Svolgimento del processo

Con atto notificato il 28 marzo 1973, Anderlini Leonello conveniva innanzi al tribunale di Roma la Procura Generale dell’Istituto dello Spirito Santo, il Pontificio Seminario Francese (o Collegio Pontificio Francese), nonché la Società Immobiliare Consea, per sentirli condannare, previo riconoscimento del diritto, al pagamento della provvigione, con gli interessi legali, da essi rispettivamente dovutagli per la compravendita di un terreno sito in Roma, Via Aurelia Antica, conclusasi per il prezzo complessivo di L. 2.100.000.000 (duemiliardicentomilioni).

L’istante assumeva:

che, nell’estate del 1970, aveva ricevuto la segnalazione che i due predetti enti religiosi erano interessati alla vendita del terreno di loro proprietà sita sulla via Aurelia Antica; che, avendo constatato che il luogo era particolarmente idoneo alla costruzione di un albergo, aveva a sua volta segnalato l’affare alla società “Four Seasons Hotels LTD” di Toronto; che, dopo una iniziale presa di contatto con tale Stoppani Zenobio, il quale agiva per conto di tutti e due gli enti religiosi, erano state avviate concrete e positive trattative tra i rappresentanti dei detti enti e persone incarica dalla società canadese, al punto che si era pervenuti a trattare la parte legale del contratto ed era stata persino fissata la provvigione dovutagli, nella misura del 5% (di cui il 2% a carico dei venditori e il 3% a carico dell’acquirente);

che, successivamente la Four Seasons Hotels aveva allacciato trattative con la società Italiana Condotte di Acqua S.p.a. – anch’essa interessata – al fine di associarla nell’affare e, in esito a tali trattative, aveva costituito con quest’ultima, con atto notarile del 14 febbraio 1973, la società per azioni “Immobiliare Consea”, con capitale sociale sottoscritto per metà da ciascuna delle due società fondatrici;

che, la nuova società costituita, con rogiti notarili in data 14 marzo 1973, aveva, quindi, acquistato il terreno dai due enti religiosi per il prezzo, secondo la quota di spettanza, di L. 1.185.000.000 e L. 915.000.000 e così di complessive L. 2.100.000.000;

che i contraenti s’erano rifiutati di corrispondergli la provvigione;

che nessuna rilevanza aveva all’uopo il fatto che la Four Season non avesse acquistato direttamente, in quanto egli aveva comunque diritto al pagamento del correspettivo da parte della società che aveva proceduto all’acquisto.

Con atto separato, notificato il 9 marzo 1974, l’Anderlini citava dinanzi allo stesso Tribunale anche la Four Season Hotel LTD, per sentirla condannare ugualmente al pagamento della provvigione della suddetta mediazione.

Le due cause venivano, poi, riunite.

Gli enti religiosi contestavano la domanda e ne chiedevano il rigetto, assumendo che essi non avevano preso impegno di mediazione con l’Anderlini, sebbene con Stoppani Zenobio, al quale avevano pagato il corrispettivo, e che in ogni caso l’istante avrebbe dovuto rivolgersi, per le sue pretese, all’acquirente del terreno che nulla aveva pagato.

Nel corso del giudizio deducevano, altresì, che l’onere della mediazione era stato posto pattiziamente a carico esclusivo della Consea, come da dichiarazione sottoscritta del 14 marzo 1973.

La Consea eccepiva il difetto della propria legittimazione passiva, deducendo che l’Anderlini non aveva svolto alcuna attività che fosse stata in nesso di causalità con la compravendita, anche perché i rapporti con i venditori erano stati iniziati diverso tempo prima dalla società italiana per Condotte d’Acqua.

La Four Seasons Hotels eccepiva anch’essa il difetto di legittimazione passiva nei suoi confronti e nel merito contestava la domanda deducendo la infondatezza di essa e la prescrizione del diritto.

