Svolgimento del processo

Il 223 novembre ’69 Goffredo Gaetani, Lovatelli, Giuliano Bracci e Luigi Marella, a definizione di pregressi rapporti, rilasciavano al colonnello Luigi Torrino cambiali per L. 16.500.000 con scadenza al 23 febbraio ’70.

In pari data solo il Bracci e il Marella rilasciavano al Torrini una dichiarazione scritta del seguente tenore: “….Le confermiamo che, considerata la svalutazione monetaria in corso, l’interesse sulle cambiali di L. sedici milioni cinquecentomila sarà, sino al loro saldo, pari al 3,5% anticipato per mese, con l’intesa che per eventuali ritardi sarà computato lo stesso interesse”.

Mancato il pagamento delle cambiali alla scadenza, il Torrini procedeva ad esecuzione forzata avanti al Tribunale di grosseto nei confronti del Lovatelli e in tale sede gli veniva attribuita nel luglio ’73 la somma di L. 18.791.000, di cui L. 16.500.000 per sorte capitale e L. 2.291.000 per interesse al saggio legale.

Nel frattempo, – e precisamente il 14 marzo 71 -, il Bracci e il Marella rilasciavano al Torrini due cambiali per complessive L. 12 milioni (con scadenza al 14 giugno 71) e un mese dopo (cioé il 14 aprile 71) la seguente dichiarazione:

“in relazione alle cinque cambiali a firma Giuliano Bracci, Goffredo Gaetani Lovatelli, Marella Luigi e Filippo Bracci rilasciate il 23 novembre 1969 e con scadenza 23 febbraio 70 per l’importo complessivo di L. 16.500.000 di cui all’esecuzione immobiliare n. 63-70 avanti al Tribunale di Grosseto, ed in relazione alle due cambiali a nostre firme rilasciateLe il 14.3.1971 e con scadenza il 14.6.71 per l’importo di L. 12.000.000, Le confermiamo che, considerata sia la svalutazione monetaria in corso, sia il danno procuratoLe a causa del ritardato pagamento della somma rappresentata da dette cambiali, l’interesse sull’importo dei suddetti titoli, sino al loro saldo, sarà pari al 4,5% anticipato mensile, a partire da oggi.

Resta inteso che, nel caso di ritardo nei versamenti di detti interessi anticipati mensili, sarà computato anche per loro lo stesso interesse del 4,5% mensile”.

In data 18 maggio ’77 l’avvocato Filippo Bracci, figlio di Giuliano Bracci scriveva al Torrini: “…Le confermo che, in riconoscimento del ripristino degli interessi dovutiLe da mio padre e da altri firmatari con la obbligazione del 14 aprile 1971 dal 4,5% al 3,5% di cui alla precedente obbligazione 23 novembre 1969, io ho rinunciato ad ogni mia pretesa per prestazioni professionali a favore Suo….” Su tale lettera, dopo la sottoscrizione dell’avv. Filippo Bracci, si legge “visto Luigi Torrini”. Ma già il 2 luglio ’74 il Torrini aveva citato avanti al Tribunale di Roma il Bracci e il Marella chiedendone la condanna in solido al pagamento degli interessi da essi ancora dovuti in forza dell’obbligazione 23 novembre ’69 (che, a titolo meramente indicativo quantificava in L. 11.929.000 oltre a L. 2.291.000 dal Torrini già percepiti in sede di esproprio nei confronti del Lovatelli.

Le questioni che nel corso del giudizio di 1° e di 2° grado venivano in discussione erano fondamentalmente le seguenti:

1) se il debito per sorte capitale si fosse completamente estinto anche a favore dei due convenuti Bracci e Marelli, nel luglio ’73 allorché il conte Lovatelli aveva pagato l’importo delle cambiali (sottoscritte da tutti e tre nel novembre 69) e gli interessi legali su tale somma ovvero se, nei confronti dei due convenuti, quanto pagato dal Lovatelli andasse imputato diversamente: e, cioé, prima in conto degli interessi convenzionali maturati fino al luglio ’73 dovuti soltanto da loro due e poi in conto capitale con conseguente residuo di un loro debito per sorte capitale e se, quindi, la corresponsione degli interessi, da essi dovuti sul capitale, di cui alle cambiali emesse nel 69, dovesse cessare nel luglio ’73 ovvero dovesse cessare nel luglio ’73 ovvero dovesse proseguire.

