Svolgimento del processo

Elio Zamero, posto in quiescenza con trattamento INADEL in data 1° gennaio 1979, con atto depositato il 23 aprile 1983, ricorreva al Pretore di Udine, in funzione di giudice del lavoro, lamentando che l’Istituto previdenziale avesse calcolato la parte di indennità premio di servizio corrispondente ai benefici di cui alla legge n. 336 del 1970 attenendosi ai criteri fissati dalla L. 8 marzo 1968, n. 152 (I-15 dell’80% dell’ultima retribuzione annua contributiva), anziché a quelli indicati nell’art. I del D.P.R. 5 giugno 1965, n. 769, richiamato dall’ultimo comma dell’art. 4 della L. 9 ottobre 1971, n. 824 (I-12 dell’80% dell’ultimo stipendio annuo), ed avesse altresì computato nell’indennità premio di servizio l’indennità integrativa speciale assoggettandola illegittimamente a ritenuta fiscale, Da qui la richiesta di condanna dell’Istituto al versamento di somme diverse, comprensive del risarcimento del danno da ritardato pagamento.

Costituitosi in giudizio, l’INADEL osservava che il ritardato pagamento dell’indennità corrispondente ai benefici ex legge n. 336 del 1970 andava ragguagliato ad I-15 dell’80% della retribuzione ex art. 4 della L. 8 marzo 1968, n. 152, che l’indennità integrativa speciale andava computata nell’indennità premio di servizio soltanto a partire dall’entrata in vigore della legge n. 299 del 1980 (22 luglio 1980) e che la ritenuta fiscale su detta indennità integrativa speciale era stata legittimamente effettuata ex artt. 12, 13 e 14 del D.P.R. n. 597 del 1973.

L’adito Pretore, con sentenza 7 dicembre 1983, affermava la natura previdenziale dell’indennità premio di servizio e ritenuta, quindi, la propria competenza giurisdizionale, accoglieva parzialmente la domanda, affermando che il calcolo dell’indennità previdenziale, per la parte convenzionale dipendente dall’aumento del servizio ex art. 3 della legge n. 336 del 1970, andava operato in ragione di I-12 dell’80% dell’ultima retribuzione annua per ogni anno di servizio computabile, con conseguente condanna dell’INADEL al pagamento della differenza, pari a L. 541.194, con gli interessi legali dalla cessazione del rapporto di lavoro (I° gennaio 1979) al saldo, trattandosi di credito previdenziale nascente con il collocamento a riposo, dal quale momento, peraltro, cominciava a decorrere anche il termine prescrizionale. Il Pretore escludeva, nel contempo, la rivalutazione in quanto non dovuta in materia di prestazioni previdenziali. Accoglieva, poi, la domanda in punto di computo dell’indennità integrativa speciale nella retribuzione base per il calcolo dell’indennità premio di servizio, trattandosi di elemento determinato e continuativo, rientrante nella retribuzione contributiva e dovendosene rilevare al natura del tutto equivalente all’indennità di contingenza del settore privato.

Poiché il corrispondente importo era stato versato in ritardo, su di esso (pari a L. 2.333.570) andavano riconosciuti allo Zamero gli interessi della cessazione del rapporto (I° gennaio 1979) a quella del relativo pagamento, mentre nulla era dovuto a titolo di rivalutazione monetaria.

Andavano ancora riconosciuti allo Zamero gli interessi su L. 7.062.950, ricevute il 29 maggio 1980 a titolo di indennità premio di servizio, con decorrenza dal 1° gennaio 1979 al 29 maggio 1980 e, infine, andava accolta la domanda tendente a non veder assoggettata a ritenuta fiscale da parte dell’INADEL l’indennità integrativa speciale computabile nella retribuzione base per il calcolo dell’indennità premio di servizio, stante l’espressa esenzione per legge dalla ritenuta in tale caso.

La sentenza veniva appellata dallo Zamero, il quale lamentava la mancata applicazione della rivalutazione monetaria al credito previdenziale e la compensazione delle spese processuali operata dal Pretore.

La medesima sentenza veniva appellata con autonomi gravame dall’INADEL il quale chiedeva la parziale riforma della pronuncia pretorile nella parte in cui aveva assunto a parametro del calcolo dell’indennità premio di servizio, per la quota relativa all’anzianità convenzionale, I-12, anziché I-15 dell’80% della retribuzione contributiva, aveva incluso nel calcolo dell’indennità premio di servizio l’indennità integrativa speciale ed aveva riconosciuto gli interessi legali.

