Svolgimento del processo

1. Luigi Monteverdi chiese al tribunale di Milano di ridurre – nei limiti della quota a lui riservata – i legati che il proprio padre Annibale – deceduto il 25.2.1976 – aveva disposti, nel testamento olografo pubblicato il 4 febbraio 1976, a favore di Ancilla (detta Cily) Renato Dario (detto Dario) Luigi Cesare Vincenzo (detto Gino) e Claudio Monteverdi, dell’Ospedale di Asola, degli orfanotrofi maschile (detto dei Martinitt) e femminile (detto delle Stelline) di Milano e della Fondazione “pro Juventute” di don Gnocchi di Milano. 2. Il Tribunale, con sentenza del 18 aprile 1983:

a) diede atto che l’asse ereditario, al momento dell’apertura della successione, ammontava a lire 701.252.000, da cui si dovevano detrarre le passività ereditarie, inclusa la somma di lire 57.880.299 di cui l’attore era creditore nei confronti del “de cuius”, e che la porzione disponibile ammontava a lire 321.687.850 pari al 45,87% dell’asse ereditario,

b) ridusse in misura proporzionale i legati e – tra l’altro -:

c) attribuì all’attore l’immobile di Via S. Giusto n. 5 in Milano

– legato alla “Fondazione Pro Juventute” – subordinatamente al versamento in favore di questa della somma di lire 184.375.758 (con interessi legali dal 23 gennaio 1976 al saldo);

d) dispose, con separata ordinanza, la rimessione degli atti al giudice istruttore per la predisposizione di un progetto per la divisione in natura tra l’attore e i detti Orfanotrofi, dell’immobile di via Washington n. 25 in Milano, a questi ultimi legato.

3. La fondazione Pro Juventute propose appello lamentando, fra l’altro:

a) che erroneamente il tribunale aveva attribuito all’attore l’intero immobile di via S. Giusto ritenendolo, a torto, non comodamente divisibile;

b) che, comunque, sulla somma di denaro posta a carico dell’attore, spettavano anche gli interessi sugli interessi; 4. L’attore propose appello incidentale per i seguenti motivi:

a) il tribunale avrebbe dovuto detrarre dall’asse ereditario – a norma dell’art. 556 c.c. non soltanto la somma di lire 57.880.299 a lui dal “de cuius” dovuta, ma anche le altre passività elencate nell’inventario redatto da notaio a seguito dell’accettazione che in tale forma egli aveva fatto dell’eredità.

b) il tribunale avrebbe dovuto, inoltre:

1) rivalutare detto importo in base agli indici ISTAT;

2) riconoscergli gli interessi legali sulla somma così rivalutati.

5. Proposero appello incidentale anche i quattro Monteverdi deducendo che sulla somma loro dovuta dall’attore il tribunale avrebbe dovuto liquidare – tra l’altro – gli interessi anatocistici.

6. Gli Orfanotrofi eccepirono l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’attore perché, nel procedimento avanti al giudice istruttore per la divisione in natura, tra loro e l’attore dell’immobile di via Woschington, il giudice medesimo, predisposto il progetto, aveva, sull’accordo delle parti, attribuito la quota con la determinazione dei conguagli e, dopo il pagamento di questi, aveva revocato il sequestro giudiziario a suo tempo concesso sull’immobile, disposto l’immissione di ciascuno condividente nel possesso della quota attribuita, ordinato al conservatore dei RR.II. la trascrizione del verbale di attribuzione e dichiarata l’estinzione del processo con ordinanza ormai invocabile;

7. La corte milanese, con la sentenza impugnata, tra l’altro:

a) rigetto l’appello incidentale dell’attore, ritenendo:

1) che le risultanze dell’inventario redatto a norma dell’art. 484 c.c. erano “state superate dalle successive indagini di ufficio volte alla determinazione dell’asse” ereditario;

2) che la somma di lire 57.880.299 non poteva essere rivalutata trattandosi di debito di valuta;

3) che – in ogni caso – nei confronti degli Orfanotrofi vi era stata “implicita rinunzia” dell’attore all’impugnazione incidentale proposta per le ragioni e i fatti indicati dagli Orfanotrofi medesimi;

b) accolte in parte gli appelli della Fondazione e dei fratelli Monteverdi e riconobbe loro gli interessi anatocistici;

c) quanto alla doglianza sulla divisibilità dell’immobile di via S. Giusto ribadì il convincimento espresso dal primo giudice sulla base della c.t. di ufficio, e cioé che l’immobile pur divisibile per sua natura, non lo era comodamente perché “l’eventuale divisione, in sostanza, ne avrebbe comportato un deprezzamento”, e osservò che, di fronte a tale ragione addotta dal c.t., la Fondazione non aveva opposto una diversa valutazione sulla comodità della divisione, “a nulla rilevando che l’immobile fosse composto di distinti corpi se poi non si dimostrava che l’eventuale divisione non avrebbe comportato deprezzamento”, ragion per cui, in conformità dell’art. 560-2 C.C., l’immobile era stato lasciato per intero nell’eredità.

8. Ricorrono:

A) Luigi Monteverdi per i seguenti motivi:

I. Violazione dell’art. 1224 C.C.: pur trattandosi di un debito di valuta, la corte avrebbe dovuto ugualmente rivalutare la somma di lire 57.880.299.

II. Violazione dell’art. 1282 c.c.:

a) la corte nulla disse quanto al motivo con cui egli si era doluto che il tribunale non aveva liquidato su dette somme gli interessi corrispettivi;

b) per effetto di tale riconoscimento si doveva ricalcare la quota disponibile.

III. Violazione dell’art. 556 C.C.: la corte non spiegò in modo sufficiente quali fossero le “successive indagini” che, a suo dire, avrebbero “superato” le risultanze dei verbali d’inventario quanto ad altre passività da detrarre dal “relictum”.

