Svolgimento del processo
La società per azioni Elettrica SELT Valdarno e la società Romana di Elettricità per azioni, con atto del 2.2.1962, citarono innanzi al Tribunale di Arezzo il sig. Lino Fratini titolare dell’impresa Frea – Forniture materiali inerti – per ottenere la condanna al risarcimento del danno cagionato nell’attuazione dell’attività estrattiva di ghiaia e di sabbia dal letto del fiume Arno. In particolare, dedussero che la sistematica escavazione di ingenti quantitativi dal fiume, in località vicine a S. Giovanni Valdarno, a valle delle opere di presa di una derivazione d’acqua a servizio della centrale termoelettrica di Santa Barbara, appartenente alle attrici, aveva provocato l’abbassamento del livello dell’alveo impedendo la utilizzazione della presa; che la costruzione di una “briglia” trasversalmente al letto del fiume ed a valle della presa, realizzata allo scopo di eliminare gli inconvenienti, non aveva sortito l’effetto desiderato atteso che, nel dicembre del 1961, l’opera non aveva resistito alla forza della corrente delle acque che, trasformatesi in “rapida”, in conseguenza della mutata conformazione del fondo, avevano provocato l’erosione di un lungo tratto della sponda sinistra e del terreno interno di proprietà delle attrici, danneggiando le opere di presa e vari impianti (tra cui un pozzo pierometrico).
Il Fratini contestò il fondamento della domanda e precisò, tra l’altro, che – nel giugno del 1961 – le attrici, in ragione delle particolari condizioni di “magra” del fiume, gli avevano chiesto di costruire le “briglia” traversale di sabbia dal greto del fiume per sollevare il livello delle acque.
Egli sia per conservare i buoni rapporti con le attrici sia per ricavare materiale utilizzabile aveva provveduto – sotto al sorveglianza di funzionari del “Genio Civile” – alla formazione della “briglia”. Nel novembre – dicembre 1961, tuttavia, per le abbondanti precipitazioni atmosferiche e per l’apertura delle “saracinesche” ad opera delle società attrici, la “piena” del fiume aveva travolto la “briglia” e provocato i danni di cui gli si chiedeva il risarcimento ma dei quali non era responsabile.
Con l’entrata in vigore della legge di nazionalizzazione della produzione e della gestione dell’energia elettrica, l’Enel successe alle società attrici.
Il Tribunale di Arezzo – al termine di istruttoria in cui erano state espletate due consulenze tecniche – con sentenza del 9 dicembre 1981, estromise le originarie attrici e condannò il Fratini a risarcire il danno, in favore dell’Enel, nella misura di cento ottanta milioni, oltre la rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata.
Il Fratini appellò la decisione sollevando, innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, anche la questione di competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche. L’Enel propose appello incidentale in ordine alla misura della somma liquidata in suo favore.
La Corte d’Appello fiorentina, con sentenza del 19.6.1984, ritenuta la propria competenza, respinse l’appello incidentale e, in parziale accoglimento della impugnazione principale del Fratini, ridusse la misura del “risarcimento” a lire 61.603.000.
Sull’eccezione di incompetenza del tribunale ordinario, rilevò che il danno di cui si richiedeva il risarcimento non si ricollegava ad un’opera eseguita dalla P.A. o da uno dei provvedimenti che la P.A. aveva il potere di emanare in riferimento ad opere, usi, atti e fatti capaci di interferire sul regime delle acque pubbliche, posto che la domanda di risarcimento si fondava sulla asserita commissione dell’attività di escavazione e si ricollegava alla costruzione della “briglia”; che, con riguardo alla domanda proposta, non vi era questione che – direttamente o indirettamente – incidesse sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque.
Nel merito, la Corte fiorentina affermò la responsabilità del fratini in ordine all’abbassamento del livello delle acque nel tratto interessato, con riferimento alle modalità delle escavazioni, considerato che la condotta del Fratini aveva reso impossibile alla Società elettrica di approvvigionarsi.
Rilevò che il nesso eziologico era dimostrato: dalla maggiore quantità – rispetto alle autorizzazioni – di materiale estratto; dall’illegittimo comportamento del fratini che non poteva non essersi reso conto dell’abbassamento del livello delle acque. Al riguardo, la Corte fiorentina escluse che il ricorso di altri escavatori autorizzati potesse avere incidenza sulla responsabilità del Fratini, tenuto, ex art. 2055 c.c., al risarcimento.
