Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Napoli in funzione di giudice del lavoro Sabatino Luigi, dipendente dell’E.N.E.L. fino al 30.6.1974, assumendo che l’Ente datore di lavoro aveva omesso di computare, ai fini della liquidazione della indennità di anzianità, alcuni emolumenti (c.d. “trasferta forfettizzata” e indennità di guida o “auto moto”) che, per il loro carattere di continuità e predeterminatezza, costituivano parte integrante della retribuzione, chiese la condanna dell’E.N.E.L. al pagamento della somma di lire 1.277.856, a titolo di integrazione del trattamento di fine rapporto, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria del credito.

Sulla opposizione del convenuto l’adito Pretore, con sentenza in data 14.4.1980, accolse la domanda del ricorrente.

Tale decisione, impugnata dalla parte soccombente, venne parzialmente riformata, con sentenza 15.1. – 23.4.1982, dal Tribunale di Napoli, il quale condannò l’E.N.E.L. al pagamento di lire 1.100.919 “al lordo delle ritenute previdenziali e fiscali, oltre gli interessi e la svalutazione del credito, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto”; confermò nel resto la sentenza del Pretore e pose a carico dell’appellante tre quarti delle spese del grado, dichiarando compensato tra le parti il rimanente quarto.

A confutazione dei motivi di appello osservò il Tribunale che non era fondato l’assunto dell’E.N.E.L. di aver corrisposto al dipendente, in base alle disposizioni del contratto collettivo del settore, un trattamento di fine rapporto globalmente più favorevole di quello previsto dalla disciplina legale dell’istituto, avendogli erogato, in applicazione dell’art. 40 del C.C.N.L. 29.5.1973, un importo “aggiuntivo” di lire 1.834.100, pari a quattro mensilità, di retribuzione. Tale erogazione, prevista dal citato art. 40 “sotto la voce: preavviso – indennità sostitutiva”, nulla aveva a che vedere, ad avviso del Collegio giudicante, con l’indennità di fine rapporto, regolata dal successivo art. 41, sicché era errato affermare che si vertesse nella fattispecie “in un caso di trattamento aggiuntivo dell’indennità di anzianità vera e propria” ed era, conseguentemente, legittima la pretesa del lavoratore di vedere inclusa nel calcolo di tale indennità, a norma dell’art. 2121 Cod. Civ., un “compenso” che egli assumeva essergli stato corrisposto, “in costanza di rapporto, in modo fisso, continuo e obbligatorio”.

Quanto alla “trasferta forfettizzata” il giudice d’appello, premesso che la materia era “regolata dall’accordo 28.10.1966 – 10.4.1967, confermato dal successivo accordo del 23.12.1969”, ritenne, alla stregua della disciplina collettiva, che la suddetta indennità era sorta “inizialmente come rimborso per spese di vitto sostenute da quei dipendenti che, per ragioni di servizio, erano costretti a spostarsi dal Comune sede del nucleo nei Comuni vinciniori; ma tale carattere originario” si era andato “modificando nel tempo, tanto vero che i dipendenti che ne godevano potevano accedere alla mensa aziendale e la percepivano anche per i periodi di ferie, malattia, infortuni, congedi”, sicché essa aveva acquisito “ben presto carattere retributivo, quale compenso per il maggior disagio derivante dalla prestazione lavorativa resa fuori della sede aziendale, dovuto in virtù dell’art. 36 della Costituzione in considerazione della qualità del servizio prestato”. Di tale emolumento di doveva, pertanto, tener conto ai fini della determinazione dell’indennità di licenziamento.

Il Tribunale ritenne, infine, fondata la censura dell’E.N.E.L. in ordine alle modalità di liquidazione del credito del Sabatino e ne rettificò l’importo, riducendolo a lire 1.100.919, “al lordo delle ritenute previdenziali e fiscali”, e precisando altresì che il calcolo della svalutazione monetaria e degli interessi andava operato sul capitale “netto”.

