Svolgimento del processo

Con sentenza 6 maggio 1975 il Tribunale di Massa, nella causa tra Giannoni Alide e Giannoni Egidio, proprietari di fondi vicini, condannava il convenuto a demolire la parte di edificio da lui costruita a distanza inferiore a dieci metri dall’aia comune; condannava, inoltre, l’attrice a rimuovere il pozzo nero costruito nella detta aia e ad arretrarlo di almeno due metri dal confine della proprietà del convenuto; respingeva, invece, la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’attrice e le altre domande riconvenzionali del convenuto, tendenti ad ottenere la demolizione di una tettoia, l’eliminazione di una grondaia e di un’altra piccola costruzione ricavata dalla Giannoni Alide; compensava interamente le spese di causa.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza 9 agosto 1977, rigettava gli appelli di entrambe le parti sulle statuizioni di merito e modificava, invece, la pronunzia sulle spese, condannando Egidio Giannoni al pagamento di metà delle spese di primo grado ed all’intero pagamento di quelle d’appello.

Su ricorso di Giannoni Egidio, questa Corte, con sentenza 8 marzo 1980, in accoglimento del primo motivo, cassava la sentenza d’appello, affermando il principio per cui, in materia di distanza tra costruzioni, nel caso di successione di leggi o di strumenti urbanistici, se la costruzione, originariamente illegittima, risulta in armonia con la nuova disciplina, la violazione deve ritenersi sanata; se, invece, l’illegittimità sussiste anche rispetto agli strumenti urbanistici sopravvenuti, non si può applicare la sanzione preveduta dalla disciplina più antica, bensì quella meno rigorosa o comunque più favorevole per il costruttore eventualmente prevista dagli strumenti urbanistici sopraggiunti.

In sede di rinvio, la Corte di Appello di Firenze, dato atto che il P.R.G. di Apuania (approvato con Legge n. 147 del 1941) non era più in vigore e che era stato sostituito dal P.R.G. di Massa, approvato con D.M. 31 marzo 1972, il quale a sua volta richiamava le prescrizioni contenute nel D.M. 2 aprile 1968, ha affermato che nella specie la distanza tra i fabbricati doveva essere regolata dall’art. 10 del citato D.M. che stabilisce: “2-) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”; senonché, ha aggiunto la Corte di Firenze, sebbene Egidio Giannoni avesse costruito il suo fabbricato a m. 9,05 dall’edificio dirimpettaio, Alide Giannoni non era legittimata a chiedere l’arretramento di m. 0,95 perché essa è proprietaria del pianterreno non munito di finestre, mentre la facoltà di pretendere il rispetto della distanza di m. 10 a norma del citato decreto ministeriale spetterebbe al proprietario del primo piano, fornito di finestre, che è rimasto estraneo alla causa.

Pronunziando, poi sulle spese di causa, la Corte di rinvio, ritenuta la prevalente soccombenza dell’attrice, ha compensato la metà di esse per l’intero giudizio e condannato la Giannoni al pagamento dell’altra metà.

Ricorre per cassazione Alide Giannoni in base a due motivi di censura; nel primo mezzo la ricorrente deduce violazione ed errata interpretazione della normativa urbanistica in relazione agli artt. 873 ss. C.C., sostenendo che la disposizione del D.M. 2.4.1968 secondo cui “é prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” non è posta a tutela della servitù di veduta e pertanto si riferisce all’intera parete munita di finestre, ovunque ubicate, sicché tutti i comproprietari del muro perimetrale sono legittimati a chiedere il rispetto della distanza da parte del costruttore di un edificio frontistante, indipendentemente dal fatto di essere proprietari di finestre nel predetto muro; ciò anche in virtù del principio che consente a ciascun condomino di agire a difesa della proprietà comune.

Nel secondo mezzo la ricorrente si duole della condanna alle spese pronunziata nei suoi confronti in base all’erronea affermazione del giudice di rinvio secondo cui essa sarebbe rimasta soccombente sulle questioni di maggiore importanza, mentre anche Egidio Giannoni era restato soccombente su varie domande di uguale importanza.

