Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10.-17.3.1981 il Tribunale di Belluno rigettò l’appello proposto, dall’istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.) nei confronti del Tessaro Rino, avverso la sentenza 10.10.1980 del Pretore della stessa sede, che a sua volta aveva accolto la istanza del Tessaro tendente ad ottenere la dichiarazione di illegittimità dl provvedimento con cui lo I.N.A.I.L. aveva proceduto al recupero di somme pagate per errore in eccedenza in sede di liquidazione di rendita per silicosi.

Qualificando corretta la decisione del primo giudice, che aveva ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 80 del R.D.L. 28.8.1924 n. 1422, il Tribunale disattese in particolare quanto sostenuto dall’appellante circa la giuridica impossibilità di estendere analogicamente la portata del dettato normativo in discussione, osservando in proposito che “non sussiste sostanzialmente differenza tra le ipotesi in cui l’errore interviene nella liquidazione di trattamento pensionistico a carico dell’I.N.P.S. e quella in cui lo stesso errore si evidenzia nella liquidazione di pensione affidata alla gestione I.N.A.I.L., atteso che la norma riposa su un principio di diritto che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha estratto ed elaborato dalla legislazione che presiede al trattamento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione”.

I giudici dell’appello evidenziarono peraltro che il contrario avviso espresso da altri giudici di merito non era valido a rimuovere l’indirizzo giurisprudenziale già formatosi sul tema presso il loro ufficio, ove erano stati convenientemente esaminati e discussi i principi posto a fondamento delle divergenti decisioni.

Avverso la predetta sentenza lo I.N.A.I.L. ha proposto ricorso per cassazione con quattro distinti mezzi di annullamento della impugnata decisione, successivamente ulteriormente illustrati con memoria.

Il Tessaro Rino non si è costituito

Motivi della decisione

L’I.N.A.I.L. censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 comma 1°, nn. 3 e 5 c.p.c.:

1°-) per violazione e falsa applicazione dello art. 80 del R.D. 28.8.1924 n. 1422 e dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al Codice civile, in quanto ha accredito una insostenibile applicazione analogica di una norma eccezionale riferibile alle sole pensioni erogate dallo I.N.P.S. con considerazioni che attengono, non al contenuto della norma da applicare, ma a pretesi principi generali desumibili dalla giurisprudenza amministrativa; 2°-) per omessa motivazione su punti decisivi della controversia, non avendo pronunciato sulle eccezioni di inapplicabilità dell’art. 80 R.D. 1422 -24 ed essendosi limitato, senza tener conto dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti nel frattempo, ad affermare di dovere confermare in proposito precedenti statuizioni del Tribunale; 3°-) per violazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2033 c.c., non sussistendo alcuna ragione perché il Tribunale potesse derogare a tale norma generale che contempla il diritto di chi ha eseguito un pagamento non dovuto di ripetere ciò che ha pagato, e presupponendo la giurisprudenza amministrativa, che nega il diritto delle amministrazioni statali a ripetere quanto percepito in buona fede dal proprio dipendente o dal proprio pensionato, la esistenza di un determinato rapporto di pubblico impiego o un determinato rapporto di pensione, ed una serie di controlli dai quali era desumibile una presunzione di completa corrispondenza con le disposizioni di legge, e quindi un pieno affidamento da parte del pubblico impiegato o pensionato; 4°-) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento ai principi che regolano la attività della Pubblica Amministrazione ed in particolare il suo potere di autotutela inteso ad evitare un qualsiasi pregiudizio agli interessi pubblici perseguiti.

Il ricorso è fondato e va quindi accolto.

Il Tribunale di Belluno infatti ha innanzitutto omesso di considerare che il ricorso al criterio interpretativo analogico è consentito solo quando il caso non si a preso in considerazione da una specifica disposizione di legge, che nel caso di specie era da identificarsi nell’art. 2033 – del Cod. civ. -.

I giudici dell’appello avrebbero quindi dovuto dimostrare che sussisteva un motivo di incompatibilità di applicazione, nel caso sottoposto al loro esame, della norma anzidetta, che ha innegabile carattere generale.

