Svolgimento del processo

Con atto di precetto notificato il 5 ottobre 1973 il Credito Fondiario intimava ai coniugi Lamiani Cavallaro il pagamento della somma di lire 1.036.072, oltre agli interessi di mora ed accessori.

Successivamente con atto 29 novembre 1973 veniva eseguito pignoramento immobiliare sull’immobile acquistato dai coniugi Lamiani dalla società Carola, in Catania, e sul quale gravava accollo di mutuo per lire 3.860.000, mutuo già concesso dal Credito fondiario alla venditrice società.

I Lamiani con ricorso al giudice dell’esecuzione del 13.1.81 proponevano avverso l’atto di precetto, contestando il diritto dell’Istituto a procedere ed esecuzione forzata, sia contro le ordinanze del giudice dell’esecuzione 15.7.80 che disponeva il deposito della somma di cui alla conversione, l’integrazione di ulteriore lire 1.500.000, nonché quella del 12.12.80 che disponeva una ulteriore integrazione per lire 351.382.

Il Credito fondiario, costituitasi, eccepiva la decadenza degli apponenti dall’opposizione, contestandola altresì nel merito.

Con sentenza non definitiva dell’11-31 maggio 1982 il tribunale di Catania, accogliendo per quanto di ragione la proposta opposizione, disponeva procedersi a consulenza tecnico – contabile onde accertare, sulla scorta dei principi indicati in motivazione e tenuto conto della misura e delle epoche in cui i debitori opponenti avevano effettuato versamenti a favore del Credito fondiario nell’ambito della relativa procedura di esecuzione, quanto fosse stato pagato in eccedenza sulle somme effettivamente dovute.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Credito fondiario. Gli appellati Lamiani ne eccepivano l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza.

Con sentenza 17 giugno – 7 luglio 1983 la corte d’appello di Catania, in riforma dell’impugnata decisione così provvedeva:

1) sulle somme dovute dal debitore, di cui al 1° comma dell’art. 38 R.D. n. 646 del 1910, decorrono gli interessi di mora ai sensi del capov. del cit. art. 38;

2) detti interessi di mora sono dovuti nella misura di cui all’art. 15, ult. co. r.d. cit. e succ. modificazioni (tra cui la legge n. 397 del 1974, art. 2, co. 1, il D.P.R. n. 7 del 1976, art. 1, co. 3, con i conseguenti decreti ministeriali) e sino alla data del pagamento al domicilio del creditore; 3) i libri, e i registri degli istituti tenuti secondo i loro regolamenti, come pure i loro estratti, fanno piena fede in giudizio;

4) annulla il capo relativo alle spese giudiziali;

5) condanna i Lamiani al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i Lamiani, deducendo cinque mezzi di gravame.

Resiste con controricorso illustrato da memoria il Credito fondiario.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso i Lamiani sostengono violazione e falsa applicazione, per inesatta interpretazione, dell’art. 2 della legge 17 agosto 1974 n. 397, sotto il profilo che, ove si accedesse alla tesi adottata nell’impugnata sentenza, l’art. 2, secondo comma sarebbe nella pratica inapplicabile in quanto il mutuo fondiario viene concesso ai costruttori di edifici condominiali e non ai piccoli costruttori di singoli appartamenti. A sostegno del loro assunto i ricorrenti si richiamo ai lavori preparatori della legge indicata, e sostengono che il secondo comma dell’articolo in esame ribadisce l’esclusione della corresponsione di interessi di mora corrispondenti al tasso ufficiale di sconto per i contratti di mutuo stipulati da proprietari di un singolo appartamento, la cui rata di mutuo non sia superiore alle 440 mila lire, e nel caso di specie la rata semestrale era di lire 204.687.

La censura non ha pregio. Come hanno già osservato i secondi giudici, l’esclusione dell’adeguamento del tasso sugli interessi di mora, di cui al primo comma dell’art. 2 della legge n. 397-1974, è prevista al secondo comma per i contratti di mutuo “stipulati da proprietari di singolo appartamento, la cui rata non sia superiore a lire 400.000”, ma del pari essi hanno escluso che una tale situazione ricorresse nel caso di specie, in quanto interpretando correttamente la dizione “contratti di mutuo stipulati da proprietari di singoli appartamenti” hanno concluso che la deroga concerne i soli finanziamenti concessi direttamente a proprietari di singoli appartamenti, la cui rata di ammortamento non sia superiore alle 400 mila lire, e che nel caso il finanziamento non era stato concesso direttamente ai Lamiani con accollo. Se, dunque, tale è la situazione giuridica e di fatto, non può correttamente ritenersi che la norma possa essere interpretata nel senso voluto dai ricorrenti perché essa non prevede alcun riferimento ad una possibilità che l’esclusione possa intendersi richiamata anche per mutui concessi per maggiori somme ad imprese, e poi da questa frazionati a carico degli assegnatari di singoli appartamenti, dovendo la dizione “già stipulati” intendersi in senso restrittivo in riferimento ai soggetti effettivamente destinatari del mutuo.

