Svolgimento del processo

Con sentenza in data 30-4-1983 il Tribunale di Lecce rigettava l’opposizione di De Gaetano Luigi al Decreto Ingiuntivo che lo aveva condannato al pagamento, in favore del Banco di Roma, filiale di Lecce, di una somma a titolo di scoperto di conto corrente, oltre ad interessi a tasso bancario con capitalizzazione trimestrale.

Avverso la sentenza proponeva appello il sig. De Gaetano, sostenendo che in base alla clausola n°. 6 del contratto di conto corrente, nel quale il tasso di interesse era determinato con riferimento a quello normalmente praticato dalle banche, non era consentita l’applicazione di interesse superiore al tasso legale ed inoltre che comunque la capitalizzazione dell’interesse non avrebbe potuto avvenire per periodi inferiori a sei mesi.

Sulla resistenza del Banco di Roma, costituito in causa, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 11-12-1984, rigettava il gravame, condannando il De Gaetano al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione, articolato su due motivi, il sig. Luigi De Gaetano; si costituiva con controricorso il banco di Roma.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il sig. Luigi De Gaetano adduce la violazione dell’art. 1284 c.c. in relazione all’art. 360 n°. 3 c.p.c..

Il ricorrente, in particolare, pur dando atto del costante insegnamento di questa Corte in materia di interpretazione dell’art. 1284 c.c., la cui discipline viene ritenuta soddisfatta anche quando il tasso di interesse, superiore a quello legale, sia determinabile con riferimento a situazioni oggettive (v. Cass. Sent. n. 2521 del 9-4-1983; Sent. n°. 1112 del 14-2-1984 ed inoltre n°. 2262 e 3252-84), chiede un riesame della questione, prospettando i seguenti passaggi logici:

a) l’articolo 1284 c.c. richiede espressamente la determinazione in cifre del tasso di interesse, perché solo in quel modo può sussistere certezza del debito di interessi, certezza che costituirebbe, poi, lo spirito e la lettera della norma;

b) di fronte alla ritenuta specialità della disciplina dell’art. 1284 c.c., non può trovare applicazione, neppure analogica, la disciplina generale dell’art. 1346 c.c., in materia negoziale;

c) il legislatore ha inteso mantenere la specialità dell’art. 1284, come sopra interpretato, anche nei contratti di conto corrente bancario, come si evincerebbe dalla disciplina della sez. v cap XVII c.c., pur richiamando l’applicabilità, alle operazioni regolate in conto corrente bancario, di alcuni articoli propri del contratto di conto corrente in senso proprio, non ha richiamato l’art. 1825 c.c., concernente il regolamento degli interessi.

L’argomentazione svolta dal ricorrente è essenzialmente fondata sulla proposizione sopra sintetizzata sub a), in relazione a quella sub b) concernente la specialità della disciplina dell’art. 1284, 3° comma c.c., con riferimento ai criteri di determinazione o di determinabilità dell’oggetto negoziale.

Peraltro, né il segno letterale della esaminata disposizione dell’art. 1284, 3° co. c.c., né la ratio della norma giustificano l’interpretazione restrittiva suggerita e la addotta specialità rispetto alla disciplina generale concernente la determinazione dell’oggetto negoziale.

La norma in esame, infatti, si limita a prescrivere la forma scritta di un patto negoziale avente un determinato oggetto; l’oggetto è individuato come convenzione di interessi in misura superiore a quella legale. La situazione di particolare consapevolezza dalla legge richiesta nella puntualizzazione del predetto oggetto, si concretizza e si esprime per l’appunto nella attuazione della forma, senza che essa debba necessariamente estendersi a modalità particolari nella determinazione dell’oggetto, che con detta forma deve essere manifestato, diverse dai requisiti disciplinati, con normativa generale, dall’art. 1346 c.c. Anche l’oggetto negoziale (presente o futuro) non attualmente determinato, ma di cui attualmente siano indicati criteri oggettivi di determinabilità, rientra nella consapevole volontà negoziale delle parti che lo abbiano previsto ed espresso nei patti contrattuali, ancorché detta volontà debba, per espressa disciplina normativa, manifestarsi in forma scritta, e senza che, per contrapposto, la previsione della forma si debba necessariamente riflettere sugli altri requisiti di validità del contratto, o della singola pattuizione contrattuale.