Rilevò, inoltre, la Corte fiorentina che nel valutare il reale pregiudizio patito dall’Enel doveva considerarsi, altre all’impossibilità di funzionamento degli impianti, cagionato dal sensibile abbassamento del livello delle acque, anche la necessità di costruire anticipatamente la “traversa” che avrebbe dovuto, comunque, essere costruita in ragione della generale tendenza all’abbassamento del livello del fiume, almeno nella zona, in cui l’Enel gestiva le due dighe che contribuivano alla causazione del fenomeno.
Osservò la Corte che se il Fratini, con la sua condotta aveva costretto l’Enel ad anticipare la costruzione della “traversa” e, quindi, a spendere anticipatamente, le somme necessarie pari a 187.508.341, il danno doveva determinarsi in base alla capitalizzazione degli interessi sul capitale per il periodo compreso tra la data della costruzione della “traversa” (1965) e la data della costruzione ipotetica (1970) della stessa opera.
I giudici di Appello, infine, esclusero la responsabilità del Fratini per tutte le altre voci di danno, eccezion fatta per quella concernente la sponda sinistra del fiume dopo il crollo della “briglia”, liquidata in lire 9.800.000.
Ricorre per cassazione il Fratini proponendo sei motivi di censura.
Resiste con controricorso l’Enel che formula ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Sono state prodotte “memorie”.
Motivi della decisione
I ricorsi, principale ed incidentale, vanno riuniti, ai termini dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo, il ricorrente principale denunzia violazione dell’art. 140, lett. e) del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, per avere la Corte di merito escluso la competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche.
Al riguardo, il ricorrente deduce che il rigetto della eccezione è conseguito al convincimento che la competenza della T.R.A.A.P.P. concerne i danni derivati ai privati per la esecuzione o manutenzione di opere idrauliche. Ma, nella fattispecie, secondo il ricorrente, sussisteva un oggettivo conflitto di carattere materiale fra due attività “lecite ed autorizzate” in occasione di diversi modi di utilizzo del bene demaniale.
All’origine della controversia, in definitiva, vi sarebbero state una “concessione di derivazione” ed un'”autorizzazione alla escavazione” del letto del fiume, le cui realizzazioni si erano influenzate vicendevolmente ed inevitabilmente.
Di conseguenza, il criterio discriminatorio della competenza funzionale del T.R.A.A.P.P. enunciato dalla Corte Suprema (danni direttamente dipendenti dalla esecuzione o manutenzione di opere;
dalla pronunzia di provvedimenti concernenti il regime delle acque;
danni non solo occasionalmente connessi con il regime delle acque) non soccorrerebbe la decisione impugnate essendo, quelle realizzate, opere ed attività “strettamente connesse” al regime delle acque pubbliche.
Assume, inoltre, il ricorrente che l’esercizio di poteri da parte del genio Civile e, quindi, dalla P.A. sarebbe innegabile e determinerebbe la competenza del giudice specializzato dopo le precisazioni del T.U. n. 1775 del 1933 ed il superamento di ogni distinzione fra situazioni aventi ad oggetto interessi legittimi o diritti soggettivi e situazioni concernenti provvedimenti dell’Autorità Amministrativa e le loro conseguenze dannose.
L’art. 140, lett. e), del T.U. n. 1775 del 1933, facendo esplicito richiamo all’art. 2 del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, opererebbe un espresso riferimento alla legislazione anteriore almeno nel senso che la competenza funzionale del T.R.A.A.P.P., in tema di risarcimenti dei danni, sussisterebbe ex art. 2 del R.D. 25 luglio 1904, n. 523 (già attributivo della competenza al giudice ordinario) allorché la domanda risarcitoria si ricollega ad usi, atti e fatti che possono avere relazione con il buon regime delle acque. Come nella specie.
Infine, rileva il ricorrente, la legge n. 1643 del 1962, riconoscendo la preminenza degli aspetti pubblicistici dell’attività di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, considera opere pubbliche quelle necessarie per il servizio dell’Ente pubblico. E mentre l’opera realizzata per il ripristino della funzionalità dell’opera “di presa”, in quanto mezzo di regimazione delle acque soggetto alla preventiva approvazione del genio civile, è opera pubblica, la domanda giudiziale dell’Enel si risolve nella richiesta di “rimborso” delle spese per “quella ” realizzazione.
Con la conseguenza che l’art. 140, lett. e), del R.D. n. 1775 del 1933 deve ritenersi, secondo il ricorrente, comprendere i casi in cui è la P.A. (Enel) a chiedere il risarcimento del danno derivato dalla necessità di eseguire l’opera pubblica.