Il Tribunale di Udine, riuniti i due giudizi d’appello, con sentenza 28 marzo 1985, in parziale accoglimento dei gravami e in conseguente parziale riforma della gravata sentenza, respingeva la domanda dello Zamero relativamente alla pretesa riliquidazione dell’indennità premio di servizio, per la parte relativa all’anzianità convenzionale dipendente dalla legge n. 336 del 1970, mediante ragguaglio ad I-12, anziché ad I-15 dell’80% dell’ultima retribuzione, condannava l’INADEL a pagare allo Zamero gli interessi di legge e il corrispettivo della rivalutazione monetaria, liquidando entrambi nella misura complessiva annua del 17% sulle somme già corrisposte, a far tempo dal I° gennaio 1979 al 21 novembre 1980 per L. 2.333.570, e dal I° gennaio 1979 al 29 maggio 1980 per L. 7.062.950, disponendo la maggiorazione della suddetta rivalutazione dell’ulteriore 12% dal giorno degli avvenuti pagamenti a quello del passaggio in giudicato della sentenza (o dell’effettivo pagamento di quest’ultima posta, se anteriore) e, infine, compensava integralmente tra le parti le spese del giudizio d’appello.

Osservava il Tribunale che, ai sensi della più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la sentenza di primo grado andava riformata nel campo in cui disponeva la condanna dell’Istituto al pagamento dell’importo di L. 541.194, in quanto l’aliquota di computo dell’indennità di servizio, anche per gli anni di anzianità convenzionale, andava individuata in I-15, e non in I-12, dell’80% dell’ultima retribuzione contributiva.

La sentenza di primo grado andava poi confermata quanto alla ricomprensione, nel calcolo dell’indennità premio di servizio, dell’indennità integrativa speciale, della quale l’art. 3 della L. 7 luglio 1980, n. 299 espressamente prevedeva (in armonia con l’omogeneità del trattamento terminativo e con la determinatezza e la continuità della corresponsione) la computabilità a quei fini.

La sentenza stessa andava, invece, riformata relativamente alla posta risarcitoria costituita dalla rivalutazione monetaria, il cui diritto non poteva essere negato, costituendo principio generale che un ritardo colposo nell’adempimento comporta responsabilità generatrice di danno quantificabile nella notorietà del fenomeno inflattivo (notorietà che rendeva ultronei accertamenti istruttori al riguardo). Ciò con decorrenza dal giorno della cessazione del rapporto , non rilevando sul piano sostanziale termini dilatori di natura contabile o processuale.

Una diversa opinione in proposito avrebbe legittimato prassi discutibili, tanto più in campo previdenziale; dovendosi altresì rilevare che la data della quiescenza non costituisce evenienza improvvisa e sorprendente , ma elemento cronologico di agevole e tempestiva rappresentazione, tale da costituire il momento in cui il debito dell’Istituto diventa certo, liquido ed esigibile e, quindi, corrisponde alla scadenza del termine che fa scattare il meccanismo di cui all’art. 1219, 2° comma, n. 3, c.c.; non potendo penalizzarsi l’avente diritto a causa di una liquidazione tardiva ascrivibile alla lentezza dei tempi tecnici del debitore.

Da tali principi derivava, nel caso di specie, la condanna dell’Istituto a corrispondere interessi e rivalutazione (determinate entrambe le poste nella misura complessiva del 17%) sulla somma di L. 7.062.950, corrisposta alla Zamero a titolo di indennità premio di servizio in ritardo, a partire dalla data della quiescenza (I° gennaio 1979) a quella dell’effettivo pagamento (29 maggio 1980) e sulla somma di L. 2.333.570, pari all’ammontare dovuto allo Zamero a seguito della computabilità dell’indennità integrativa speciale nella determinazione dell’indennità premio di servizio, dalla medesima data (I° gennaio 1979) all’effettivo saldo (21 novembre 1980).

Tali importi andavano maggiorati del corrispettivo della svalutazione monetaria ulteriormente maturata fino alla data del passaggio in giudicato della sentenza (o dell’effettivo pagamento se anteriore) a far tempo dalle date degli effettivi pagamenti, nella misura da determinarsi nel 12% annuo.

Avverso la suddetta sentenza, non notificata, l’INADEL ha proposto ricorso per cassazione, con atto il 24 marzo 1986, per tre motivi. Lo Zamero ha resistito con controricorso. Autonomo ricorso avverso la stessa sentenza è stato proposto dallo Zamero, con atto notificato in parti data, per due motivi.