A questo proposito, la tesi del Torrino può essere meglio specificato come segue:

nei confronti del Lovatelli la somma realizzata dal Torrini in sede di esecuzione forzata nel luglio 73 copriva sorte capitale e interessi (da lui dovuti solo nella misura legale); invece, nei confronti del Bracci e del Marella tale somma andava imputata prima agli interessi convenzionali (solo da essi dovuti), che già n el giugno 71 ammontavano a L. 12.000.000 circa, come dimostravano le cambiali dai medesimi rilasciate

2) se gli interessi convenzionali, pattuiti rispettivamente negli atti scritti del 23 novembre 69 e 14 aprile 71, fossero da ritenersi interessi anatocistici o interessi semplici; quale fosse il capitale cui essi andavano riferiti e se la rinunzia fatta dal Torrini il 18 maggio ’77 alla elevazione di un punto dell’interesse (dal 3,5& al 4,5%) comportasse anche rinunzia al criterio dell’anatocismo per il calcolo degli interessi.

Al riguardo il Torrini sosteneva che:

sia con la scrittura del 23 nov. 69 sia con quella del 14 aprile ’71 si era inteso un calcolo degli interessi pienamente anatocistici: dovendo, infatti, detti interessi essere corrisposti – per pattuizione espressa – anticipatamente mese per mese al saggio del 3,5%, il mancato loro pagamento faceva sì che il credito originario per sorte si accrescesse di mese in mese degli interessi mensili non corrisposti.

Il rilascio di cambiali per L. 12.000.000 da parte del Bracci e del Marella in favore del Torrini il 14 marzo ’71 costituiva un implicito riconoscimento della debbenza di interessi anatocistici perché, proprio calcolandoli con tale criterio, il loro importo ragguagliava all’incirca quello delle cambiali.

I convenuti opponevano di aver già versato per interessi cospicue somme al Torrini e di ritenere, in considerazione dell’avvenuta restituzione dei titoli e della mancanza di una esatta contabilità dei crediti, d’aver soddisfatto l’intero loro debito comprensivo di capitali e interessi.

Effettuata una consulenza tecnica contabile, il Tribunale, con sentenza depositata il 5 giugno 79, respingeva la domanda osservando, in sostanza, che:

1) gli interessi convenzionali che il Torrini aveva diritto di percepire erano quelli maturati dalla data di emissione delle cambiali (23 nov. 69) alla loro scadenza (23 febbr. ’70) e da questa, per il periodo della mora, fino alla estinzione del debito per capitale avvenuta nel luglio 1973, ai sensi dell’art. 1224 1° comma c.c.;

2) sulle somma dovuta a titolo di capitale il Torrini, per il periodo successivo al conseguito soddisfacimento del credito cambiario (luglio ’73) non poteva pretendere ulteriori interessi;

3) gli interessi in questione dovevano computarsi come interessi semplici in quanto, ai sensi dell’art. 1283 c.c., l’anatocismo (cioé il calcolo di nuovi interessi su quelli già maturati) è consentito solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza: condizione quest’ultima che, nella specie, non sussisteva in quanto l’impegno sottoscritto dai convenuti il 14 aprile 71 e relativo ad un interesse da corrispondere anche sugli interessi in misura pari al 4,5% non solo afferiva a cambiali diverse successivamente emesse, ma era stato oggetto di espressa rinuncia da parte del Torrini;

4) alla luce degli esposti criteri, il Torrini aveva maturato interessi per complessive L. 25.410.000 (3,50% al mese su L. 16.500.000 per 44 mesi dal novembre ’69 al luglio 73);

5) i convenuti, invece, avevano versato complessive L. 25.109.000 “somma percepita dal Torrini in aggiunta agli importi liquidati in sede giudiziale”;

6) dal raffronto delle due cifre il residuo credito vantato dall’attore risultava integralmente soddisfatto, in quanto l’esigua differenze riscontrabile tra la misura degli interessi dovuti e gli acconti percepiti (L. 301.000) rientrava ampiamente nelle somme a suo tempo giudizialmente liquidate al Torrini per interessi legali.