Contro la suindicata sentenza l’E.N.E.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre mezzi di annullamento.

Il Sabatino ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunziando insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) nonché violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. con riferimento agli artt. 40 e 41 del C.C.N.L. 29.5.1973 (art. 360 n. e c.p.c.), l’E.N.E.L. deduce che il Tribunale di Napoli, pur avendo esplicitamente accolto il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il trattamento legale di fine rapporto o quello convenzionale (se più favorevole al lavoratore) vanno applicati nel loro complesso, ha poi escluso che nella fattispecie il Sabatino abbia percepito più di quanto gli sarebbe spettato secondo la disciplina legale, affermando chel’erogazione di quattro mensilità di retribuzione “da aggiungersi all’indennità di licenziamento”, a norma dell’art. 40 del C.C.N.L. 29.5.1973, sarebbe estranea all’istituto dell’indennità di fine rapporto, regolato dal successivo art. 41.

Così ragionando – osserva il ricorrente – il giudice d’appello ha risolto la questione prospettatagli in termini puramente assertivi, traendo argomento dalla sedes materiae e dalla “intitolazione” delle norme contrattuali in esame ed omettendo invece di ricercare le ragioni per le quali le parti contraenti hanno attribuito alla somma in questione il significato “nome” di “mensilità aggiuntive dell’indennità di licenziamento”, il cui ammontare va determinato, secondo la “dichiarazione a verbale” in calce all’art. 40, in base agli stessi parametri previsti per il computo di detta indennità, anche dopo l’entrata in vigore della legge 31.3.1977, n. 91, che ha differenziato le basi di calcolo dell’indennità di fine rapporto e di quella sostitutiva del preavviso.

Rileva ancora l’E.N.E.L. che il giudice d’appello non ha considerato che, alla stregua delle disposizioni degli artt. 39 e 40 del contratto collettivo, al Sabatino, dimessosi volontariamente dal servizio per usufruire dei benefici della legge n. 336 del 1970, non spettava il preavviso di licenziamento e, quindi, neppure l’indennità sostitutiva; di talché è evidente l’errore compiuto dal Tribunale nel ricondurre l’erogazione delle mensilità “aggiuntive” nell’ambito dell’istituto del preavviso e nell’escludere il corrispondente importo dal “raffronto tra trattamento pattizio e trattamento legale” dell’indennità di fine rapporto.

Con il secondo motivo, denunziandosi violazione dell’art. 2121 cod. civ. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ed insufficienza della motivazione art. 360 n. 5 c.p.c.), si censura l’impugnata sentenza per avere il Tribunale erroneamente attribuito natura retributiva all’emolumento denominato “trasferta forfettizzata”, includendone l’importo nella retribuzione utile ai fini della determinazione dell’indennità di fine rapporto.

Premessa la esposizione delle clausole dei vari accordi collettivi, mediante i quali venne istituita e regolata nel tempo la corresponsione di cui trattasi, e sottolineata la indennità di natura e di funzione fra la trasferta giornaliera e quella mensile forfettizzata (traenti entrambe origine dall’obbligo contrattuale dell’E.N.E.L., sancito dall’art. 15 del C.C.N.L. 29.5.1973 e dalle corrispondenti norme dei contratti precedenti e successivi, di rimborsare al personale le spese di vitto dallo stesso sostenute per ragioni di servizio, quando sia chiamato ad operare fuori della normale zona di lavoro), il ricorrente sostiene che – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale – dall’esame della disciplina collettiva dell’istituto si desume con tutta evidenza che le parti stipulanti non intesero affatto compensare, con la suddetta erogazione, l’asserito maggior disagio dei lavoratori tenuti a prestare “con ricorrenza” la loro opera in zona extra urbana, ma solo rimborsare agli stessi, in forma forfettizzata per ragioni di carattere amministrativo-contabile, le spese sostenute per il pasto meridiano, non consumato presso le mense aziendali dell’Ente. Né la determinazione forfettaria di tale rimborso, effettuata sulla base media di 39 prestazioni giornaliere nell’arco di un trimestre e sempre con riferimento all’importo della trasferta forfettizzata giornaliera, è di per sé idonea a far mutare la natura indennitaria (o risarcitoria) dell’emolumento.

