Svolgimento del processo

Il comitato esecutivo dell’Ente Delta Padano con deliberazione del 17 dicembre 1975 concedeva al suo direttore generale dr. Giordano Marchiani miglioramenti economici con l’attribuzione delle 14a e 15a mensilità, di un assegno personale e di un corrispettivo in via forfettaria per il lavoro straordinario pari a 65 ore mensili. A seguito di alcuni rilievi della Corte dei Conti e di un parere del Consiglio di Stato che rilevavano l’illegittimità di tali erogazioni, l’Ente regionale di sviluppo agricolo per l’Emilia Romagna, succedendo nel frattempo all’ente Delta Padano, chiedeva la restituzione al Marchiani della somma di lire 20.182.072 e, ottenuta risposta negativa, lo citava davanti al Tribunale di Bologna per ottenere il rimborso della somma suddetta con rivalutazione monetaria e anatocismo.

Costituitosi in giudizio, il convenuto eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la mancanza di legittimazione dell’ERSA, che non poteva considerarsi successore dell’ente Delta Padano.

Successivamente proponeva il presente regolamento di giurisdizione, cui resiste l’ERSA per l’Emilia Romagna con ricorso depositato tardivamente in cancelleria.

Motivi della decisione

Sostiene il Marchiani che le somme richieste in restituzione dell’ERSA e a suo tempo versate a titolo di stipendio o di assegno personale sono strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego interceduto a suo tempo con l’Ente Delta Padano, cosicché la cognizione e decisione della presente controversia apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La tesi del ricorrente è fondata.

La natura di ente pubblico non economico dell’Ente regionale di sviluppo agricolo per l’Emilia Romagna e prima di esso dell’Ente Delta Padano, non è posta in discussione dalle parti ed è pacifica nella giurisprudenza di questa Corte (vedi con riferimento agli Enti regionali di sviluppo agricolo Cass. 20 gennaio 1989 n. 302; Cass. 13 gennaio 1989 n. 105; Cass. 27 luglio 1985 n. 4359; e con riferimento agli Enti di colonizzazione e di trasformazione fondiaria previsti dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841, cui apparteneva l’ente Delta Padano Cass. 5 marzo 1979 n. 1358; Cass. 11 gennaio 1963 n. 48; Cass. 3 marzo 1962 n. 417; Cass. 12 marzo 1960 n. 496).

Altrettanto incontroverso è che nella presente controversia si discute di emolumenti e compensi, che trovano titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, a nulla rilevando la circostanza che, al momento dell’insorgere della controversia, il rapporto di pubblico impiego era ormai cessato.

Nonostante, infatti, la formula apparentemente restrittiva usata dall’art. 29, n. 1, T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato e dall’art. 4 T.U. 26 giugno 1924, n. 1058 sulla Giunta provinciale amministrativa, entrambi richiamati dall’art. 7 secondo comma della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 sui T.A.R., la giurisdizione esclusiva riguarda non soltanto gli impiegati in servizio ma qualunque controversia che in qualsiasi momento sorga in ordine al rapporto d’impiego, sempre che questo costituisca il presupposto e il titolo della pretesa fatta valere.

Altrettanto irrilevante è la circostanza che dette norme parlino di ricorsi relativi al rapporto di impiego prodotti dagli impiegati, perché tale espressione si spiega con il fatto che l’ente pubblico non ha bisogno di proporre impugnazione contro i propri atti affetti da vizi, avendo il potere di provvedere in sede di autotutela modificando, revocando o annullando gli atti medesimi.

Ciò però non significa che sia diversa la giurisdizione quando, non potendo o non volendo avvalersi del potere di attuare coattivamente le proprie pretese, sia l’ente pubblico ad agire in giudizio per far valere le pretese medesime (vedi in questo senso Cass. 5 novembre 1987 n. 8207; Cass. 21 dicembre 1983 n. 6922; Cass. 11 dicembre 1979 n. 6442).

Il caso più frequente che si verifica in giurisprudenza è quello del recupero di emolumenti non dovuti nei confronti di un impiegato ancora in servizio. In tale ipotesi la pubblica amministrazione, quando constata l’avvenuto pagamento di somme non dovute, invece di ricorrere al giudice amministrativo per far dichiarare il diritto alla ripetizione di essa, provvede direttamente al loro recupero mediante trattenute operate sugli stipendi successivi (vedi per lo Stato l’art. 3 del R.D.L. 19 giugno 1939, n. 295). Incombe allora al dipendente, che ritenga ingiuste tale trattenute (perché gli emolumenti erano stati a suo tempo legittimamente erogati o per altra causa) ricorrere al giudice amministrativo per far dichiarare illegittima tale ripetizione e ottenere la condanna della pubblica amministrazione a restituire la somma nel frattempo trattenuta.

Nel caso in esame tale procedura non era possibile, perché, al momento in cui l’ERSA ha deciso di procedere al recupero degli emolumenti asseritamente non dovuti, il Marchiani non era più in servizio. Occorre però anche in questa ipotesi che un giudice accerti che gli emolumenti di cui è causa siano stati in effetti illegittimamente erogati e tale giudice non può essere quello ordinario, a cui si è rivolto l’ERSA chiedendo la restituzione della somma di lire 20.182.072, ma deve essere, per quel che si è detto, il giudice amministrativo, che è l’organo istituzionalmente investito della giurisdizione in materia di pubblico impiego.

Nessun rilievo ha infine la circostanza che l’ERSA avesse revocato la precedente delibera con la quale aveva ritenuto di non procedere al recupero delle somme asseritamente non dovute, perché tale manifestazione di volontà unilaterale non può certo sostituire la decisione del giudice sulla esistenza dell’indebito.

Va quindi dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’ente di sviluppo va condannato alle spese del presente regolamento e del precedente giudizio di merito nella misura, che può ricavarsi dagli atti del processo.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo e condanna l’Ente di sviluppo alla rifusione a favore del ricorrente delle spese di questo giudizio in lire 31.400 oltre lire 2.000.000 per onorari nonché alle spese del giudizio di merito liquidate globalmente in lire 1.500.000 di cui lire 100.000 per spese e lire 200.000 per diritti di procuratore.
Così deciso in Roma il 29 marzo 1990.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 24 OTTOBRE 1990.