Con sentenza del 18.12.1981-1.2.1982, il Tribunale condannava la Immobiliare Consea la pagamento, in favore dell’Anderlini, della somma di L.10.500.000, con gli interessi legali dal 28.3.1973, a titolo di mediazione, e della ulteriore somma di L.7.500.000, con interessi dalla data di pubblicazione della decisione, a titolo di maggior danno; condannava la Procura Generale dell’Istituto dello Spirito Santo al pagamento, a favore dell’Anderlini, delle somme di L. 4.575.000 e L. 3.300.000, rispettivamente per la mediazione e il maggior danno, con gli interessi così come posti a carico della Consea; condannava il Pontificio Seminario Francese al pagamento, a favore dell’Anderlini, rispettivamente delle somme di L.5.925.000 e L.4.200.000, con interessi come per gli altri; condannava, inoltre, la Immobiliare Consea alla totale rifusione, a favore della Procura Generale dell’Istituto dello Spirito Santo e del Pontificio Seminario Francese, di tutte le somme da costoro dovute all’Anderlini in virtù delle prefatte statuizioni; rigettava la domanda dell’Anderlini nei confronti della Four Seasons Hotels LTD; condannava la Consea e gli enti religiosi al rimborso, a favore dell’Anderlini, delle spese del giudizio; condannava l’Anderlini al rimborso delle spese a favore della Four Seasons Hotels LTD; condannava, infine, la Consea al rimborso delle spese a favore dei due enti religiosi.

Proponevano separatamente appello i due enti religiosi e la Immobiliare Consea.

Gli enti religiosi si dolevano per il riconoscimento, nei loro confronti, della pretesa dell’Anderlini in ordine alla mediazione e, subordinatamente, del maggior danno riconosciuto.

La Immobiliare Consea deduceva che il tribunale aveva errato: nel ritenere svolta l’attività intermediatrice; nel riconoscere che l’obbligo della corresponsione del diritto di mediazione gravava su essa Consea; nel condannarla a rifondere agli enti religiosi le somme che questi avessero corrisposto all’Anderlini, in quanto i detti enti si erano limitati a chiedere che l’onere della mediazione fosse posto a carico di essa Consea; nel porre a suo carico anche la rivalsa del maggior danno, che in ogni caso avrebbe dovuto essere addebitato agli enti religiosi, a causa dell’inadempimento delle loro obbligazioni.

I due procedimenti venivano riuniti.

Anderlini resisteva ai due gravami e, a sua volta, chiedeva, ex art. 345 c.p.c., il risarcimento dell’ulteriore danno, per l’intervenuta svalutazione della moneta dopo la decisione del tribunale.

La Four Seasons Hotels LTD non si costituiva. La Corte di appello di Roma, con sentenza 10 luglio 1984, rigettava entrambi i gravami e, in accoglimento della domanda dell’Anderlini, condannava la Procura Generale dell’Istituto dello Spirito Santo, il Pontificio Seminario Francese (o Collegio Pontificio Francese) e la società Immobiliare Consea ad ulteriori somme per svalutazione monetaria intervenuta dopo la prima decisione.

La Società Immobiliare Consea S.p.A. ricorre per cassazione proponendo tre mezzi d’impugnazione.

Anderlini Leonello resiste con controricorso, e presenta memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Col primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1754, 1755, 1758, 2325 ss. c.c., e incongrua, erronea valutazione delle prove; motivazione contraddittoria ed illogica, in ordine alla affermata legittimazione passiva della Consea. La ricorrente deduce, in punto di fatto, che, anteriormente ai contatti tra gli istituti religiosi e la Four Seasons Hotels Ltd e autonomamente da tali contatti, la soc. it. per Condotte d’Acqua aveva aperto trattativa con i medesimi istituti per l’acquisto dei terreni, fino a sottoscrivere, nel 1973, un contratto preliminare con gli istituti, e, in punto di diritto, che, dovendosi al diritto di provvigione riconoscere origine contrattuale in dipendenza di un’attività prestata dal mediatore ed accettata dalle parti “messe in relazione” e, poiché il rapporto di mediazione è sorto e si è sviluppato tra l’Anderlini e La Four Seasons LTD, ne consegue che a quest’ultima, e non all’acquirente Consea (terzo contraente conclusivo) compete di corrispondere la provvigione, e che, comunque, la corte di merito avrebbe dovuto accertare in concreto se e quale incidenza causale dovesse riconoscersi all’intervento dell’Anderlini presso la Four Seasons Hotels nell’acquisto compiuto dalla Consea, onde la necessità di un riesame delle risultanze istruttorie teso ad acclarare la reale portata dell’ipotizzata incidenza causale dell’attività dell’Anderlini nella conclusione dell’affare.