L’errore di interpretazione degli accordi collettivi, in cui è incorso il giudice d’appello, risulta ulteriormente dimostrato, ad avviso dell’E.N.E.L., dalle disposizioni contrattuali da cui si evince che la “trasferta forfettizzata” viene corrisposta non già in misura fissa ma variabile (potendo essere ridotta in caso di assenze del lavoratore superiori a 39 giornate in un trimestre); non è continuativa ma occasionale (potendo cessare l’erogazione qualora il dipendente sia assegnato ad altra squadra); non è mai cumulabile né con il rimborso del buono mensa né con l’indennità di trasferimento giornaliera (che può essere percepita solo per giornate eccedenti la media delle 13 mensili).

Il ricorrente addebita inoltre al Tribunale di aver trascurato altri elementi di notevole rilevanza ai fini della esatta individuazione della natura dell’emolumento in esame, omettendo in particolare di considerare:

a-) che la fonte normativa dell’istituto (art. 15 del C.C.N.L.) ha ad oggetto unicamente i rimborsi delle spese per viaggio, vitto e pernottamento determinate da ragioni di servizio e rimette alla contrattazione locale la disciplina delle modalità dei limiti di tali rimborsi;

b-) che con l’accordo 23.12.1969 venne data facoltà ai lavoratori interessati di scegliere, a partire dal 1970, tra l’importo forfettario mensile stabilito dallo accordo stesso e l’importo giornaliero forfettario o a pié di liste;

c-) che le parti hanno espressamente ribadito, nell’accordo 8.2.1980, la loro comune volontà di considerare la trasferta forfettizzata mensile come rimborso della spesa per il vitto, in attuazione dell’obbligo nascente dall’art. 16 del contratto collettivo all’epoca vigente (identico allo art. 15 del contratto del 1973); d-) che l’inclusione delle giornate di ferie e di festività infrasettimanali fra quelle “utili” ai fini della corresponsione dell’emolumento, benché “non lavorate”, “costituisce una conseguenza proprio del sistema forfettario adottato per ragioni di semplificazione contabile”.

Deduce infine l’E.N.E.L. che il giudice d’appello, oltre ad aver omesso di spiegare le ragioni per le quali la trasferta forfettizzata avrebbe perduto l’originario carattere di rimborso spese per trasformarsi in compenso per il maggior disagio della prestazione lavorativa, ha posto a base di tale convincimento “circostanze di fatto specificamente smentite dalla documentazione in atti, dalla quale risulta: 1-) che – contrariamente a quanto affermato nella impugnata sentenza – la determinazione dei giorni utili per la corresponsione del rimborso forfettizzato va effettuata “al netto delle giornate di convivenza a mensa” (accordo 5.3.1975) e con esclusione delle assenze retribuite per malattia, infortunio, cure termali, congedo matrimoniale, e delle assenze non retribuite di qualsiasi natura (accordo 30.4.1974 e successivi); 2-) che l’importo mensile della trasferta forfettizzata viene – come già si è detto – decurtata, quando i giorni utili residui siano inferiori a 39 nell’arco di un trimestre, in ragione di 1-39 per ciascuna giornata di assenza.

Con il terzo mezzo, denunziando violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omesso esame di un punto decisivo della controversia, il ricorrente si duole che il Tribunale di Napoli non abbia preso in esame l’eccezione subordinatamente formulata all’udienza di discussione del processo d’appello, secondo cui alla trasferta forfettizzata dovrebbe quanto meno riconoscersi, “conformemente al suo regime tributario”, natura “mista” (risarcitoria per il 60% de retributiva per il residuo 40%).