Egidio Giannoni resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso merita accoglimento. E’ fondata la premessa del ragionamento della ricorrente secondo cui la norma stabilita dall’art. 10 del D.M. 2 aprile 1968, applicabile nella specie per il rinvio contenuto nell’art. 48 delle norme di attuazione del P.R.G. di Massa, non è dettata a tutela del diritto di veduta, bensì per assicurare un conveniente distacco tra i fabbricati.

Invero il citato art. 48 dispone testualmente “per quanto riguarda le distanze tra gli edifici e le altezze degli edifici in relazione alla larghezza della strada valgono le prescrizioni contenute nel D.M. 2 aprile 1968“; a tale argomento letterale possono aggiungersi altre considerazioni, cioé che gli strumenti urbanistici locali integrativi delle norme del codice civile si occupano delle distanze tra edifici e non delle luci o delle vedute (sez. VII), la cui disciplina ha carattere esclusivamente privatistico; infine il modo di misurare la distanza a norma delle citate norme regolamentari è diverso da quello previsto dagli artt. 905, 907 c.c., dato che nel primo caso essa va misurata in modo lineare, tra le facciate dei due muri contrapposti, mentre nel secondo la misurazione avviene in modo radiale, cioé tra il punto esterno della finestra o dello sporto ed il punto più vicino della costruzione altrui (v. Cass. 20.7.1979, n. 4337 ed altre).

In base a tali rilievi, l’ultimo dei quali condiviso e richiamato al altro proposito anche dalla sentenza impugnata, sembra evidente che la controversia sulla determinazione della distanza legale tra pareti finestrate contrapposte, a norma del D.M. 2 aprile 1968 o degli strumenti urbanistici locali che lo richiamano, non costituisce questione circoscritta ai soli proprietari delle vedute, ma riguarda l’intero edificio, in quanto si riferisce alla facciata munita di finestre, complessivamente considerata, dovunque si trovino le singole aperture.

In altri termini, l’art. 10 D.M. 2.4.1968, recepito dalle norme di attuazione del P.R.G. di Massa, nel prescrivere la distanza di dieci metri, “tra pareti finestrate” ha inteso con tale espressione indicare una caratteristica del fabbricato, nel senso che dove esso presenta una facciata munita di finestre il vicino non può costruire a meno di dieci metri, mentre dove presenta una parete cieca la distanza da rispettare può essere minore.

Di conseguenza, ad avviso di questa Corte, non può disconoscersi nella specie la legittimazione attiva di Giannoni Elida, poiché essa, oltre ad essere proprietaria del piano terreno privo di finestre, è condomina dell’edificio ed è, perciò, legittimata ad esperire, senza che sia necessario lo intervento in giudizio degli altri condomini, “qualsiasi azione di carattere reale a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune, ivi compresa l’azione per far valere il rispetto, da parte del vicino, delle distanze legali, cioé il lato attivo dei rapporti di vicinato” (Cass. 2.7.1969, n. 2431 e numerose altre).

Com’é noto, il possesso ventennale di una costruzione a distanza inferiore a quella legale può dare luogo all’acquisto della servitù contraria a tale limitazione di vicinato e pertanto indubbiamente ciascun condomino ha interesse ad opporsi in giudizio a tale abuso del vicino, al fine di evitare, nell’inerzia degli altri condomini, l’ingiusta creazione di un vincolo sulla cosa comune e la conseguente diminuzione di valore dell’edificio e delle singole parti, anche se la servitù non venga esercitata sulla porzione di sua proprietà esclusiva.

Per le suesposte ragioni la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio in relazione all’esito finale della lite; rimane assorbito il secondo motivo di ricorso, riguardante le spese del giudizio di merito, che anch’esse andranno attribuite secondo il criterio della soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Roma, 13 giugno 1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 5 MARZO 1986