Svolgimento del processo
Con citazione del 30 giugno 1972, i coniugi Vincenzo Graziano e Giuseppa Mileto, entrambi come usufruttuari di un edificio sito in Alcamo al Vicolo Corao n. 18 e il primo anche quale legale rappresentante delle figlie minori Anna e Maria, nude proprietarie dello stabile, assumendo che Girolamo Ranieri aveva sopraelevato il proprio fabbricato, costituito soltanto dal piano terra, senza rispettare la distanza di almeno tre metri dal terrazzo, appartenente ad essi istanti, impedendo così l’uso della preesistente veduta, e aveva, altresì, appoggiato sul parapetto dello stesso terrazzo il muro del proprio edificio,convenivano il Ranieri davanti al Pretore del luogo, chiedendone la condanna alla rimozione delle opere realizzate illegittimamente.
Costituitosi in giudizio, il convenuto contestata il fondamento della domanda e ne invocava il rigetto.
Con sentenza 19 dicembre 198, il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannava il Ranieri a demolire le parti della sopraelevazione poste a meno di tre metri dal parapetto del terrazzo degli attori.
Proponeva appello il soccombente, deducendo che l’edificio degli istanti era coperto non da un terrazzo, bensì da un lastrico solare, da cui non era esercitabile la servitù di veduta che, quindi, non poteva essersi costituita per usucapione.
Con sentenza 2 febbraio 1983, il Tribunale di Trapani, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda dei coniugi Graziano e Mileto.
Riteneva il Tribunale:
a) che per la sussistenza del diritto di servitù di veduta si richiede la destinazione normale e durevole dell’opera alla “ispectio” e alla “prospectio”;
b) che tali requisiti non ricorrono nella specie, in quanto era risultato che al terrazzo si accedeva mediante una scala di legno a pioli, raggiungibile da una portiera alta metri 1,40 e larga centimetri 90, previo attraversamento di un solaio;
c) che, inoltre, il difetto di destinazione a veduta della terrazza era confermato dell’esistenza su di un serbatoio per l’acqua e di tracce di un pollaio;
d) che, in mancanza della destinazione dell’opera all’esercizio della servitù di veduta, doveva escludersi l’acquisto della stessa per usucapione;
e) che la costruzione del muro eseguita dal Ranieri sul parapetto della terrazza degli appellati era legittima, costituendo la sopraelevazione del sottostante muro comune dei due fabbricati, consentita dall’art. 885 c.c., e che dall’esecuzione di tale opera derivava soltanto l’obbligo del Ranieri di pagare ai coniugi Graziano e Mileto la metà del valore della sopraelevazione.
Hanno proposto ricorso per cassazione Vincenzo Graziano, Giuseppa Mileto e Graziano Maria, divenuta frattanto maggiorenne.
Ha risposto con controricorso Girolamo Ranieri. Integrato il contraddittorio nei confronti di Anna Graziano, è stata fissata e tenuta una nuova udienza di discussione.
Motivi della decisione
Col primo motivo, denunziandosi la violazione degli artt. 980, 905 e 907 c.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 5 c.p.c., si censura la sentenza impugnata, per aver il tribunale escluso l’esistenza della veduta, sull’erroneo rilievo che il terrazzo dei ricorrenti fosse destinato ad altri usi (pollaio e serbatoio per l’acqua) e non comodamente accessibile.
Si deduce al riguardo che, per l’esistenza della veduta, si richiede che l’opera, per ubicazione, consistenza e struttura, consenta oggettivamente la “inspectio” e la “prospectio” e non anche che sia destinata all’esclusivo scopo dell’affaccio; inoltre, che l’accesso al luogo di veduta, oltre a non essere pericoloso per le persone di costituzione fisica normale, sia possibile, senza bisogno di particolare abilità o di specifiche qualità fisiche.
Si assume quindi che, nella specie, si sarebbe dovuta ravvisare l’esistenza della veduta, giacché la stessa presenza del pollaio escludeva le difficoltà messe in risalto dal Tribunale, dovendo i componenti della famiglia dei ricorrenti necessariamente eccedere ogni giorno al terrazzo per curare e accudire il pollame.
Le censure non hanno fondamento.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, è necessario che queste opere, oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella di rendere possibile l’affaccio sull’altrui fondo, così da determinare il permanente assoggettamento al peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l’esclusivo scopo dell’esercizio della veduta, essendo sufficiente che esse, per l’ubicazione, la consistenza e la struttura abbiano oggettivamente la detta idoneità (sentenza 19 gennaio 1980 n. 455; 7 giugno 1976 n. 2072; 9 ottobre 1972 n. 2971; 6 maggio 1972 n. 1392; 18 maggio 1971 n. 1481; 9 gennaio 1971 n. 12; 4 aprile 1970 n 922).
Ora, se non è necessario che la terrazza o il lastrico solare, purché muniti di stabile riparo che consenta di guardare e sporgersi verso il fondo del vicino in modo comodo e sicuro, abbia quale esclusiva destinazione quella dell’affaccio, ben potendo adempiere nello stesso tempo anche ad altra funzione, tuttavia non sono sufficienti alla individuazione della veduta in se stessa anziché in un contesto globale comprendente altresì i mezzi di accesso, poiché le difficoltà per raggiungere la terrazza o il lastrico solare si risolvono in concrete difficoltà nell’esercizio della veduta.
Perciò, si richiede che “il mezzo predisposto per l’accesso al manufatto possa essere usato senza pericolo per la propria incolumità, anche da soggetti che dispongono di particolari attitudini o di specifica esperienza e non si avvalgono di particolari accorgimenti o cautele (sentenza 23 marzo 1977 n. 1130).