L’INADEL si è costituito con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo del ricorso, denunciando, quanto ai riconosciuti interessi corrispettivi, la violazione dell’art. 1282, c.c., in relazione agli artt. I e da 17 a 23 e 77 del D.P.R. n. 696 del 1979, che regola la classificazione delle entrate e delle spese per l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70, l’INADEL si duole che la sentenza impugnata, con l’attribuire gli interessi corrispettivi del 5% allo Zamero, richiamando la legge n. 3239 del 1928 e col sostenere che all’INADEL non si applicano i principi relativi alla contabilità dello Stato, abbia omesso di applicare gli artt. da 17 e 23 del D.P.R. sopra citato, che regolano la materia in modo analogo a quanto disposto dal D.L. 18 novembre 1923, n. 2440, e dal regolamento 23 maggio 1924, n. 827 (art. 270) sulla contabilità generale dello Stato, richiamata anche dall’art. 77 del D.P.R. in questione.

Donde la conseguenza che, prima dell’emissione del mandato, non può parlarsi di interessi corrispettivi, anche perché il credito è illiquido, ai sensi dell’art. 1282, c.c.

Col secondo motivo, denunciando quanto agli interessi moratori e agli ulteriori danni, la violazione degli artt. 1224, 1219 e 1183, c.c., e dell’art. 4 della legge n. 152 del 1968, l’INADEL, con riferimento alla propria condanna al pagamento degli interessi moratori liquidati al tasso complessivo del 17% a titolo di maggiori danni di cui all’art. 1224, 2° comma, c.c., per un credito che si assumeva soddisfatto in ritardo, sostiene che gli interessi moratori decorrono soltanto se il debitore sia stato messo in mora. Per il ricorrente, la tesi della sentenza impugnata che l’intimazione di cui all’art. 1219, c.c, non era necessaria perché il debito doveva considerarsi già scaduto (art. 1219, 2° comma, n. 3, c.c.), non sembrerebbe fondata in quanto, per sua stessa natura, la prestazione non sarebbe stata esigibile immediatamente (art. 1183, 2° comma, c.c.). In tanto l’INADEL (Ente erogatore) sarebbe stato in grado di effettuare la prestazione, in quanto l’ente datore di lavoro gli avesse inviato i dati (numero degli anni di servizio, importo dell’ultimo stipendio, meriti combattentistici, ecc.) necessari per determinare l’ammontare dell’indennità premio di servizio. Pertanto, ad esso INADEL non potevano addebitarsi ritardi dipendenti dal fatto del terzo (ente datore di lavoro). Né, per altro verso, l’art. 4 della legge n. 152 del 1968 fissava il termine per l’adempimento.

Per altro verso, la tesi della sentenza impugnata che la prestazione doveva essere eseguita immediatamente, per cui gli interessi moratori e la rivalutazione monetaria sull’indennità premio di servizio decorrevano dal giorno della cessazione del servizio ai sensi dell’art. 1219, 2° comma n. 3 c.c., non potrebbe a parere del ricorrente essere condivisa.

Nella specie, la messa in mora risaliva, se mai, al giorno della notifica del ricorso introduttivo di primo grado, con il quale lo Zamero non aveva chiesto l’adempimento della prestazione, ma la sua rivalutazione (peraltro non dovuta) e gli interessi sulle somme che assumeva essergli state pagate tardivamente.

Senonché, al tempo del ricorso, depositato il 23 aprile 1983, da cui avrebbe potuto sorgere l’effetto della messa in mora, il credito era già stato soddisfatto.

Conclude il ricorrente il secondo motivo sostenendo che la domanda relativa al pagamento degli interessi moratori e del risarcimento del danno da svalutazione monetaria andava respinta.

Col terzo motivo, proposto in via subordinata, denunciando la violazione degli artt. 1283 e 1284, c.c., l’INADEL si duole che il Tribunale abbia accolto la pretesa dello Zamero agli interessi sugli interessi, attribuendoli al tasso del 12%. Tale pronuncia sarebbe erronea, sia perché gli interessi composti non erano dovuti per le stesse ragioni per le quali, come detto nel secondo motivo, non erano dovuti gli interessi moratori, sia perché l’art. 1283, c.c., diretto a reprimere l’usura, si riferisce genericamente agli interessi e questi non possono essere che gli interessi legali il cui saggio (art. 1284, c.c.) è del 5%, mentre il Tribunale li ha fissati arbitrariamente al tasso del 12%.

Col primo motivo del suo autonomo ricorso, denunciando violazione e-o falsa applicazione dell’art. 4, ultimo comma, della legge n. 824 del 1971, dell’art. I del D.P.R. n. 759 del 1955, della legge n. 152 del 1968 e della legge n. 336 del 1970, in relazione all’art. 360, pp. nn. 3 e 5 c.p.c., lo Zamero si duole che il Tribunale gli abbia denegato il diritto alla riliquidazione del beneficio ex legge n. 336 del 1970 in base all’aliquota di I-12, anziché di I-15, come invece stabilito.