Il Torrini appellava proponendo una serie di doglianze così riassumibili:

A) la pattuizione del 14 aprile 71 di interessi anatocistici ad un tasso maggiore (4,50%) rispetto a quello pattuito nel ’69 (3,50%) si riferiva sia agli interessi sull’importo delle cambiali per L. 12.000.000 emesse il 14 marzo ’71 sia sull’importo di quelle rilasciate il 23 novembre ’69: rispetto a queste ultime il patto anatocistico era valido trattandosi di interessi già maturati;

B) non era vero che il Torrini avesse rinunziato ad avvalersi del suddetto impegno del 14 aprile 71: la rinunzia si riferiva soltanto al maggiore tasso d’interesse, non ad altro (non cioé a percepire interessi sugli interessi);

C) quando nel marzo 71 il Bracci e il Marella rilasciarono al Torrini cambiali per Lire 12.000.000, riconobbero che gli interessi dovuti andavano calcolati col criterio anatocistico in quanto solo l’applicazione di tale criterio portava ad una cifra molto vicina a quella per la quale le suddette cambiali furono rilasciate;

D) il pagamento della somma di L. 18.791.000, percepita dal Torrini in sede di esecuzione immobiliare contro il Lovatelli nel luglio del 73 in estinzione di tutto il suo debito, non poteva conseguire lo stesso effetto nei confronti del Bracci e del Marella, perché nei loro confronti esso andava imputato prima agli interessi (che già nel 71 ammontavano a circa L. 12 milioni) e poi al capitale;

E) il consulente tecnico d’ufficio aveva determinato in L. 31.935.750 gli interessi semplici (sul capitale di L. 16.500.000 dovuti dai due convenuti fino alla data della loro citazione in giudizio (2 luglio 70); il Tribunale, invece, – escludendo dal calcolo degli interessi il periodo dal luglio 73 al 2 luglio 74 – aveva calcolato tali interessi semplici in L. 25.410.000;

F) il medesimo consulente tecnico aveva accertato in L. 25.109.000m gli acconti percepiti dal Torrini; sicché residuava a credito del Torrini una differenza sia pure esigua (L. 310.000); ma il Tribunale non aveva ritenuto dovuta neppure questa;

G) per l’esplicita pattuizione intercorsa tra le parti il 14 aprile ’71 al Torrini sarebbero comunque spettanti, per interessi residui composti fino al 2 luglio ’74, L. 54.399.838 (comprensivi dei 12 milioni portati dalle 2 cambiali con scadenza al 14 giugno 71 per le quali era pendente procedura immobiliare ai danni del solo Marella). A tale somma si sarebbe poi dovuta ovviamente aggiungere quella dovuta sino al soddisfo.

In conclusione chiedeva condannarsi i convenuti a corrispondere gli interessi composti del 3,5% mensile anticipato dal 23 nov. 69 al soddisfo su L. 16.500.000 “detratti gli acconti percepiti”.

Nella comparsa conclusionale del 26.3.83 il Torrini – oltre a ribadire tutti i motivi d’appello come sopra riassunti – lamentava anche l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale per aver ritenuto che i pagamenti eseguiti dal Bracci e dal Marella al Torrini (complessive L. 25.109.000) andassero aggiunti agli importi liquidati a suo favore in sede giudiziale (cioé a L. 18.791.000 realizzate nella procedura esecutiva svoltasi avanti al Tribunale di Grosseto), mentre, invece, tali importi andavano compresi negli anticipi già versati.

In altre parole, tenuto conto che:

– dei 18.791.000 suddetti, 16.500.000 riguardavano la sorte capitale e solo L. 2.291.000 gli interessi;

– dai 25.109.000 (totale anticipi versati al Torrini) andava sottratta la sorte capitale (Lire 16.500.000), sicché per interessi egli aveva riscosso solo L. 8.609.000 (25.109.000 – 16.500.000 = 8.609.000);

– il Tribunale stesso aveva riconosciuto dovuti al Torrini interessi per L. 25.410.000, al Torrini spettava ancora quanto meno la differenza tra tale somma e gli interessi già percepiti (25.410.000 – 8.609.000 = L. 16.801.000).