La censura non può essere accolta. Questa Corte, con la sentenza n. 3049-83, nell’individuare l’ambito di applicazione dell’art. 140, lett. e), del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, con riferimento all’azione risarcitoria per fatto illecito inerente alla esecuzione a manutenzione di opera idraulica, ha presupposto – fermo il collegamento tra il danno e l’opera, per effetto del vizio di costruzione o manutenzione e non di mera occasione – che l’accertamento e la liquidazione del danno interferiscano sul regime giuridico delle acque pubbliche attraverso l’esame o la definizione di questioni attinenti ad atti o a provvedimenti dell’amministrazione nell’esercizio dei suoi poteri di governo delle acque pubbliche, in relazione ad interessi generali. Ed ha escluso la competenza del giudice specializzato in difetto “anche” del solo ultimo requisito.
Questa Corte, quindi, ha negato che la pretesa risarcitoria del danno cagionato dalla esecuzione o dalla manutenzione di un’opera idraulica nonché, a miglior ragione, da attività genericamente connessa alle acque pubbliche competa, di per sé, al T.R.A.A.P.P. (anziché all’A.G.O.) e, sottolineando condizioni e requisiti per la competenza del giudice specializzato, ha considerato le esigenze fondamentali valutate e tutelate dal legislatore. Principi, quelli esposti, ribaditi da questa Corte con la sentenza n. 5883-83 in cui espressamente, si è esclusa la competenza dei Tribunali delle acque, in relazione alle controversie di responsabilità per danni solo occasionalmente ed indirettamente connessi con vicende materiali o con provvedimenti attinenti al regime delle acque pubbliche, e per i danni che non siano effetto diretto dell’opera idraulica perché ascrivibili al comportamento colposo dell’esecutore dell’opera (cfr. anche Cass. n. 937-84; n. 6269-85; n. 631-86; n. 5497-86; n. 3485-87 e, sostanzialmente, S.U. n. 5828-86).
Orbene, mentre nella giurisprudenza citata – cui questa Corte aderisce senza riserve – appare all’evidenza che la connessione occasionale del danno all’opera idraulica o alle acque pubbliche non determina la operatività dell’art. 140, lett. e), del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (sicché l’attività di escavazione dell’alveo fluviale e l’estrazione del relativo materiale consentita al privato per il soddisfacimento di finalità proprie – e non pubbliche – ove determini danno, non è sottratta all’A.G.O.) come non la determina il danno conseguito alla difettosa esecuzione di un’opera (traversa), va sottolineato che la realizzazione della cosiddetta “briglia” – sotto l'”asserita” sorveglianza dei funzionari del Genio civile – non sposta i termini della questione.
Se, come ha ritenuto la Corte di merito, la realizzazione dell’opera da parte del privato concessionario ed il danno cagionato non sono ricollegabili alla P.A. che gestisce l’opera e se l’accertamento e la liquidazione del danno non interferiscono nel regime giuridico delle acque, non si determina la competenza del giudice specializzato atteso che, al riguardo, certe circostanze di produzione del danno sono indifferenti.
L’analisi specifica dei rilievi e delle deduzioni formulate dal ricorrente consentirà un miglior esame della questione.
Per escludere la connessione diretta tra danno, da un lato, ed attività umana, realizzazione di opere, regime delle acque, dall’altro, è sufficiente sottolineare che la connessione è diretta solo se è “attuale” la interferenza col regime delle acque o se, in ordine ai danni, il loro accertamento e la loro liquidazione sono connessi, in qualche modo, col regime giuridico delle acque.
Nella specie, non solo la menzionata interferenza non è “attuale” ma non v’è mai stata perché all’accertamento ed alla liquidazione si è potuto procedere del tutto indipendentemente. Ed invero, l’Enel, ed i suoi danti causa, hanno chiesto il risarcimento di un danno la cui determinazione non è in alcun modo ed in alcuna misura dipendente dal regime delle acque fluviali in cui era stata realizzata l’attività estrattiva di ghiaia e sabbia ed in relazione alle quali v’era stata la costruzione della “briglia”. Al punto che il procedimento di accertamento e di determinazione del danno sarebbe stato identico se la condotta e l’evento si fossero realizzati in una fattispecie incontestatamente estranea a qualsiasi regime pubblico.