Col secondo motivo del ricorso stesso, denunciando violazione e-o falsa applicazione dell’art. 92, c.p.c., in relazione all’art. 360, pp. nn. 3 e 5, c.p.c., lo Zamero sostiene che, pur essendo risultato vittorioso, egli non s’é visto liquidare spese, diritti ed onorari del giudizio d’appello, con violazione, pertanto, del principio della soccombenza.

I due autonomi ricorsi, dei quali quello dello Zamero va considerato incidentale (R.G. n. 3316-86), vanno riuniti sotto il n. 3201-86 (ricorso dell’INADEL) ai sensi dell’art. 335. c.p.c. Il ricorso dello Zamero (R.G. n. 3316-86) va dichiarato inammissibile in quanto difetta di procura “ad hoc”, essendo stata utilizzata la procura a margine del ricorso introduttivo di primo grado in data 3 gennaio 1983 in favore dell’avv. Claudio Slavich: una simile procura è inidonea allo scopo perché conferita con atto separato dal ricorso per cassazione, in data anteriore ala sentenza da impugnare in sede di legittimità e pertanto in contrasto con l’obbligo di rilasciare la procura successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e con specifico riferimento al giudizio di legittimità (tra le tante, da ultimo: Cass. civ. 23.7.1986, n. 4710).

Nelle stesse condizioni di inammissibilità si trova il controricorso dello Zamero al ricorso proposto dall’INADEL: pertanto, di tale controricorso non si deve tenere alcun conto.

Il ricorso (principale) dell’INADEL, i cui tre motivi possono essere congiuntamente esaminati in quanto strettamente e logicamente connessi, è solo parzialmente fondato.

Gli interessi sulle somme corrisposte in ritardo dall’INADEL allo Zamero non erano dovuti dal collocamento a riposo agli avvenuti pagamenti, onde appare fondata la censura di cui al primo motivo.

Infatti, i debiti pecuniari dell’INADEL per prestazioni previdenziali

– in ragione del principio generale secondo cui i debiti della Pubblica Amministrazione non possono considerarsi esigibili, ancorché liquidabili in base a mero calcolo aritmetico, sino a quando non siano stati espletati tutti gli accertamenti ed i controlli prescritti dalla legge – diventano liquidi ed esigibili, con conseguente decorrente degli interessi corrispettivi, soltanto con l’emissione dell’ordine di pagamento all’esito del procedimento previsto dall’art. 17 del D.P.R. 18 dicembre 1979, n. 696 (Cass., Sez. Lav., 2675, 2676, 3431-1986; Cass. civ., S.U. n. 1680-1988). Gli interessi, invece, erano dovuti come moratori – e, cioé, dovuti per colpevole ritardo nelle formalità di liquidazione, ritardi per la cui determinazione può e deve farsi riferimento al termine contemplato dall’art. 7 della legge n. 533 del 1973. Infatti, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della decorrenza degli interessi moratori sulle somme dovute per prestazioni previdenziali – e, con particolare riferimento proprio alle somme dovute dall’INADEL per indennità premio di servizio – va ravvisato nel silenzio-rigetto dell’ente protrattosi per 120 giorni dalla data del collocamento a riposo del dipendente, ai sensi del citato art. 7, un automatico elemento di costituzione in mora, equivalente alla mora “ex re” di cui all’art. 1219, n. 2, c.c. (cit. sent. S.U. n. 1680-1988, che ha confermato l’applicabilità dell’art. 7 della legge n. 583 del 1973, già sostenuta dalle sent. della Sez. Lav. sopra citate, nonché dalle altre della sez. Lav. nn. 2907, 3184, 3185, 3186, 3189, 3243, 3244, 5027-1986, ma con la precisazione che il periodo di 120 giorni inizia non dall’eventuale istanza o sollecito inviato dall’assicurato all’INADEL, ma dal giorno del collocamento a riposo dell’assicurato, non essendo prevista dalla normativa INADEL la domanda per l’ottenimento dell’indennità premio di servizio, che viene liquidata d’ufficio).

Se, quindi, è fondata la censura di cui al primo motivo, con cui l’INADEL si duole che gli interessi siano stati riconosciuti, come se fossero corrispettivi, dalla data del collocamento a riposo dello Zamero, è infondata la censura di cui al secondo motivo, con cui si assumono la non colposità del ritardo (sia ai fini degli interessi moratori che del risarcimento del maggior danno da mora) e la necessità di una costituzione in mora e, comunque, subordinatamente, la decorrenza del risarcimento complessivo dalla data della notifica del ricorso introduttivo di primo grado (e, cioé, dalla domanda giudiziale). Essendovi mora colpevole ritenuta per legge dalla scadenza del termine di 120 giorni dopo il collocamento a riposo, spettavano da tale vertenza sia gli interessi moratori, sia il risarcimento del maggior danno da mora, ai sensi dell’art. 1224, 1° e 2° comma c.c..