La Corte d’appello di Roma, disposto un supplemento di consulenza tecnica contabile, rigettava il gravame in base alle seguenti considerazioni:

1) il pagamento del debito effettuato dal Lovatelli aveva liberato anche in coobbligato in solido, Bracci e Marella, in ordine alla sorte capitale estinguendo il relativo l oro debito: e ciò perché, per la sorte capitale, la prestazione era unica, avendo il Bracci e il Marella stipulato una distinta convenzione solo per ciò che concerneva gli interessi;

L’art. 1194 c.c. non era invocabile, in quanto, nella specie, il debito si era estinto al momento della corresponsione della relativa somma da parte del Lovatelli.

2) pur ammettendo che con la scrittura privata del 23 nov. 69, prima e poi con quella del 14.4.71, si fosse convenuto l’anatocismo, una siffatta convenzione non poteva ritenersi valida ai sensi dell’art. 1283 c.c. essendo anteriore alla scadenza degli interessi.

E che anche la scrittura del 14 aprile 71 fosse destinata a dare un nuovo regolamento ai loro rapporti obbligatori e si riferisse, quindi, a interessi ancora non scaduti lo si ricavava dall’espressione in essa usata : “a partire da oggi”. Comunque, tale convenzione era stata caducata successivamente con la rinuncia del Torrini contenuta nella leggera 18 maggio 77 a chiedere l’interesse nella misura del 4,5%;

3) poiché le cambiali sono negozi astratti, il rilascio delle due cambiali per L. 12 milioni da parte del Bracci e del Marella in favore del Torrini il 14 marzo 71 non poteva essere sufficiente a far presumere che si fosse voluto accettare il calcolo anatocistico degli interessi;

4) solo in sede di comparsa conclusionale il Torrini aveva lamentato che il Tribunale non avesse defalcato dalle somme, riscosse in sede di esecuzione forzata presso il Tribunale di Grosseto, la parte che concerneva la sorte capitale, mentre nel 3° motivo d’appello, per quanto concerneva l’esattezza dei calcoli, si era limitato a lamentare che non gli fosse stata riconosciuta neppure la differenza di L. 310.000 tra quanto l’appellante aveva effettivamente riscosso (L. 25.109.000) e quanto, invece, gli competeva a titolo di interessi semplici al luglio 73 (L. 25.410.000).

Tale ampliamento del motivo d’appello andava dichiarato inammissibile, essendo pacifico che con esso si voleva ottenere la riforma di un autonomo capo della pronuncia della sentenza di primo grado, sfavorevole all’appellante

, non specificamente impugnato.

Doveva, pertanto, concludersi che l’asserito errore di fatto non sussisteva, avendo gli appellati versato complessivamente L. 26.209.225 (e cioé 25.109.000 come già ritenuto dal Tribunale + L. 1.100.000 come provato in appello).

Avverso la summenzionata sentenza della Corte d’Appello di Roma, il Torrini ha proposto ricorso per cassazione in base a tre motivi.

Resistono con controricorso il Bracci e il Marella.

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso il Torrini denunzia la violazione degli art.li 1362, 1366 e 1367, 1369, 1283 c.c. in relaz. all’art.360 n. 5 c.p.c., lamentando che la Corte d’Appello, nell’interpretare l’accordo scritto del 14 aprile 71, avrebbe commesso l’errore di ritenere che esso si riferisse esclusivamente al regolamento anatocistico degli interessi che dovevano ancora scadere (e in quanto tale non valido a norma di legge), mentre detto accordo anatocistico si riferiva chiaramente, invece, oltre che agli interessi non ancora scaduti, anche agli interessi già scaduti fin dal novembre 69 sul capitale di L. 16.500.000: pattuizione, quest’ultima, pienamente valida ed efficace.

La Corte, in proposito, avrebbe omesso di considerare che la scrittura del 14 aprile 71 seguiva lo stesso schema della leggera in data 18.5.77 con cui il figlio del Bracci aveva richiesto al Torrini una modifica del tasso di interesse (dal 4,5% al 3,5) ma teneva fermo il patto anatocistico.