Tanto in riferimento alla normativa del 1904 (art. 2 del R.D. 25 luglio 1904, n. 523), dal cui richiamo il ricorrente trae argomento per sostenere, come si è già esposto, la competenza del T.R.A.A.P.P., quanto in ordine alla legge n. 1643 del 1962, anch’essa menzionata per avvalorare la tesi della competenza del giudice specializzato è agevole osservare che le considerazioni formulate a proposito del come debba intendersi la “diretta” connessione col regime delle acque pubbliche costituiscono adeguata confutazione delle conclusioni del ricorrente. Alla cui tesi neppure giova la circostanza che il costo della “traversa” ricostruita poi dall’Enel e, quindi, dalla P.A., per evidenti ed incontestabili fini pubblici, rappresenterebbe una parte del danno sofferto. Si ripropone, infatti, una volta di più, la necessità di distinguere, con riferimento alla competenza, fra connessione diretta ed indiretta del danno e l’occasione di affermare che, nella specie, la ricostruzione della “traversa” concreta un danno solo “indirettamente” connesso al “regime giuridico” delle acque pubbliche.
Per le ragioni già sufficientemente esposte.
Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell’ art. 2043 c.c.; dell’art. 1227 c.c.; dell’art. 2055 c.c.; dell’art. 2697 c.c.; degli artt. 112, 115, 116 e 277 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta che la Corte di merito, dopo aver individuato il legittimo e giusto criterio di quantificazione del danno per l’anticipata costruzione della “traversa” nella capitalizzazione degli interessi sul capitale, per il tempo intercorso tra la data di effettiva costruzione (1965) e quella della presumibile costruzione dell’opera avrebbe, poi, fissato – arbitrariamente – tale data nel 1970, nonostante il C.T.U. avesse escluso la possibilità di determinazione.
Al riguardo, sostiene che la Corte di merito avrebbe del tutto trascurato l’incidenza delle escavazioni (lecite) sulla determinazione della data: così omettendo di considerare elementi decisivi di valutazione.
La censura non è fondata.
Ed invero, la Corte fiorentina, esaminando lo specifico motivo di gravame e gli elementi acquisiti al processo, ha sottolineato che se la individuazione della data di “costruzione ipotetica” non era stata effettuata da alcuno, “nemmeno dal C.T.U.”, ciò non impediva di presumerla in base agli elementi acquisiti, nell’assenza di elementi probatori offerti dall’attrice su cui “in fin dei conti … incombe, ogni eventuale necessaria approssimazione”.
E ritenendo certo che gli scavi del Fratini avevano sensibilmente anticipato il fenomeno; che, qualora non fossero avvenute escavazioni, per avere un abbassamento dell’alveo pari a quello avutosi dal 1960 al 1962 sarebbe occorso, con il solo fatto della ritenzione, “un periodo di tempo assai più lungo”, ha determinato nell’esercizio del potere di valutazione suo proprio, la data (presumibile) della necessaria esecuzione dell’opera, almeno cinque anni più tardi (1970) di quella della costruzione reale.
È convincimento di questa Corte che le conclusioni della sentenza impugnata sullo specifico punto, oltre ad essere rigorosamente logiche, sono anche giuridicamente corrette ed assistite da adeguata motivazione tesa a spiegare proprio il perché del periodo di cinque anni. Che, con ogni evidenza, è stato determinato in considerazione delle lecite escavazioni effettuate dal Fratini.
In definitiva, “il periodo di tempo assai più lungo”, rispetto al 1960-1962, si imponeva anche tenendo in conto l’attività di escavazione del Fratini, di cui, nella stessa sentenza, la Corte di merito ha espressamente dato atto.
Conclusivamente, le denunciate illegittimità – che indurrebbero all’esercizio del potere di sindacato attribuito a questa Corte dall’ordinamento – non sussistano.
Con il terzo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.; insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Il ricorrente contesta che la causa del danno di che trattasi potesse ravvisarsi – come affermerebbe la sentenza – “nell’azione (del Fratini) nel suo complesso”.
Rileva: che, prescindendo dal danno provocato alla sponda in conseguenza del travolgimento della “briglia”, non si sarebbero verificati altri danni e che la costruzione della “traversa” sarebbe stata effettuata per eliminare “un pericolo di danno futuro”, indipendentemente dall’opera di escavazione e di estrazione; che gli si contesterebbero ammissioni così rigorose da esulare dal canone della normale prevedibilità; che, erroneamente, si sarebbe dedotta la natura colposa della condotta dalla rilevazione di un evento potenzialmente dannoso (abbassamento del livello delle acque) e non dalla posizione soggettiva del Fratini.
