice d’appello; sicché tale credito di valore deve essere adeguatamente rivalutato in caso sia stato liquidato con riferimento ad un momento anteriore (Cass. civ., 5 ottobre 1983, n. 5805).

Del resto, non si vede perché l’Istituto avrebbe dovuto proporre appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, la quale aveva liquidato il credito vantato dall’Istituto nell’esatto ammontare maturato alla data della pronuncia stessa.

Ne deriva che va accolto il ricorso dello INAIL e dichiarato inammissibile il ricorso del Failla, che la sentenza impugnata va, in relazione al ricorso accolto, cassata, con il rinvio della causa ad altro giudice d’appello, che si designa nel Tribunale di Siracusa (Sezione Lavoro), il quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà al principio di diritto come sopra enunciato e provvederà anche sulle spese di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte: riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso dell’INAIL e dichiara inammissibile quello del Failla, cassa, in relazione al ricorso accolto, l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Siracusa (Sezione Lavoro).
Roma, 20.5.1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 GENNAIO 1986