Il Tribunale, mentre ha riconosciuto alla Zamero gli interessi dalla data del collocamento a riposo, ha, per altro verso, fatto applicazione del 2° comma del citato art. 1224, attribuendo allo Zamero, con la stessa decorrenza, il risarcimento del maggior danno da mora nella misura del 17% (comprensiva degli interessi al tasso legale) fino alle date dei parziali pagamenti delle somme capitali.

Gli interessi, in quanto moratori, e il risarcimento del maggior danno da mora non potevano che avere la stessa decorrenza e, cioé, quella del 121° giorno dalla data del collocamento a riposo dello Zamero (I° gennaio 1979) fino alle date dei parziali pagamenti.

Peraltro, il Tribunale, quanto al risarcimento del maggior danno da mora, ha per questa parte correttamente fatto applicazione del criterio presuntivo del danno, criterio collegato al fenomeno dell’inflazione, e, quindi, senza bisogno di una prova specifica, operando, nella specie, la presunzione di danno sulla base della dedotta qualità personale del creditore, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. sent. n. 3004-1986 delle s.U. civili). Del resto, col secondo motivo la debenza degli interessi moratori e del risarcimento del maggior danno da mora viene contestata dall’INADEL sotto i soli profili della non colposità del ritardo e della necessità di una costituzione in mora, mentre nessuna censura, sia pure subordinata, viene rivolta per la determinazione complessiva del risarcimento (17% annuo, comprensivo degli interessi legali, sulle somme capitali) e neppure per il mancato assorbimento degli interessi nell’ulteriore danno, cosicché ogni altro profilo sull'”an” e sul “quantum” fuoriesce dalle censure mosse col secondo motivo.

Parzialmente fondate sono anche le censure del terzo motivo. Il ricorrente impropriamente si duole dell’applicazione da parte del Tribunale dell’anatocismo ad un tasso superiore a quello legale; ma giustamente si duole, in via pratica, del fatto che le somme risarcitorie (per interessi e maggior danno nella misura globale del 17% annuo) maturate fino alle date dei parziali pagamenti, siano state ulteriormente rivalutate, nella misura complessiva del 12% annuo, dalle date dei già avvenuti pagamenti a quello del passaggio in giudicato della sentenza d’appello.

E’ principio consolidato che le somme dovute a titolo di risarcimento del danno per illecito aquiliano e d anche per inadempimento contrattuale costituiscono un debito di valore, che si converte in debito di valuta al momento della liquidazione del danno, al quale occorre far riferimento per accertare l’entità della lesione patrimoniale subita dal danneggiato o dal creditore ed operarne la reintegrazione; pertanto, una volta che sia intervenuta tale liquidazione, l’incidenza su questa della svalutazione monetaria opera solo nei limiti inerenti alle obbligazioni pecuniarie e, quindi, solo ove sussista, e sia provato dal danneggiato e dal creditore, un maggior danno rispetto all’interesse legale, e non già con l’automatico adeguamento delle somme risarcitorie; tale principio si applica a maggior ragione quando il debito sia stato addirittura estinto (es. per pagamento), non essendo ammissibile la rivalutazione di un debito già estinto (cass. civ., 24.11.1977, n. 5116; idem, 16.3.1984, n. 1813).

Ne consegue, che sul globale risarcimento (commisurato nel 17% annuo delle somme capitali dal 1° gennaio 1979 alle date dei parziali pagamenti, avvenuti il 21 novembre 1980 e il 29 maggio 1980) potevano essere riconosciuti i soli interessi al tasso legale dalle date dei pagamenti al passaggio in giudicato della sentenza d’appello, e non la rivalutazione nella misura annua del 12%.

Il ricorso (principale) dell’INADEL va, pertanto, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte e la causa rinviata ad altro giudice d’appello, che si designa nel Tribunale di Pordenone (Sezione Lavoro), il quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra enunciati e provvederà anche sulle spese e gli onorari di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso n. 3316-86 R.G., proposto dallo Zamero, accoglie per quanto di ragione il ricorso n. 3201-86 R.G. dell’INADEL, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese di questa fase del giudizio, al Tribunale di Pordenone (Sezione Lavoro).
Roma, 27 giugno 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 OTTOBRE 1989