Conseguentemente, ed in applicazione di questi principi, la previsione dell’art. 1284, 3° comma c.c., che disciplina la forma scritta della pattuizione negoziale avente ad oggetto interessi in misura superiore a quella legale, non assume elementi di specialità in relazione agli altri requisiti di validità del contratto diversi dalla forma, requisiti per i quali sono normalmente applicabili i principi generali previsti dal codice e, tra essi, quelli inerenti alla determinazione e determinabilità dell’oggetto.

Sul punto, pertanto, la Corte non ritiene di doversi discostare dal precedente indirizzo, secondo cui la validità delle norme bancarie uniformi sui conti correnti di corrispondenza concernente gli interessi dovuti “alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”, e le clausole negoziali che di esse siano attuazione, deve essere affermata, giacché il riferimento alle condizioni usuali costituisce un criterio di determinabilità oggettivo, certo e di agevole riscontro. Ed invero i tassi attivi, che le aziende di credito praticano, sono fissati su scala nazionale con accordi di cartello e, quindi, con criteri obiettivi non influenzabili dal singolo istituto bancario. Il correntista, pertanto, al momento della stipulazione del contratto è in grado di sapere, secondo l’ordinaria diligenza, che gli interessi sono suscettivi di variazione nel tempo in relazione alle determinazioni del cartello interbancario ed è in grado, nel corso del rapporto, di verificare l’andamento degli stessi, adeguando di conseguenza il proprio comportamento.

Né varrebbe rilevare, ai fini della presente disamina, la specialità dell’art. 1284 applicabile alla disciplina di interessi in relazione al conto corrente bancario, rispetto al conto corrente in senso proprio.

La mancata inclusione, infatti, tra le norme richiamate dall’art. 1857 c.c. anche dell’art. 1825 c.c., impedisce l’automatica applicazione del tasso previsto dagli usi nel caso che il singolo contratto di conto corrente bancario non regoli la materia degli interessi, ma non vieta alle parti di pattuire il riferimento agli usi, per la determinazione della misura degli interessi stessi (v. Cass. Sent. 2521 del 9-4-1983). Meramente conseguente è il rigetto del primo motivo di ricorso. Con il secondo motivo di ricorso il sig. Luigi De Gaetano deduce la violazione dell’art. 1283 c.c., degli artt. 1 e 8 delle preleggi, in relazione all’art. 360 n°. 3 e 5 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata abbia ritenuto legittima la capitalizzazione da parte della Banca degli interessi trimestrali, non considerando che una interpretazione letterale dell’art. 1283 c.c. consentirebbe l’anatocismo per un periodo in ogni caso non inferiore a sei mesi.

In sostanza, secondo la tesi, gli “usi contrari” ai quali si riferisce il dettato dell’art. 1283 c.c., con disposizione di apertura, non inciderebbero sull’intera portata dell’art. 1283 e, in particolare, non inciderebbero sul periodo minimo di capitalizzazione. Non viene disconosciuta, con il motivo in esame, l’esistenza di usi normativi regolanti i rapporti tra banche e clientela, affermata dalla Corte di merito, deroganti al generale divieto di anatocismo sotteso al disposto dell’art. 1283 c.c.; si disconosce, per contro, la rilevanza di detti usi in relazione ad una capitalizzazione di interessi inferiore al semestre (la capitalizzazione trimestrale), in quanto a detta ipotesi non si estenderebbe il richiamo di apertura dell’art. 1283 citato.