IV. Violazione dell’art. 1283 C.C.:

erroneamente la Corte riconobbe, a favore degli Orfanotrofi e dei quattro Monteverdi, gli interessi anatocistici sulle somme di denaro loro dovute poiché tali somme esprimevano un debito di valore e a tale categoria di debiti l’anatocismo non è applicabile.

B) La Fondazione “Pro Juventute” per il seguente motivo: Violazione dell’art. 560 c.c. e difetto di motivazione: a) la Corte non diede adeguata motivazione del rigetto del motivo d’appello concernente la comoda divisibilità dell’immobile di Via S. Giusto;

b) la corte andò “extra petita” perché nessuna delle parti aveva chiesto l’attribuzione dell’immobile per intero.

9. I quattro Monteverdi e gli Orfanotrofi hanno depositato separati controricorsi.

L’Ospedale di Asola non si è costituito.

Motivi della decisione

In ordine ai ricorsi, riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si osserva quanto segue.

Il ricorso principale:

A) è inammissibile nei confronti degli Orfanotrofi perché precluso dalla mancata impugnazione del capo della sentenza della corte milanese con cui l’analogo appello proposto dal ricorrente fu dichiarato inammissibile nei confronti dei medesimi per precedente “rinuncia” di lui (ved. sub. a.2);

B) è infondato nei confronti degli altri perche: I – II – a norma dell’art. 556 c.c. l’ammontare della quota disponibile si determina (con una prima operazione) formando una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto, al tempo della morte, e poi (seconda operazione) detraendone i debiti; siccome il mancato a cui riferire la determinazione del valore dei beni debiti (attivo) e la determinazione dell’entità dei debiti (passivo) è unico (tempo della morte) una volta effettuata la detrazione, pervenendosi in tal modo a un dato omogeneo (attivo) contrassegnante il “relictum” (a cui sommare il “donatum” – terza operazione – per il calcolo della quota disponibile) non è concepibile procedere ad una rivalutazione e-o ad una liquidazione di interessi su qualcosa (credito) che più non esiste come tale; pertanto, mentre la diversa motivazione adottata dalla corte milanese – punto 7. a)2) – va soltanto corretta ai sensi dell’art. 384-2 c.p.c., la doglianza della mancata motivazione in ordine alla liquidazione degli interessi non può sortire, in quanto fine a sé medesima, la cassazione della sentenza sul punto;

III. La Corte di merito intese dire che delle passività risultanti dai verbali d’inventario il c.t. contabile aveva tenuto conto, e di fronte a tale stringata ma sufficiente motivazione il ricorrente non si spinge ad affermare – ciò che sarebbe stato rilevante – che le “altre passività” non fossero state estinte al momento della indagine consulenziale;

IV. E’ vero che l’anatocismo non è applicabile ai debiti di valore (e infatti l’art. 1283 c.c. che lo contempla è posto nella Sezione regolante la speciale categoria delle obbligazioni pecuniarie) ma il ricorrente non ha dimostrato di avere interessa a sollevare (nei confronti dei quattro Monteverdi) la questione, in quanto una decisione conforme a legge sul punto avrebbe – si – comportato da un canto l’esclusione degli interessi sugli interessi ma anche il riconoscimento, dall’altro, della rivalutazione ulteriore del debito; l’interesse del ricorrente potrebbe ritenersi sussistente se egli avesse allegato e dimostrato che una rivalutazione del debito avrebbe comportato per lui un minore aggravio dell’anatocismo.

Il ricorso incidentale è fondato quanto alla prima censura (la seconda tocca un punto non rilevante – il non avere alcuna delle parti – legatario e legittimario – chiesto esplicitamente l’attribuzione dell’immobile per intero non poteva impedire che il giudice decidesse sulla riduzione nell’unico modo possibile, in esito all’accertamento della non comoda divisibilità ed al calcolo dell’eccedenza, maggiore del quarto della porzione disponibile, che la legataria aveva nell’immobile – ex art. 560-2 p.p. c.c. – mentre soltanto nel caso che tale eccedenza fosse risultata non superiore al quarto il giudice avrebbe dovuto accertare se la legataria avesse inteso o no esercitare la facoltà di ritenere tutto l’immobile, compensando in danaro il legittimario).

La motivazione adottata sul punto dalla corte milanese – ved. sub 7.c) – non è adeguata perché, di fronte alla riconosciuta divisibilità dell’immobile in natura, la non comodità della divisione per rischio di deprezzamento doveva essere dimostrata con l’indicazione (sia pure attraverso la menzione di risultati consulenziali ma non certo mediante il mero rinvio ad essi) degli elementi sui quali tale giudizio era espresso, senza di che non è possibile ricostruire il pensiero del giudice d’appello e controllarne la legittimità.

P.Q.M.

La Corte – pronunciando sui ricorsi riuniti – dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti degli Orfanotrofi maschile e femminile di Milano, lo rigetta nei confronti degli altri controricorrenti e condanna Luigi Monteverdi al pagamento, in favore degli Orfanotrofi suddetti nonché in favore di Ancilla, Dario, Luigi Cesare Vincenzo e Claudio Monteverdi, delle spese di questo procedimento, che liquida complessivamente in lire 3.131.700, di cui L. 3.000.000 di onorari, per i primi e in lire 4.079.400, di cui L. 4.000.000 di onorari per gli altri;

b) accoglie il ricorso incidentale proposto dalla “Fondazione Don Gnocchi”, cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia la causa – anche per le spese, nei rapporti tra la medesima ed il ricorrente – alla corte di appello di Brescia.
Roma, 5 ottobre 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 23 MAGGIO 1990