Svolgimento del processo

Domitilla De Carolis chiese al Tribunale di Frosinone di condannare Gilberto De Carolisi ad abbassare il livello di un corpo di fabbricazione (che egli, proprietario del piano a livello stradale dell’edificio di cui entrambi erano condomini, aveva eretto in aderenza al muro perimetrale, su suolo concessogli “ad hoc” dal Comune di Fumone) fino a metri tre dalla soglia della terrazza del piano soprastante, che era di proprietà di lei e dalla quale godeva veduta.

Gilberto De Carolis chiese il rigetto della domanda e il tribunale la rigettò. Su appello dell’attrice la corte romana, invece, l’accolse, sul rilievo che l’argomento posto a base della prima pronuncia (per cui, trattandosi di costruzione effettuata da un concessionario della pubblica amministrazione, non era applicabili le norme sulle distanze previste dal codice civile, ma dovevano osservarsi le leggi e i regolamenti riguardanti le costruzioni che si fanno a confine con le piazze e le vie pubbliche – ex art. 879-2 CC – e nella specie non ve n’erano che impedissero l’erezione del corpo aggiunto, fatta da Gilberto De Carolis a distanza dalla veduta inferiore a tre metri) non poteva condividersi perché “le disposizioni di cui all’art. 879-2 fanno esclusivo riferimento all’ipotesi in cui la via o la piazza pubblica si frapponga tra gli edifici, ma non anche nel caso in cui gli edifici confinanti si trovino allineati su uno stesso lato della strada o disposti comunque parallelamente ad essa”, e che non poteva negarsi il diritto dell’attrice al rispetto da parte del convenuto della veduta esercitata in appiombo dal terrazzo.

Ricorre il convenuto con unico motivo, col quale denuncia violazione degli artt. 872, 873, 879, 822 e 824 CC e 2 e 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E nonché difetto di motivazione:

a) la domanda non rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario;

b) anche ad ammettere che vi rientrasse, la Corte ne violò i limiti interni perché, emettendo una condanna del concessionario – ad abbassare la costruzione eretta su suolo pubblico – che si sovrapponeva alla volontà della pubblica amministrazione, aveva, indirettamente, revocato o modificato l’atto amministrativo stesso da cui la concessione derivava, tenuto conto che l’opera non era stata effettuata dal convenuto in difformità della concessione medesima e che questa non conteneva alcuna prescrizione circa la distanza minima da osservarsi rispetto alla sovrastante veduta dell’attrice.

De Carolis si è costituita e resiste.

Motivi della decisione

Il ricorso non può essere accolto.

Esaminando le censure in ordine di pregiudizialità, va anzitutto confermata la giurisdizione ordinaria perché, nei rapporti tra privati, sono configurabili soltanto situazioni di diritti soggettivi, mentre è l’alternatività di queste a situazioni soggettive di interessi legittimi che offre materia a problemi di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Nel merito l’infondatezza del ricorso emerge dalla stessa prospettazione che la ricorrente dà alla questione sollevata.

La circostanza che l’atto con cui la p.a. concedeva al privato di costruire sul suolo pubblico il manufatto non contenesse alcuna prescrizione circa la distanza minima da osservarsi rispetto alla sovrastante veduta, non è decisiva al fine di ritenere l’ordine dato dal giudice di merito, di arretramento fino al limite di rispetto di quella distanza, in aperto contrasto con la volontà della pubblica amministrazione, al quale fine è invece rilevante l’accertamento che fra l’ordine dato dal giudice e la volontà espressa nell’atto vi sia contrasta, senza di che mai si potrebbe parlare di violazione del divieto posto dall’art. 4 della cit. legge del 1865.

Non basta – dunque – che la costruzione su suolo pubblico, quando sia effettuata dal privato per concessione della p.a., e senza che a lui sia trasferito l’esercizio di pubblici poteri o che la costruzione sia finalizzata ad soddisfacimento di pubblici interessi (e ciò non ricorre nella specie, pacifico essendo che la costruzione risponde esclusivamente alla privata utilità di un condominio dell’edificio a cui essa aderisce) non sia difforme dall’atto amministrativo perché venga in discussione l’osservanza del divieto sancito dal cit. art. 4, occorrendo invece accertare, attraverso la interpretazione dell’atto, se la p.a. abbia realmente voluto che l’attività concessa al privato incida sulla posizione soggettiva di un altro privato. Solo in caso di esito positivo di tale indagine è ipotizzabile tra atto amministrativo (concessione) e atto giurisdizionale (sentenza) un raffronto per cui si possa dire o che questo comporta modifica o annullamento di quello – e quindi il contrasto vada eliminato annullando la pronuncia giurisdizionale per violazione del limite interno della giurisdizione ordinaria – o che ne abbia semplicemente dichiarato l’illegittimità – e quindi il contrasto debba sanarsi facendo capo all’istituto della disapplicazione dell’atto amministrativo al caso concreto, con pronuncia “incidenter tantum” – (questioni, entrambe sollevate col ricorso, che pertanto non è necessario esaminare ai fini della decisione).

Nella specie, come risulta dalle considerazioni anche in fatto della sentenza impugnata – che è nel diretto potere di questa Corte interpretare – messe in relazione con i punti oggetto di contestazione da parte di De Carolis, si tratta di costruzione eretta, sia pure non in difformità dello schema allegato alla domanda di concessione e senza che in tale atto fosse contenuta alcuna prescrizione circa la distanza minima da osservarsi nella posa del manufatto, ma – quel che più importa – anche senza che dall’atto medesimo fosse logicamente desumibile l’espressione della volontà della p.a. volta a consentire al concessionario la violazione di distanze, previste dal codice civile, alla cui osservanza i confinanti potessero avere diritto: ciò che avrebbe implicato necessariamente che la p.a. si fosse prospettato il problema se l’opera fosse per violare il diritto del terzo e che volesse ugualmente autorizzarla.

La preliminare rilevanza dell’interpretazione dell’atto amministrativo rispetto alle altre questioni sollevate dal ricorrente, è peraltro conforme al principio generale, più volte affermato dalla giurisprudenza, che le concessioni aventi ad oggetto occupazione di suolo pubblico non possono pregiudicare i diritti dei terzi (art. 8-4 del R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740 – approvazione del TU delle norme per la tutela delle strade e della circolazione – norma non abrogata dal nuovo codice della strada, secondo il disposto dell’art. 145-2 del D.P.R. n. 393-59 che l’ha approvato: C. II n. 54-58; S.U. n. 2265-70; C. St. V. n. 1206-64).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna Gilberto De Carolis al pagamento, in favore di Domitilla De Carolis, delle spese di questo giudizio, che liquida in complessive lire 566.760, di cui lire 550.000 per onorari.
Roma, 22 Maggio 1985
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 FEBBRAIO 1986