Inoltre, la Corte avrebbe motivato in maniera illogica e insufficiente per togliere valore indiziario al rilascio nel ’71 da parte del Bracci e del Marella di cambiali per un importo pressoché pari al calcolo anatocistico degli interessi dovuti sul capitale di L. 16.500.000: se è vero, infatti, che le cambiali costituiscono un titolo astratto, nulla avrebbe impedito alla Corte di indagare sul rapporto sottostante.

Il motivo è infondato in base alle seguenti tre considerazioni che si integrano tra loro.

A) la specifica convenzione scritta posteriore alla scadenza degli interessi che gli artt. 1283 e 1284 c.c. richiedono perché essi producano a loro volta interessi (cioé il c.d. “anatocismo”) deve essere esplicita o, in ogni caso, a tal punto chiara da non lasciar adito a dubbi nel debitore: se è vero, infatti, che la legge consente oggi l’anatocismo, regolato per la prima volta nel codice civile del 1865 dopo la tradizionale millenaria avversione nutrita nei suoi confronti da giuristi e legislatori fin dall’epoca romana, è pur vero che gli sono state poste notevoli restrizioni. E tra queste certamente quella – rispondente alla stessa “ratio” dell’altra che esige la già avvenuta scadenza degli interessi -, che il debitore assuma tale gravoso obbligo in perfetta consapevolezza e, quindi, senza incertezze di sorta. Conseguentemente, eventuali margini di dubbio nell’interpretazione della volontà negoziale non altrimenti eliminabili, non possono che risolversi a favore del debitore.

B) L’interpretazione della volontà negoziale è compito esclusivo del giudice di merito, non sindacabile in cassazione quando il suo giudizio non appaia inficiato da errori di logica (oltreché di diritto) ovvero da omessa considerazione di circostanze decisive.

Pertanto, quando di una convenzione siano possibili più interpretazioni diverse, non basta sostenere che quella che torna più favorevole ai propri interessi sia più plausibile di quella preferita dal giudice del merito, ma occorre di quest’ultima riuscire a stigmatizzare precisi errori e omissioni che la rendano di per se stessa inaccettabile.

C) Ciò posto, non è dato scorgere in quale errore di logica o di diritto od omessa considerazione di circostanze decisive sia incorso il giudice di merito nel ritenere che l’impegno scritto del Bracci e del Marella in data 14 marzo 71, di pagare interessi sugli interessi si riferisse – come già il precedente del 23 novembre ’69 – solo al futuro e non anche al passato, dacché si stabiliva espressamente che esso valesse “a partire da oggi”. Sostenere che quest’ultima espressione andava riferita soltanto all’aumento di un punto del tasso di interesse sicché per tutto il resto la scrittura avrebbe dovuto essere interpretata come accettazione dell’anatocismo sugli interessi già scaduti costituisce soltanto dimostrazione della possibilità di una interpretazione alternativa e, sotto questo aspetto, – a tutto concedere – dell’opinabilità dell’interpretazione diversa preferita dal giudice di merito, ma non degli errori da lui commessi sul piano della logica o dell’omessa considerazione di fatti decisivi, come, invece, è indispensabile fare in un ricorso per cassazione.

Le stesse considerazioni valgono per quanto concerne i giudizi espressi dalla Corte d’Appello sia sull’interpretazione della scrittura del 18 maggio 77 (intesa come rinunzia non soltanto al punto in più degli interessi anatocistici, ma a tutti pretesi diritti scaturenti dalla precedente scrittura del 14 aprile 71), sia sul significato da attribuirsi al rilascio da parte del Bracci e del Marella di cambiali nella cifra tonda di L. 12.000.000 in data 14 marzo 71 in favore del Torrini (interpretabile, in teoria, tanto come riconoscimento degli interessi anatocistici già scaduti per l’approssimarsi di detta cifra a quella esattamente corrispondente al calcolo anatocistico, quanto come versamento in conto degli interessi dovuti ma ancora da calcolare con precisione e, quindi, senza preciso riferimento all’anatocismo).

Pertanto, essersi il giudice di merito pronunziato in favore dell’una piuttosto che dell’altra tesi non può formare oggetto di censure ammissibili in questa sede.