Sul punto non risulta alcun insegnamento specifico nelle precedenti pronuncie di questa Corte, ancorché siano edite pronuncie di giudici di merito che non accolgono la tesi prospettata dal sig.

Luigi De Gaetano ed una voce di dottrina che si è soffermata sull’argomento si è espressa in senso contrario a quello indicato dal ricorrente.

Con l’articolo 1283 c.c. viene dettata una particolare disciplina, in funzione della causa della obbligazione di interessi, ponendo dei limiti alla possibilità che il debito di interessi già maturati sia a sua volta produttivo di interessi (il c.d. anatocismo), ponendo di conseguenza dei limiti all’ambito di applicazione dell’art. 1282 c.c. che, in mancanza di espressa norma derogativa, si estenderebbe anche al debito di interessi.

La lettera dell’art. 1283, sottintendendo un principio generale di divieto di anatocismo, nell’ambito della nostra tradizione giuridica, come emerge dalla tassatività delle ipotesi di deroga introdotte dall’espressione “gli interessi scaduti possono produrre interessi solo….”, disciplina in positivo le ipotesi in cui l’anatocismo viene consentito.

La norma, pertanto, si articola disciplinando concretamente le ipotesi di deroga al generale divieto presupposto, prevedendo fondamentalmente le condizioni della situazione permissiva, condizioni così riassumibili:

a) necessità della sussistenza di una convenzione, purché posteriore alla scadenza dei primi interessi;

b) in alternativa all’ipotesi sub a), necessità che vi sia una domanda giudiziale, volta al pagamento degli interessi, e con effetto dal giorno della domanda stessa;

c) necessità che si tratti di interessi per almeno sei mesi. Le tre situazioni, ora elencate, traibili dal dettato dell’art. 1283 c.c., costituiscono le condizioni fondamentali di ammissibilità dello anatocismo, né il diverso segno letterale con cui quella indicata sub c) è introdotta, la pone in condizione di diversa rilevanza rispetto alle altre condizioni enunciate, ovvero in contrapposizione.

E’ pur vero che le condizioni sub a) e b) vengono semplicemente elencate, mentre quella sub c) viene introdotta con l’espressione “e sempre che si tratti di interessi dovuti….”; la diversa espressione, però, ha un preciso significato, sol che si rilevi la situazione di alternatività tra di loro delle condizioni sub a) e b), mentre quella sub c) estende la sua efficacia sia all’ipotesi in cui l’anatocismo si radichi in base a domanda giudiziale, sia che esso trovi fondamento in pattuizione convenzionale.

Il limite semestrale di capitalizzazione, quindi, nient’altro è, nella disciplina permissiva dell’art. 1283 c.c., che una delle tre condizioni (di cui due tra di loro in situazione di alternatività) cui l’ammissione dell’anatocismo è sottoposta.

Se questo è il significato della norma fondamentale espressa dall’articolo in esame, la disposizione introduttiva dell’articolo, consentendo una maggiore permissività dell’anatocismo in presenza di usi contrari ha, né vi è ragione perché non abbia, incidenza derogativa rispetto a tutte le condizioni successivamente elencate e già esaminate e, tra esse, anche rispetto a quella del limite temporale minimo della capitalizzazione degli interessi.

In sostanza, accanto all’anatocismo convenzionale ed a quello giudiziale, la legge ammette l’anatocismo fondato sugli usi, facendo così salva la disciplina dell’abrogato codice di Commercio.

Poiché il rinvio agli usi è formulato in termini generali, devesi ritenere che in questo caso non valga neppure il limite dei sei mesi.

Anche il secondo motivo di ricorso deve, di conseguenza, essere rigettato.

La soccombenza comporta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado, liquidandosi gli onorari in L. 800.000.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, in favore della parte resistente, al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in L. 857.000 di cui L. 800.000 per onorario di difesa.
Roma 16-11-1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 30 MAGGIO 1989