In sostanza, la norma in discussione va intesa nel senso che non si applicano gli interessi di mora previsti dal comma 2 dell’art. 2 dell’art. 1 legge 397-74 a quei contratti di mutuo stipulati da proprietari di singoli appartamenti la cui rata non sia superiore a lire 400.000. Infatti, il proprietario del singolo appartamento che subentri in un mutuo già stipulato dall’impresa costruttrice con l’istituto di credito, mutuo che per l’appunto sia stato frazionato per consentirgli il subingresso, non stipula alcun contratto con l’istituto; egli semplicemente si accolla un’obbligazione ai sensi dell’art. 1273 c.c., dando in tal modo vita ad un rapporto obbligatorio al posto ed invece dell’originario debitore, senza pertanto instaurare un rapporto contrattuale diretto con il creditore. Ai sensi dell’art. 1273 c.c. la convenzione di accollo di un debito viene stipulata tra il debitore ed il terzo e l’adesione alla convenzione costituisce una facoltà del creditore.

Orbene, secondo la legge sul credito fondiario (T.U. 16 luglio 1905 n. 646) l’accollo impegna l’istituto dopo la notifica giudiziale del subingresso il che comporta la irrevocabilità della stipulazione dell’accollo in favore dell’istituto, analoga alla irrevocabilità della stipulazione della convenzione di accollo in favore del creditore che vi abbia aderito ma ciò non significa che essa sia stata stipulata direttamente tra il creditore ed il terzo.

Così ricostruito il sistema, ne deriva che l’ultima parte del secondo comma dell’art. 2 della legge 397-74, come si è già avuto occasione di anticipare, è applicabile solo a favore dei proprietari di singoli appartamenti i quali abbiano originariamente stipulato un contratto di mutuo con istituti esercenti il credito fondiario la cui rata non sia superiore alle 400 mila lire, mentre non è applicabile ai contratti di accollo del mutuo, anche se con rata non superiore alle lire 400 mila, dipendenti da subingresso nella proprietà dell’immobile gravato di una frazione di mutuo originariamente superiore alle lire 400 mila e stipulati con i proprietari dell’immobile che avevano originariamente assunto le obbligazioni dipendenti dall’accensione del mutuo e che per effetto dell’accollo le trasferiscano sui nuovi proprietari.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38 R.D. 16 luglio 1905 n. 646 nonché dell’art. 1283 c.c. sotto il profilo della nullità della clausola di mutuo che preveda una maggiorazione di interessi nel caso del mancato pagamento degli interessi corrispettivi. Tale clausola sarebbe illegittima in quanto nei mutui di ammortamento i ratei sono comprensivi di quota del capitale e di parte degli interessi, onde gli interessi moratori previsti costituirebbero sostanzialmente interessi sugli interessi.

Peraltro l’art. 1283 prevede che gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi, mentre nel caso di specie nessuna domanda sussisterebbe né convenzione lacuna posteriore, onde il tasso applicabile sarebbe quello del 15%.

La doglianza è infondata.