E, al riguardo, censura la motivazione della decisione.
In realtà, i giudici della sentenza impugnata, con ampi riferimenti agli elementi acquisiti, hanno esplicitamente affermato che doveva attribuirsi al Fratini la responsabilità dell’abbassamento delle acque in quel tratto dell’Arno e della impossibilità per la società elettrica di approvvigionarsi attraverso la c.d. opera di presa essendo innegabile il nesso eziologico fra escavazione e riduzione del livello delle acque; che, mentre non era legittimo additare la responsabilità del Fratini esclusivamente nella escavazione eccedente la misura consentita, doveva aversi riguardo all’azione “nel suo complesso”. Né l’agente, che – secondo la Corte di merito – pur conosceva l’esistenza e le caratteristiche degli impianti “Enel”, poteva giustificarsi richiamandosi alla concessione rilasciatagli (anche il concessionario che ha rispettato i limiti del provvedimento amministrativo può essere tenuto al risarcimento danni ex art. 2043 c.c. in determinate circostanze) o alla condotta di altri escavatori operanti, per altro, ben più a monte degli impianti dell’Enel (vi sarebbe stata, comunque, responsabilità solidale).
Lo sghiaiamento, poi, aveva provocato, oltre alla riduzione delle resistenze delle correnti subalvee, anche l’abbassamento e l’impoverimento della falda che alimentava i sei pozzi destinati a mettere a disposizione acqua relativamente limpida in caso di gravi torbide del fiume.
Orbene, nel valutare la tesi e le argomentazioni del ricorrente, deve considerarsi che il Fratini è stato condannato dalla Corte fiorentina al pagamento di una somma di danaro (pari a lire 61.603.000 anziché in quella di lire 180.000.000) a titolo di risarcimento del danno ravvisato per lire 9.800.000 in relazione ai danni riportati dalla sponda sinistra in prossimità della torre piezometrica, in occasione della rottura della rudimentale traversa o briglia costruita dal Fratini nel 1961 e per lire 51.803.000, per l’anticipata costruzione dell’opera da parte dell’Enel. La prima voce è stata dai giudici d’appello riconosciuta, dunque, per danni da erosione della sponda per l’abbrivio del corso d’acqua in seguito al salto di quota dell’alveo determinato dall’escavazione del Fratini;
la seconda perché gli scavi anticipavano sensibilmente la necessaria realizzazione dell’opera costruita nel 1965 (cfr. quanto detto in occasione dell’esame del secondo motivo).
Lungi dall’ascrivere al Fratini generici comportamenti, dolosi o colposi, la sentenza impugnata li ha ravvisati nell’attività di escavazione e di estrazione della ghiaia; in una attività che per le circostanze in cui fu posta in essere, doveva considerarsi quanto meno colposa e produttiva di un danno “immediato”, non futuro; tanto che l’evento dannoso si era già verificato. Ed allora, questa Corte deve sottolineare che l’espressione “nell’azione nel suo complesso” non aveva significato generico perché fu formulata con l’intento di richiamare i vari aspetti illeciti della condotta dell’agente di cui la sentenza ha specificato doverosamente, i contenuti; deve escludere la non attualità del danno che, al contrario, è descritto come verificatosi; deve respingere la deduzione secondo cui l’evento dannoso esulava dalla normale prevedibilità: al riguardo, è sufficiente ribadire che la valutazione di “prevedibilità ” va formulata con riferimento alle cognizioni che il soggetto ha o dovrebbe avere, in ragione delle sue conoscenze e delle attività che espleta.
E non può, questa Corte, in sede di legittimità, censurare la valutazione di merito esplicitate nella sentenza perché immune – come si è osservato – da vizi logico-giuridici.
Con il quarto motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. sotto il profilo del rapporto fra comportamento e danno ingiusto; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.
Ravvisato il danno nel “facere” imposto all’Enel, il ricorrente lamenta un fondamentale errore prospettico della sentenza che, lungi dal ricercare la soluzione tecnicamente più idonea a garantire la piena funzionalità dell’opera nel suo complesso, avrebbe dovuto additare la soluzione “necessaria” per eliminare gli effetti della condotta del ricorrente.
Secondo costui, il “contenuto” del danno non avrebbe essere dovuto determinato in modo naturalistico bensì con riferimento alla responsabilità ascrivibile all’autore del danno. Sicché, nella specie, sarebbe stato sufficiente abbassare l’opera di presa senza ricercare la soluzione più idonea, essendo certo che non si stava per attingere la quota delle argille che avrebbe messo in pericolo la produttività dei pozzi collegati all’impianto.