Ne è da dire che la disapplicazione del menzionato art. 2033 c.c. possa trovare giustificazione nel preteso indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato: a parte ogni considerazione circa la insostenibilità di un ragionamento che conduce alla applicazione analogica di una norma, con riferimento non già al contenuto della norma stessa, ma a pretesi principi generali elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, quegli interventi giurisprudenziali si riferiscono invero a situazioni del tutto diverse, riguardando la materia degli errori dello Stato nella corresponsione di somme percepite in buona fede dai suoi dipendenti, una materia, cioé, in cui i soggetti beneficiati sono individuati specificamente e la rinunzia alla ripetizione dell’indebito rientra pur sempre nel potere sovrano dello Stato di disporre del proprio patrimonio.

Un siffatto potere non può essere riconosciuto all’odierno ricorrente, giacché se si riconoscesse all’I.N.A.I.L. poteri identici a quelli dello Stato circa la facoltà di rinunciare a crediti per somme erroneamente pagate, si finirebbe con l’attribuzione all’Ente poteri di disposizione patrimoniali incompatibili con il proprio ordinamento.

Per contro va ritenuta fondata la doglianza dell’I.N.A.I.L. secondo cui la immotivata preclusione all’esercizio dell’azione ex art. 2033 c.c. si risolve in un illegittimo pregiudizio al suo potere dovere di tutela degli interessi istituzionali, tra i quali rientra quello del recupero di somme pagate erroneamente ad un assicurato e quindi indebitamente sottratte al soddisfacimento dei bisogni degli altri assicurati.

Le considerazioni innanzi esposte trovano puntuale riscontro nella ormai costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 28.6.1980 n. 4069, 27.4.1981 n. 2545, 22.8.1981 n. 4979, 2.6.1982 n. 3353, 1.2.1985 n. 672, ed altre), sicché può essere ribadito il principio che, “quando per errori in sede di liquidazione di rendita di malattia professionale sia corrisposta all’avente diritto una somma maggiore di quella dovuta, l’I.N.A.I.L. può legittimamente chiedere il rimborso della eccedenza a norma dell’art. 2033 cod. civ., giacché né il disposto dell’art. 80 R.D. 28 agosto 1924 n. 1422 (il quale statuisce che le rettifiche di errori compiuti dall’I.N.P.S. nella fase originaria di assegnazione della pensione non hanno effetto sui pagamenti già effettuati se tali errori non dipendono da dolo dell’interessato), né la normativa sulla contabilità generale dello Stato (che contempla l’irripetibilità delle somme percepite in buona fede dai suoi dipendenti) possono trovare applicazione in via analogica dal momento che rappresentano una disciplina del tutto eccezionale, in quanto derogatoria di quella generale dettata dal citato art. 2033 Cod. civ. per l’indebito oggettivo, e pertanto insuscettibile di applicabilità al di fuori dei presupposti oggettivi e soggettivi da essa previsti”.

Se dunque, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte ora menzionata, è legittima la richiesta di ripetizione di quanto erroneamente pagato, altrettanto legittima deve ritenersi l’operazione di recupero effettuate dall’I.N.A.I.L. nella fattispecie in esame: quella operazione risulta essere concreta espressione del potere di autotutela dei propri diritti ed interessi da parte della pubblica amministrazione.

Questa, quando voglia eliminare i propri atti che risultino viziati o le conseguenze di quegli atti, non ha infatti bisogno di rivolgersi ad altre autorità, ma può procedere essa stessa all’annullamento, alla correzione e alla revoca, ferma restando la tutela dei singoli la facoltà di impugnare l’atto di annullamento o di revoca onde far riconoscere la eventuale validità dell’atto che si è inteso annullare.

Il comportamento dell’I.N.A.I.L. nel caso in esame non era dunque censurabile sotto alcun aspetto, contrariamente a quanto hanno ritenuto i giudici del merito, ed è quindi da accogliere il proposto ricorso.

Dall’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa ad altro Tribunale, che va designato in quello di Treviso ed al quale va riservata la pronuncia sulle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza, e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, al Tribunale di Treviso.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 GENNAIO 1986