Col II motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 1194 e 1292 c.c., sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, nel momento in cui il Lovatelli pagò estinguendo il proprio debito, Bracci e Marella, invece, continuavano ad essere debitori degli interessi convenzionali (non dovuti dal Lovatelli), sicché l’imputazione del pagamento a loro favore avrebbe dovuto seguire la regola generale secondo cui il pagamento va prima riferito al soddisfo degli interessi e, solo dopo, alla restituzione del capitale.

La Corte di merito avrebbe omesso di considerare che non vi era identità di prestazione tra il Lovatelli e gli altri due (la solidarietà tra i tre riguardando solo la sorte capitale), cadendo, così, nell’errore di dare per scontato ciò che, invece, tale non era: che cioé, il “debito-capitale” erasi estinto nei confronti di tutti al momento del pagamento del Lovatelli.

Anche questo motivo di ricorso urta contro un accertamento di fatto da parte del giudice di merito che non risulta inficiato da errori di diritto o, comunque, di logica, né da omessa considerazione di fatti decisivi sicché risulta insindacabile in questa sede.

Invero, nell’impugnata sentenza si è in sostanza ritenuto che, – in conformità della espressione letterale contenuta nella scrittura del 23 novembre 69 (“…l’interesse sulle cambiali…. sarà, sino al loro saldo, pari a….”) -, siano state poste in essere due convenzioni collegate: una, principale, per il pagamento della sorte capitale con tre debitori e l’altra, accessoria, per il pagamento degli interessi con due soli debitori e, proprio per effetto della sua natura accessoria, subordinata al persistere dell’obbligazione principale. In tale situazione, correttamente è stato ritenuto che l’estinzione del debito per sorte capitale facesse venire automaticamente meno il diritto di pretendere interessi per il periodo successivo all’estinzione predetta.

Col terzo motivo del ricorso il Torrini denunzia la violazione degli artt. 342, 345, 277 c.p.c. per aver ritenuto la Corte d’Appello non proposta la doglianza relativa all’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che il Bracci e il Marella avessero versato L. 25.109.000 in aggiunta alla somma di L. 18.791.000 pagata dal Lovatelli con l’espropriazione, quando, invece, risultava “per tabulas” che la prima delle due suddette cifre comprendeva il calcolo della seconda. Il ricorrente sostiene che anche tale macroscopico errore doveva ritenersi contestato con i motivi di appello, sia perché in esso si affermava chiaramente – nel denunciare gli errori contabili nei quali era incorso il Tribunale -, che il Torrini aveva ricevuto complessivamente L. 25.109.000, sia perché la doglianza relativa al mancato riconoscimento in favore del Torrini della esigua differenza di L. 310.000 era stata dedotta al solo scopo di dimostrare l’assurdo cui era pervenuta la sentenza, sia perché l’appello concludeva con una richiesta di totale riforma della sentenza impugnata previa effettuazione del calcolo degli interessi “e detratti gli acconti percepiti”.

Anche quest’ultimo motivo di ricorso è infondato perché:

1) il principio “tantum devolutum quantum appellatum” preclude al giudice d’appello l’indagine sui punti della sentenza di primo grado non investiti dal gravame:

2) è ben vero che non raramente la giurisprudenza ha consentito che potessero ritenersi investiti dal gravame anche questioni non espressamente riproposte come motivi d’appello: ma sempreché fossero comprese nel “thema decidendum” per implicito in quanto necessariamente connesse con i profili censurati;

3) nella specie, invece, i motivi d’appello involgevano questioni ben precise che nulla avevano in comune con la pretesa “svista” commessa dal Tribunale nel conteggio di quanto versato dalle controparti al Torrini. E la riprova di ciò può rinvenirsi nella constatazione che, se anche quei motivi d’appello fossero stati accolti, si sarebbero dovuti rifar sì i conteggi: ma solo della somma globale che il Torrini avrebbe avuto il diritto di percepire dalle controparti per interessi dall’inizio del loro rapporto, non di quanto le controparti gli avevano già pagato in acconto, essendo stata quest’ultima cifra già determinata dal Tribunale e non essendo stata mossa in relazione ad essa alcuna doglianza nell’atto di appello.

Le spese di questa fase del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in L. 47.000 oltre a L. 1.500.000 (unmilione cinquecentomila) per onorari.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Civile, il 22 febbraio 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 DICEMBRE 1988