Tutto ciò serve a chiarire che nessuna inconciliabilità dovrebbe ravvisarsi tra l’uso della terrazza in questione anche per pollaio e per deposito di un serbatoio dell’acqua con la destinazione a veduta, se di questa, oltre alla rilevata esistenza di un parapetto idonea a consentire l’affaccio, sussistessero tutti gli altri elementi obiettivi di carattere strutturale e strumentale. Conta, però nel senso di escludere la veduta, la situazione obiettiva dei luoghi, essendo stato accertato che, per accedere al terrazzo, occorreva servirsi di una scala di legno a pioli, con l’attraversamento di un solaio e il passaggio per una porticina alta metri 1,40 e larga centimetri 90.
La innegabile difficoltà di accesso, che ha formato oggetto di un accertamento di fatto ormai definito, basta da sola a negare il carattere di veduta al terrazzo dei Graziano, giacché la possibilità del secondo affaccio non si esaurisce nella realizzazione dell’atto finale consistente nella “inspectio” e nella “prospectio”, implicando altresì la predisposizione di mezzi di accesso comodi e sicuri, praticabili senza che si renda necessario superare ostacoli o intralci materiali col ricorso a cautele o con l’impiego di una particolare abilità fisica. E, se il passaggio attraverso la porticina non adeguatamente alta obbligava a piegarsi qualsiasi adulto, persino di bassa statura, a tale difficoltà, di per sé non eccessivamente grave, si aggiungeva quella, di gran lunga maggiore, della salita mediante la scala di legno a pioli, mezzo non stabile e non adatto indifferentemente a tutti per lo sforzo fisico imposto, pertanto non comodo né sicuro.
In conclusione, l’oggettiva idoneità del terrazzo ad esercitare la funzione di veduta, nonostante l’esistenza del parapetto che garantiva il riparo, era esclusa, piuttosto che dalla contemporanea destinazione ad altri usi, dalla sua ubicazione in rapporto ai luoghi e mezzi di accesso, esorbitanti dai limiti della normalità.
Su tali considerazioni in effetti si soffermano, in modo giuridicamente ineccepibile, i giudici di appello, negando in definitiva l’esistenza della veduta.
E, se alle stesse, sufficienti da sole a sorreggere la decisione, fecero seguire la considerazione, non altrettanto valida, che anche la presenza di un serbatoio per l’acqua e di tracce di un pollaio costituivano elementi incompatibili con la destinazione del terrazzo a veduta, questa ultima argomentazione, anche se in contrasto con la configurabilità di più destinazioni contemporanee, non vale ad inficiare l’impugnata pronunzia che, sul punto, si regge già su basi ben solide.
Col secondo motivo, denunziandosi la violazione dell’art. 885 c.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., si censura la sentenza impugnata, per avere il tribunale disatteso l’istanza, con la quale i ricorrenti avevano chiesto la demolizione della fabbrica appoggiata dal Ranieri sul parapetto del loro terrazzo, nell’erroneo rilievo che l’opera fosse legittima, in quanto consentita dal menzionato art. 885.
Secondo gli stessi ricorrenti, si sarebbe dovuta ritenere invece l’illegittimità dell’opera, in quanto “si può praticare l’innalzamento del muro comune, quando questo si chiude con un tetto e non anche quando nella sua parte terminale recinge un terrazzo e adempie a una funzione che non è quella di sostegno e di chiusura della fabbrica, ma di recinzione del terrazzo”.
La sorte di questo motivo è strettamente legata all’esito dell’esame del primo motivo, dipendendone l’accoglimento o il rigetto dal riconoscimento dall’esclusione della veduta, di cui si è già trattato.
I giudici di appello, negato al terrazzo il carattere di veduta, ritennero che il parapetto di delimitazione costituisse sopraelevazione del sottostante muro comune e, pertanto, che il Ranieri si fosse avvalso della facoltà di innalzamento ai sensi dell’art. 885 c.c., appoggiando su di esso il muro della nuova fabbrica , con salvezza del diritto per i vicini Graziano di acquistare la parte sopraelevata del muro, mediante il pagamento dell’indennità di medianza e il concorso alle spese necessarie per le eventuali ulteriori opere di rafforzamento.
Potendo pertanto essere liberamente utilizzato da ciascuno dei comproprietari il muro comune mediante sopraelevazione a sua cura e spese, senza che a tal fine si renda necessario il consenso dell’altro condominio, il quale ha soltanto la facoltà di rendere comune la sopraelevazione a norma dell’art. 874 c.c., nessun limite si sarebbe potuto ritenere operante nei confronti del Ranieri, come in realtà fu ritenuto.
Diversa invece sarebbe stata la conclusione, se il muro comune o la sopraelevazione già esistente del muro comune avesse costituito il parapetto necessario per consentire l’affaccio dal terrazzo, poiché “la facoltà di innalzamento di cui allo art. 885 c.c. non può essere esercitata in violazione dell’osservanza della distanza legale stabilita specificamente per le vedute dall’art. 907 c.c.” (sentenza 13 luglio 1967 n. 1749).
Perciò, l’esclusione della veduta valse altresì ad escludere ogni limite per la sopraelevazione eseguita dal Ranieri. Anche il motivo ora preso in esame si rileva, conseguentemente, destituito di fondamento.
Il ricorso, nel suo complesso, deve pertanto essere rigettato. Motivi di equità suggeriscono tuttavia la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il proposto ricorso e compensa tra le parti relative al giudizi di legittimità.
Roma, 2 aprile 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 FEBBRAIO 1986