In definitiva, la “traversa” assicurava la funzionalità dell’opera di presa non solo in relazione ai fenomeni ed alle attività che avevano determinato l’abbassamento del livello dell’alveo, bensì in relazione all’intero problema della irregolarità del livello, senza che si potesse porre un diretto collegamento tra danno ingiusto e costruzione della traversa.
Il motivo non è fondato.
Sembra evidente dai rilievi esposti che, con la decisione impugnata, i giudici sarebbero incorsi in gravi errori di valutazione ponendo tra il concetto di “necessità ” e quello di “maggiore idoneità ” una inammissibile equiparazione, esclusa dal buon senso comune. E stando ad alcune espressioni letterali usate, l’impressione potrebbe divenire convincimento. Ma non è questa la realtà rappresentata dalla Corte fiorentina. Perché l’espressione “soluzione tecnicamente più idonea a garantire la piena funzionalità ” non presuppone affatto una comparazione con altra soluzione ugualmente idonea a rimuovere il “danno cagionato” e, tuttavia tecnicamente meno efficace; ma che consideri – anche – i tempi successivi e l’opportunità di un’opera idonea a far fronte a prevedibili accadimenti, non collegabili, per altro, in termini di effetto e causa, alla condotta illecita del Fratini.
Con l’espressione, la Corte di merito ha inteso, in realtà, affermare che quella era l’unica opera idonea a garantire la piena funzionalità.
Ciò appare chiaramente dal rilievo che lo sghiaiamento dell’alveo aveva provocato non solo un generale abbassamento del livello delle acque ma anche una riduzione delle resistenze che incontravano nel proprio moto le correnti subalvee, quelle resistenze volte ad assicurare la “preferenziale permeazioni dell’acqua nelle alluvioni laterali”.
Lo sghiaiamento aveva provocato, di certo, l’impoverimento della falda che alimentava i sei pozzi che avrebbero perso “addirittura” la loro produttività se la quota dell’alveo avesse raggiunto la quota delle argille. E, quindi, dal sicuro rilievo dell’impoverimento della falda che alimentava i sei pozzi, (cagionato dallo sghiaiamento effettuato dal Fratini), la Corte di merito ha tratto il convincimento della necessità della costruzione della “traversa” mentre non ha dato rilievo alla totale perdita della produttività che “addirittura” si sarebbe verificata se la quota dell’alveo avesse raggiunto la quota delle argille.
La Corte fiorentina, conclusivamente, ha ritenuto di dover necessariamente considerare l’esecuzione di un’opera idonea anche a far fronte all’abbassamento e all’impoverimento (accertato) della falda che alimentava i sei pozzi.
Alla stregua di tali considerazioni, questa Corte esclude che la sentenza impugnata abbia ascritto, sostanzialmente, al Fratini un danno non riconducibile alla sua condotta e di cui non doveva rispondere mentre constata la legittimità dell’affermazione secondo cui il solo abbassamento dell’opera di presa contrariamente a quanto assume il ricorrente – non avrebbe neutralizzato il danno cagionato dal Fratini.
Con il quinto motivo, si denunzia omessa motivazione in ordine al criterio di determinazione del valore dell’anticipazione dell’opera compiuta dall’Enel.
Secondo il ricorrente, la capitalizzazione degli interessi al tasso del 5% sulla somma di lire 187.500.000 lire, con l’importo di lire 51.803.000 anziché quello di lire 46.875.000 (quale risulterebbe sulla base di lire 9.375.000 per cinque anni) rivelerebbe un errore sui presupposti numerici e, in particolare, il non consentito, indebito riferimento agli interessi composti (anziché agli interessi semplici).
Con contestazione, in questo caso, dello stesso criterio della capitalizzazione ove dovesse ritenersi computabile l’interesse composto.
Il motivo va respinto.
La sentenza impugnata non ha inteso porsi, in via generale, il problema della capitalizzazione degli interessi con riferimento alle obbligazioni pecuniarie o alle somme dovute a titolo di risarcimento del danno e, quindi, esaminare i limiti dell’anatocismo, ma ha semplicemente stabilito il criterio della capitalizzazione.
Nella legittimità di siffatto criterio, in quanto idoneo – nella fattispecie – a determinare il danno ed essendo chiari e precisi i presupposti di fatto, la eventuale revisione contabile del calcolo è ottenibile attraverso altri, specifici mezzi processuali. Al giudice di legittimità è sottratto ogni intervento al riguardo. (cfr. Cass. n. 616-62; n. 4105-89; n. 5779-85; n. 4211-85; (Cass. 1° aprile 1987 n. 3152; Cass. 16 giugno 1987 n. 5316; Cass. 30 maggio 1989 n. 2596).