A parte l’inconferenza del richiamo alla sentenza di questa Corte n. 3479 del 1971 pronunziata in fattispecie del tutto diversa (mutuo ordinario regolato dall’art. 1813 c.c.) deve osservarsi che con recente decisione 15 dicembre 1981 n. 6641 questa Corte, proprio nell’interpretazione dell’art. 1283 c.c. ha valorizzato il richiamo agli usi normativi operato dalla legge, per dedurne che l’anatocismo è ormai istituto di più generale applicazione, in virtù di usi bancari uniformi. Ma a prescindere da quanto sopra, la doglianza di violazione dell’art. 38 cit. non ha fondamento, perché l’anatocismo nel caso di specie trova fonte normativa proprio nell’articolo indicato, la cui ratio consiste nella particolare natura dei contratti di mutuo fondiario, per cui nella determinazione complessiva della semestralità, l’interesse è soltanto una delle componenti da considerare ad ogni effetto nel loro insieme, e nell’obbligo, infine, che hanno gli istituti di credito di corrispondere un interesse, pari a quello convenuto per il mutuo, ai portatori delle obbligazioni emesse per il mutuo. E’ noto, infatti, che l’istituto esplica una funzione di intermediazione tra i portatori delle cartelle (cui devono essere corrisposti gli interessi stabiliti per il mutuo nonché, ad ogni estrazione, una quota del capitale mutuato equivalente a tante cartelle quante ne corrispondono alla rata di mutuo in scadenza) ed i mutuatari che pagano, in virtù dell’ammortamento del mutuo, ad ogni semestre, una rata comprensiva sia degli interessi versati dall’Istituto ai portatori delle cartelle sia di una quota del capitale mutuato da rimborsare ai prestatori delle cartelle estratte a sorte. Con l’obbligo (cosiddetta regola del riscosso per il non riscosso) dell’Istituto di eseguire il rimborso anche se il mutuatario non abbia pagato la rata di mutuo. E per l’appunto, proprio in funzione di un tale obbligo la norma impone il pagamento di interessi di mora anche sugli interessi compresi nelle rate scadute e non pagate. Né correttamente può parlarsi di anatocismo perché gli interessi di ammortamento costituiscono componenti della rata secondo la tabella di ammortamento del mutuo e devono ritenersi capitale da restituirsi dal mutuatario.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1182 c.c. e 495 c.p.c. nonché illogica ed insufficiente motivazione sotto il profilo che nella sentenza impugnata è stato affermato che è inesatto il principio enunciato dai primi giudici circa la decorrenza degli interessi di mora, che cesserebbero nello stesso giorno in cui il creditore procedente abbia avuto notizia che le somme sono state messe formalmente a sua disposizione dal debitore, ma la corte d’appello ha correttamente motivato al riguardo osservando che per convenzione il mutuatario ( art. 1182 comma 1 c.c.) si obbligò anche per i suoi aventi causa e successori con vincolo solidale ed indivisibile di restituire la somma di lire 170.000.000 entro 15 anni, con il metodo di ammortizzazione, pagando cioé semestralmente e senza interruzioni in valuta legale presso la sede dell’istituto in Roma la somma di lire 8.972.199, per cui si può parlare di adempimento solo quando il pagamento sia stato fatto al domicilio del creditore. Assumono i ricorrenti che la convenzione non avrebbe efficacia nei loro confronti, ma ciò contrasta con il contenuto dell’atto di trasferimento per notar Consoli che prevede l’espressa clausola di piena solidarietà fra essi ed i loro aventi causa a qualsiasi titolo per tutte le obbligazioni nascenti dagli stessi. E tra le obbligazioni era previsto (art. 2 del contratto condizionato di mutuo del 27 novembre 1963 n. 12432 notar Angrisano) il pagamento presso la sede dell’Istituti in Roma. Né vi è stata violazione dell’art. 495 c.p.c.. La norma che si asserisce violata, infatti, regola l’ipotesi della conversione del pignoramento, per cui il debitore può chiedere di sostituire alle cose pignorate una somma di danaro pari all’importo delle spese e dei criteri del creditore pignorante a di quelli intervenuti. Conseguentemente la somma versata in sostituzione diventa bene pignorato ed il corso degli interessi di mora resta regolato da sistema previsto, per quanto concerne il caso di specie, dalla normativa sul credito fondiario.

Orbene, ai sensi dell’art. 55 T.U. n. 646-1905 l’assegnazione della somma versata in sostituzione del bene pignorato deve essere versata al creditore entro venti giorni dal completamento del versamento, mentre nella fattispecie l’assegnazione fu fatta dopo oltre due anni, onde l’asserita violazione della norma denunciata non sussiste, a parte la stessa nebulosità nella formulazione del vizio denunziato.

Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 71 R.D. 16 luglio 1905 n. 646, sotto il profilo della illegittimità del principio affermato dalla corte del merito sulla “piena fede”, deliberi e dei registri degli Istituti come pure dei verbali tenuti secondo i regolamenti, in presenza di osservazioni mosse, nella fattispecie, all’atto di precetto ed ai conti proposti. La censura è priva di pregio, in quanto l’efficacia probatoria dei libri e dei registri degli Istituti discende dalla stessa normativa invocata (art. 71 R.D. 16 luglio 1905 n. 646 e 19, 1 comma, D.P.R. 7-1976). L’art. 71 infatti testualmente dispone: i libri ed i registri degli istituti, tenuti secondo i loro regolamenti, come pure i loro estratti, fanno piena fede in giudizio tanto contro i creditori che contro i terzi”.

Dal che si desume che il legislatore, con l’espressione normativa riportata, ha inteso dare piena efficacia probatoria in giudizio ai libri ed ai registri degli istituti, come pure ai verbali, sia per la cosiddetta loro “verità estrinseca” sia con riguardo all’efficacia probatoria del loro stesso contenuto, di talché non basta la loro semplice contestazione in giudizio ma occorrerebbe, ad inficiarne di validità il contenuto, la proposizione della querela di falso.

Quanto, infine, all’ultimo motivo, relativo alla pretesa violazione dell’art. 92, I e II comma c.p.c., nella dichiarata condanna dei coniugi Lamiani alle spese del giudizio di secondo grado, dopo l’accoglimento del loro appello incidentale sulla compensazione delle spese in primo grado, va osservato che la censura non merita accoglimento poiché la condanna alle spese del giudizio degli appellati costituisce la logica conseguenza dell’accoglimento totale dell’appello principale del Credito fondiario.

Al rigetto del ricorso fa seguito la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, che liquida in lire 101.200 oltre a lire 700.000 per onorario.
Così deciso nella Camera di Consiglio della III° sezioni civile della Corte Suprema di Cassazione il 12 dicembre 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 19 GIUGNO 1990