Svolgimento del processo

Con sentenza n. 193-80 del 9 febbraio 1980 il tribunale di Firenze, definendo la causa proposta da Alvino Cellini contro Mino e Benvenuto Cellini, condannò i convenuti a rimuovere la centrale termica di un edificio in condominio illegittimamente allogata su di un fondo del quale essi e l’attore erano comproprietari pro indiviso.

Impugnata dal Benvenuto ed, in via incidentale, anche dall’Alvino per l’adottata compensazione delle spese, la decisione è stata riformata in appello.

La Corte di Firenze – secondo quanto si desume dalla fornita motivazione anche con il sussidio delle convergenti deduzioni delle parti – ha ritenuto in fatto che i tre Cellini erano comproprietari pro indiviso anche di un adiacente fabbricato e che al Benvenuto era stato dagli altri concesso l’esclusivo diritto di sopraelevazione, nel corso della quale la centrale termica venne spostata sull’adiacente terreno con deliberazione presa dal Benvenuto e dal Mino senza il consenso dell’Alvino.

Il giudice di secondo grado ha poi risolto la questione con le seguenti testuali proposizioni:

“L’appello principale è meritevole di accoglimento, ma per motivi diversi da quelli prospettati”.

“La tesi dei primi giudici si fonda sulla separazione del complesso edilizio in comunione e quello in condominio ed è argomentata nel senso che la centrale termica, destinata al servizio esclusivo del condominio, è stata costruita su terreno della comunione, quindi la delibera dei partecipanti alla comunione stessa, adottata con la maggioranza dei due terzi, è illegittima, essendo richiesta l’umanità per la costituzione di diritti reali sul fondo comune (art. 1108-3 c.c.)”.

“Seguendo questa impostazione, l’appellante sostiene che all’epoca della delibera il condominio non si era costituito, perché la sopraelevazione non era stata ancora ultimata ad opera del superficiario; esisteva soltanto la comunione e pertanto, non sussistendo due soggetti giuridici distinti, non si poteva parlare di servitù, per il principio “nemini res sua servit”.

“Orbene, tale principio (art.lo 1027 c.c.) è certamente applicabile alla fattispecie, ma non già per il motivo che il condominio non fosse già sorto all’epoca della delibera a maggioranza di due terzi bensì e piuttosto perché la fattispecie concreta è caratterizzata dalla perfetta identità soggettiva tra partecipanti alla comunione e partecipanti al condominio. Il principio “nemini res sua servit” conserva piena efficacia, concorrendo l’eadem ratio, anche quando il comproprietario o uno di essi sia comproprietario dell’altro, e sussiste tra i due fondi la medesima situazione di comproprietà negli stessi titolari”.

“Ogni altra prospettazione èassorbita, ovviamente anche per quanto riguarda l’appello incidentale”.

Contro la sentenza in data 18 febbraio – 7 marzo 1983 l’Alvino ricorre per cassazione con tre motivi, ai quali resistono con separati controricorsi il Mino ed il Benvenuto, che a sua volta propone un motivo di ricorso incidentale.

Motivi della decisione

Disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi, si osserva: Con intrecciantisi censure il ricorrente principale sostanzialmente deduce che, essendo Benvenuto Cellini anche proprietario esclusivo della sopraelevata porzione di edificio, la sua “maggiore partecipazione” nel condominio doveva indurre la corte di merito a ritenere insussistente “la medesima situazione di comproprietà” e, invece, compatibile il principio “nemini re sua servit”, peraltro non applicabile al caso in esame poiché l’installazione della centrale termica sul separato terreno in comunione pro indiviso non implica “una costituzione di servitù”, ma concreta “una cessione del diritto di superficie” per la quale è richiesto lo scritto “ad substantiam”.

L’impugnazione, salvi gli argomenti da utilizzare nell’orbita dei rilievi mossi alla denunciata sentenza, è senz’altro fondata per una preliminare ed assorbente ragione.

La corte del merito ha commesso l’errore di credere che “la medesima situazione di comproprietà negli stessi titolari”, giusta l’espressione recepita dalla sentenza n. 1800-65 di questa Corte, possa configurarsi tra un immobile in comunione pro indiviso e un edificio in condominio, mentre è noto che in questa seconda fattispecie legale, regolata dagli art. 1117 sgg. c.c., si hanno due o più proprietà ad alcune parti dell’edificio.

Pertanto, alla luce di questa precisazione, devesi coerentemente ammettere che è possibile gravare un fondo indiviso a vantaggio di un edificio condominiale nonostante l’identità dei soggetti: poiché costoro sono proprietari esclusivi di determinate porzioni del fondo dominante, la servitù non urta contro la regola “nemini res sua servit” come chiaramente emerge se si considera che, nella specie, l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di sltri titolari nel bene comune servente.

Ciò stante, erano nel giusto i primi giudici che – come riferiscono quelli di secondo grado – avevano ritenuto necessario ai sensi del terzo comma dell’art. 1108 c.c. il consenso di tutti i partecipanti alla comunione.

Obietta il resistente Benvenuto Cellini, con il proposto ricorso incidentale, che l’intrapresa sopraelevazione dell’edificio non era stata portata a termine quando la centrale termica fu spostata sull’adiacente terreno, per cui la corte del merito non poteva dire che il condominio era sorto.

L’allegazione difensiva presuppone che i due fondi in quel momento erano ancora in comunione pro indiviso, nel qual caso l’ipotesi della servitù sarebbe davvero inconcepibile alla stregua del cennato principio “nemini res sua servit”. Tanto significa che la censura tende a neutralizzare la riconosciuta rilevanza del ricorso principale e ad ottenerne il rigetto sotto il diverso prospettato profilo.

Senonché l’interessato, così argomentando, mostra di non aver percepito che non sarebbe ravvisabile in ogni caso “la medesima situazione di comproprietà negli stessi titolari”. Invero, per convincersene, basta tener presente che il capoverso dell’art. 1029 c.c. ammette la servitù a favore di un edificio da costruire, differendone soltanto la produzione dell’effetto.

Pertanto, posto che la compiuta innovazione rientrerebbe pur sempre nella previsione del terzo comma dell’art. 1108 c.c., è evidente che il ricorso incidentale non è astrattamente idoneo ad infirmare il criterio da assumere nella soluzione del problema.

L’impugnata sentenza va dunque cassata con rinvio della causa ad altra sezione della corta d’appello di Firenze, che dovrà esaminare anche l’impregiudicata questione sollevata con l’appello incidentale da Alvino Cellini in ordine al regolamento delle spese di primo grado ed inoltre provvedere sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi; accogli per quanto di ragione il principale e rigetta l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della corte d’appello di Firenze anche per le spese di questo grado del giudizio.
Roma, 22 marzo 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 FEBBRAIO 1986