Questa Corte osserva che i giudici di merito si sono, correttamente, uniformati a quell’orientamento giurisprudenziale e dottrinario secondo cui il rapporto di mediazione ha natura contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati conferiscano preventivamente l’incarico al mediatore, sia nel caso in cui accettino comunque l’attività da lui prestata, in quanto, in entrambi i casi, trae origine e fondamento dalla volontà dei soggetti, manifestata esplicitamente o implicitamente, mediante fatti concludenti: consegue che il rapporto di mediazione non può configurarsi – e non sorge quindi il diritto alla provvigione – soltanto qualora le parti, pur avendo concluso l’affare grazie all’attività del mediatore, non sino state messe in grado di conoscere l’opera di intermediazione svolta dal predetto (cfr. Cass. S. II 13.5.80 n.3154). In punto di fatto, i giudici di merito, di prima e di seconda istanza, attraverso un coordinato esame ed insindacabile apprezzamento delle risultanze istruttorie (prove per testimoni, dichiarazioni rese dalle parti e documentazione), hanno accertato che:

– gli enti religiosi interessati alla vendita avevano incaricato delle trattative tale Stoppani, il quale, in tale qualità di incaricato e rappresentante dei due enti, prese contatto, indipendentemente, sia con la soc. Condotte d’Acqua sia, tramite l’anderlini, con la Four Seasons; che, successivamente, le due società, venute a conoscenza di trovarsi in concorrenza, si sono accordate per raggiungere lo scopo comune tramite la costituzione – con partecipazione azionaria paritaria tra loro – della nuova soc.

Imm. CONSEA, che come tale si rese acquirente del terreno da parte degli enti religiosi.

Da tali accertate premesse di fatto i giudici di merito hanno argomentato, logicamente, che:

– non può porsi in dubbio l’attività di mediazione dell’Anderlini, allo scopo di fare entrare in contatto gli enti proprietari del terreno con i rappresentanti della “Four Seasons Hotels LTD;

– che “dell’attività intermediatrice svolta dall’Anderlini ne è venuta pienamente a conoscenza la Imm. Consea, dal momento che essa è stata costituita proprio per l’acquisto del terreno (v. dichiarazione Sabelli Aldo, legale rappresentante della Consea, e dichiarazione Malfatti Amedeo, direttore dei servizi immobiliari della società Condotte d’Acqua) e con l’apporto economico della metà dell’intero capitale sociale da parte della Four Seasons Hotels, che ha appunto sottoscritto la metà delle azioni (v. atto costitutivo … art. 4)”.

A sostegno della prima argomentazione la corte di merito ha richiamato un principio, elaborato e costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, cioé che “per il riconoscimento del diritto di mediazione non è necessario l’intervento del mediatore sino all’accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta per l’avvicinamento dei contraenti, con la conseguenza che anche la semplice attività consistente nel ritrovamento e nella indicazione dell’altro contraente e nella segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre che tale attività costituisca il risultato di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti (C. n.3600-77).

In applicazione di tale principio, avendo accertato in fatto, con insindacabile apprezzamento delle prove, che il contratto di compravendita del terreno doveva ritenersi concluso per effetto dell’intervento di mediazione dell’Anderlini, cioé in rapporto di causa ed effetto, correttamente i giudici di merito hanno riconosciuto il diritto alla provvigione in capo all’Anderlini, a norma dell’art. 1755 c.c..

Non appare pertinente la censura della ricorrente, sulla dedotta necessità di un riesame delle risultanze istruttorie teso ad acclarare la reale portata dell’ipotizzata incidenza causale della attività dell’Anderlini nella conclusione dell’affare, con riferimento alla norma di cui all’art. 1758 c.c., che si assume violato, in quanto questa disposizione di legge presuppone una pluralità di mediatori, che siano intervenuti per la conclusione dell’affare, il quale presupposto non risulta accertato in sentenza (lo Stoppani, infatti, secondo quel che i giudici di merito hanno accertato, intervenne quale rappresentante e incaricato degli enti religiosi, venditori, dai quali fu retribuito per l’opera prestata), risultando al contrario accertato in sentenza che l’intervento di mediazione imparziale dell’Anderlini fu determinante ai fini della conclusione dell’affare. D’altro canto, i giudici di merito non hanno trascurato, ai fini della liquidazione della provvigione, l’intervento svolto, “in maniera indipendente ed autonoma rispetto alla mediazione dell’Anderlini, dalla società Condotte d’Acqua, prima che fosse costituita la consea, con partecipazione azionaria paritaria tra la Four Seasons e la Condotte d’Acqua, ponendo a carico della Consea il 50% della quota di provvigione calcolata a carico della parte acquirente.

col secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ. e 345 c.p.c., deduce che la corte di merito, in accoglimento della domanda dell’Anderlini, ha liquidato, a titolo di ulteriore danno per svalutazione monetaria successiva alla decisione del primo giudice, la “ulteriore percentuale del 25%”; che tale percentuale è applicabile solo sulla somma di L. 10.500.000 per sorte e non anche su quella di L. 7.500.000 per maggior danno fino alla data di pubblicazione della prima sentenza; che, per la ipotesi in cui la decisione non fosse in tal senso interpretata, la stesa dovrebbe essere riformata in quanto, ai sensi delle citate disposizioni, “il giudice di appello può pronunziarsi sul danno “sofferto dopo la sentenza” di primo grado, riconoscendo, quindi, l’ulteriore svalutazione sulla sorte, ma non può invece liquidare la svalutazione sulla svalutazione con una sorta di inammissibile anatocismo sui generis”.