Con l’ultimo motivo del ricorso principale, infine, si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., in relazione all’art. 1227 c.c.; violazione degli artt. 115-116 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.). Si lamenta, in particolare, che la Corte fiorentina non abbia tenuto conto delle risultanze istruttorie (prima consulenza di ufficio) che pure avevano prospettato la corresponsabilità dell’Enel per la mancata opposizione alla costruzione dell’opera provvisoria (“che faceva ben prevedere il suo crollo alla prima piena”).
E, in definitiva, poiché il danno riparato dall’Enel era stato prodotto dal concorso di colpa del Fratini e dell’Enel, la sentenza impugnata avrebbe, illegittimamente, applicato gli artt. 2043 e 2056 c.c. per non aver tenuto conto del fatto colposo del creditore della prestazione; per aver ignorato le risultanze istruttorie e la violazione da parte dell’Enel, dell’onere di diligenza imposto dall’art. 1227 c.c.
La censura non è fondata.
Già nell’esaminare il terzo motivo di ricorso, si è sottolineato che la Corte fiorentina, condannando il Fratini al pagamento di una somma di denaro, ha affermato, in relazione alle due sole componenti del danno ascrittegli, la “esclusiva” responsabilità del Fratini, esplicitamente identificandola nell’attività di escavazione sì da provocare:
a) l’erosione della sponda per l’abbrivio del corso d’acqua (rottura della rudimentale traversa, o briglia, costruita dal Fratini nel 1961);
b) la necessaria anticipazione della costruzione della “traversa” da parte dell’Enel.
Trattasi di valutazioni della responsabilità “esclusiva” del danno che, in quanto sorrette da una adeguata motivazione ed immuni da vizi logico giuridici, si sottraggono al sindacato di legittimità di questa Corte sia sotto il profilo del dedotto malgoverno delle risultanze processuali sia in relazione agli obblighi che si assumono violati dallo stesso danneggiato (e che pur gli avrebbero fatto carico).
Entrambe le doglianze trovano insuperabile ostacolo nella funzione tipica del giudice di merito che ben può, nel considerare la incidenza causale di più fattori, escluderne alcuni ad additare quale tra essi ha la effettiva, piene idoneità a produrre l’evento. Sempre che la instituzione trovi conforto logico nella motivazione che la sorregge e non confligga con altre norme. È il criterio adottato dalla Corte fiorentina allorché ha attribuito alla condotta del Fratini “esclusiva” idoneità causale.
Può solo aggiungersi:
a) “per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno, basta dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno, si sarebbe egualmente verificato senza quell’antecedente (Cass. 16 giugno 1984 n. 3609 e 21 dicembre 1984 numero 6652)”. Dalla sentenza impugnata emerge chiaro, per l’appunto, il convincimento che la sola condotta del Fratini determinò l’evento dannoso e che, in particolare, l’efficienza causale della condotta dell’agente (Fratini) neppure faceva porre il problema di eventuali concause;
b) è arbitrario considerare “concausa omissiva” il mancato comportamento di un soggetto che non era tenuto – come nella specie – ad agire sulla base di esigenze immediate ed urgenti, perché non sussiste un dovere del danneggiato di porre nel nulla gli effetti della condotta del responsabile, accollandosi attività onerose o dispendiose (cfr. Cass. 275-65; 3817-69; 304-75; 4705-80; 2651-82);
c) È arbitrario estendere il principio secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (cfr. art. 1227 c.c.) al caso in cui si assuma l’esistenza anche del solo “concorso di colpa” perché la citata norma attiene alla ipotesi in cui il comportamento del danneggiato sia stata “unica” causa efficiente dell’evento e si riferisce alle ulteriori conseguenze dannose che per la mancanza di diligenza abbiano aggravato il danno diretto (Cass. 4 maggio 1956 n. 1398; Cass. 29 ottobre 1973 n. 2826; Cass. 15 marzo 1989 n. 1306);
L’interprete di dette circostanze è sempre e solo il giudice di merito fermo l’obbligo di motivare sull’attribuzione della colpa.
Come nella specie.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Enel denuncia violazione e falsa applicazione delle norme disciplinanti la causalità dell’illecito e, fra l’altro, degli artt. 40-41 c.p.; degli artt. 2697-1223-1227 c.c.; dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.).