La Corte osserva che il risarcimento del danno, sia esso derivante da fatto illecito extracontrattuale che da responsabilità contrattuale, è volto a ripristinare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto dannoso o l’inadempimento: dal che consegue che il giudice d’appello, se richiesto dalla parte danneggiata, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., è tenuto ad adeguare la somma liquidata a detto titolo in primo grado, ritenuta congrua o non contestata in ordine al suo ammontare, alla sopravvenuta svalutazione monetaria, con una quantità di moneta che, la momento della pronuncia, abbia in concreto, secondo il motivato avviso del giudice di merito, tale efficacia ripristinatoria (tale è, infatti, la funzione della rivalutazione a titolo di risarcimento del maggior danno, a differenza degli interessi che hanno natura compensativa); consegue, inoltre, che anche il maggior danno liquidato dal primo giudice, ai sensi del 2° comma dell’art. 1224 c.c., è soggetto a rivalutazione.

Nel caso di specie, la ricorrente non censura la motivazione della sentenza circa le ragioni che hanno determinato la liquidazione del maggior danno da svalutazione nella misura del 25%, comprensiva degli interessi fino alla data della decisione impugnata, con riferimento a nozioni di notorietà e agli indici ISTAT, ma soltanto l’operazione di calcolo di tale percentuale sull’intera somma liquidata (10.500.000 sorte più 7.500.000 maggior danno) a titolo di danno rivalutato fino alla decisione di primo grado, anziché sull’originaria sorte capitale di L. 10.500.000.

Al riguardo, va però rilevato che il giudice di appello, nell’applicare la percentuale sull’intera somma anzidetta, ha inteso, in definitiva, con motivato insindacabile apprezzamento, rivalutare il danno alla data della nuova decisione di secondo grado, in modo da conservare la sua efficacia ripristinatoria: l’intervenuta svalutazione tra la prima e la secondo decisione non aveva, infatti, avuto incidenza su parte, ma sulla intera somma liquidata a titolo di danno rivalutato alla data della prima decisione.

Col terzo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Secondo la ricorrente, la corte di merito avrebbe respinto apoditticamente la domanda con la quale la soc. Consea contestava che il danno da svalutazione risalente al mancato tempestivo adempimento degli Istituti religiosi nei confronti del notaio Anderlini dovesse far carico ad essa Consea e non ai medesimi istituti: doglianza, questa, pure prospettata nel giudizio d’appello (sotto il profilo che il maggior danno da svalutazione è obbligazione risarcitoria di origine extracontrattuale, come tale non imputabile ad altri che al soggetto che quel comportamento illegittimo abbia tenuto).

Questa Corte osserva che la corte di merito ha, con corretta ed esauriente motivazione, spiegato le ragioni per cui ha posto a carico della società Consea il maggior danno derivante dall’intervenuta svalutazione della moneta, “trattandosi di evento dannoso verificatosi direttamente a causa del mancato adempimento della obbligazione di rivalsa della detta società nei confronti dei venditori, assunta in virtù della scrittura privata 14 marzo 1973, e, nei rapporti interni, della mancata tempestiva acquisizione dell’importo dovuto, a titolo di rimborso, dalla consea agli enti religiosi”.

Se è vero che, in tema di danni da inadempimento di obbligazioni pecuniarie, il credito per il risarcimento dei danni, anche quello derivante da svalutazione monetaria (art. 1224, 2° comma, c.c.), si trasforma in credito di valore, tale principio vale sia nel rapporto obbligatorio principale tra creditore e debitore, sia nel rapporto di garanzia o rivalsa tra il debitore e il terzo garante, quanto quest’ultimo non voglia rispettare l’obbligazione di garanzia assunta.

Per le esposte ragioni, essendo la motivazione della sentenza impugnata congrua ed immune da vizi denunciati, il ricorso deve essere respinto, siccome infondato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese e degli onorari, liquidati come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, seconda sezione civile, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in L.36.850, oltre agli onorari in L. 1.500.000.
Così deciso in Roma il 2 marzo 1988.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 DICEMBRE 1988