L’Enel assume che la sentenza impugnata ha violato il principio di distribuzione dell’onere probatorio laddove ha porto a carico dell’Enel la dimostrazione della esatta data di costruzione della “traversa”. E sostiene che, in realtà, si sarebbe fatta applicazione di una “causa alternativa ipotetica”, estranea al nostro ordinamento.
La tesi, seppure espressa con particolare sensibilità giuridica, non trova conforto nelle risultanze di causa. Ed invero, i giudici di appello hanno individuato il danno nella anticipata realizzazione dell’opera e la causa esclusiva dell’evento dannoso nella condotta del Fratini. Sicché, lungi dall’introdurre nel processo eziologico una causa alternativa ipotetica, è stata additata una sola causa: specifica e certa. Al punto che – secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata – è stata sostanzialmente esclusa qualsiasi causa concorrente.
Quanto al dedotto sovvertimento delle regole sull’onere probatorio, la Corte di merito, in definitiva, si è conformata alle fondamentali esigenze per cui l’attore deve provare i fatti posti a fondamento della sua domanda.
Nella specie, la Corte di merito – che, tra l’altro, ben può valutare gli elementi acquisiti al processo indipendentemente dalla posizione della parte che li ha forniti – ha ritenuto che l’Enel dovesse offrire al giudice non già la prova degli elementi idonei a “ridurre” la entità del danno risarcibile sicché, profilandosi come “eccezione” all’assunto probatorio dell’istante, l’onere relativo sarebbe gravato dall’altra parte – bensì gli elementi idonei a provare “l’entità ” del danno, attraverso una delle sue componenti necessarie nella specie: “la data” della presumibile costruzione dell’opera. Correttamente, dunque, è stato affermato che l’onere probatorio concerneva l’Enel.
E mentre la Corte fiorentina, ritenendo di poter risalire dai fatti noti all’elemento necessario, lo ha “presuntivamente” accertato; questa Corte, riconoscendo nella valutazione logicità e corrispondenza alle norme di diritto, ne sottolinea la legittimità e pone in evidenza alla stregua delle specifiche richieste formulate – la carenza di interesse dell’appellante incidentale.
Con il secondo motivo, l’Enel denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c.). Lamenta, in particolare, il mancato riconoscimento di alcune voci di danno ribaltando, così, la decisione di primo grado – e denunzia vizi di motivazione al riguardo.
Ma la Corte fiorentina ha escluso che si ponesse un rapporto eziologico fra la condotta del Fratini e la realizzazione di alcune opere effettuate dalle danti causa dell’Enel o dall’Enel; come ha escluso il nesso di causalità tra la condotta del ricorrente degli anni 1960-61 e di danni cagionati dalla sponda destra del fiume nel 1966 ed alcune componenti della terza voce di danno. Trattasi di valutazione di fatto che, in quanto logicamente motivate e giuridicamente corrette (assenza del nesso eziologico), sono incensurabili in questa sede di legittimità.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, infine, si denunzia violazione, falsa applicazione ed omessa motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione agli artt. 2043-2050-2051 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), non essendo state correttamente valutate e rilevate né le responsabilità ex artt. 2050 e 2051 c.c. né la mancata ottemperanza agli oneri probatori in tema di prova liberatoria.
La censura va respinta.
Essa, per quanto attiene alla valutazione delle responsabilità, involge – una volta di più questioni sottratte al sindacato di legittimità di questa Corte; per quanto attiene alle violazioni in tema di prova liberatoria è priva di fondamento perché le responsabilità non poste a carico del Fratini sono state escluse per carenze attinenti al nesso di causalità materiale e non per diversa disciplina dell’onere della prova in tema di attività pericolosa o delle cose in custodia.
Secondo questa Corte (Cass. n. 507-75; Cass. n. 3691-69; Cass. 20 luglio 1972 n. 2487; Cass. 28 ottobre 1980 n. 5799; Cass. 8 maggio 1984 n. 2796; Cass. 22 luglio 1987 n. 522; Cass. 21 giugno 1984 n. 3678; Cass. 25 novembre 1988 n. 6340) presupposto per l’applicazione degli artt. 2050 e 2051 c.c. è la sussistenza del nesso di causalità materiale alla cui prova è tenuto il danneggiato.
Alla stregua di questa premessa è superfluo ogni altro esame.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Spese compensate. Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Così deciso in Roma il 9 giugno 1989.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 30 OTTOBRE 1990.