Il secondo motivo di ricorso, che nell’ordine logico delle questioni prospettate va esaminato per primo, non è fondato.

Invero, le censure formulate dal ricorrente sono già state ripetutamente sottoposte al giudizio di questa Corte, la quale, dopo alcuni contrasti determinati più dalla diversità delle situazioni di fatto accertate in sede di merito nelle singole fattispecie che da difformità di vedute sul piano dei principi, ha confermato, con la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 1074 del 13.2.1984 e con varie pronunzie precedenti e successive di questa Sezione Lavoro (v. sent.

n. 2899 del 10.5.1982, n. 3800 del 28.6.1984, n. 5925 del 20.11.1984, n. 1919 del 9.3.1985), la decisione dei giudici di appello che avevano riconosciuto la natura esclusivamente retributiva della “trasferta forfettizzata mensile”, corrisposta dall’E.N.E.L. ad alcune categorie di dipendenti, e la computabilità del suddetto emolumento ai fini del calcolo della indennità di anzianità, ai sensi dell’art. 2121 Cod. Civ. (nel testo in vigore prima della modifiche introdotte con la legge n. 297 del 29.5.1982).

La Suprema Corte, dopo aver ribadito che spetta al giudice del merito accertare caso per caso se un compenso, corrisposto ai lavoratori durante lo svolgimento del rapporto, abbia in tutto o in parte natura retributiva, avuto riguardo alla sua intrinseca struttura ed alla sua funzione nonché alla sussistenza dei requisiti della corrispettività (rispetto alla prestazione lavorativa), obbligatorietà, continuità e determinatezza (o determinabilità), e stabilire, di conseguenza, se di esso debba tenersi conto per determinare il trattamento legale di fine rapporto, ha affermato altresì che tale apprezzamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto. E siccome le motivazioni delle sentenze precedentemente sottoposte al vaglio di legittimità appaiono fondate su argomentazioni sostanzialmente simili a quelle esposte dal Tribunale di Napoli a sostegno della decisione che forma oggetto del presente ricorso, questo Collegio non ritiene di doversi discostare dall’orientamento ormai consolidato della Corte Suprema, tanto più che la difesa dell’E.N.E.L. non ha dedotto, sulle questioni già risolte in senso favorevole ai suoi assunti, ragioni e diverse da quelle in precedenza disattese, o comunque idonee a dimostrare l’erroneità della soluzione fin qui accolta.

Ciò premesso, si osserva che nella fattispecie in esame il Tribunale di Napoli ha posto in rilievo che l’erogazione della trasferta forfettizzata era resa obbligatoria dagli accordi stipulati in sede compartimentale in data 28.10.66 – 10.4.67 e 23.12.69; che l’indennità veniva corrisposta con carattere di continuità ai soli dipendenti che, per ragioni di servizio, prestavano ricorrentemente il loro lavoro “fuori della sede aziendale”; che i lavoratori percepivano il suddetto compenso anche nei periodi di “ferie, malattia, infortuni, congedi” (dal che logicamente si evince che, ad avviso del giudice di merito, la corresponsione non era necessariamente collegata alla prestazione lavorativa in zona extra urbana né, entro certi limiti, alla stessa presenza in servizio dei lavoratori beneficiari, e tanto meno ad esborsi effettivamente sostenuti dai medesimi); che era consentito ai “trasfertisti” l’uso della mensa aziendale, ove questa fosse in funzione nelle diverse località in cui essi erano chiamati ad operare.

Dal complesso di tali elementi il Tribunale ha ricavato il convincimento che l’indennità in questione, benché sorta in origine “come rimborso per spese di vitto” per i lavoratori “costretti a spostarsi dal Comune sede di Nucleo nei Comuni viciniori”, aveva finito con l’acquistare, avuto riguardo alle caratteristiche innanzi cennate, la natura di “compenso per il maggior disagio derivante dalla prestazione lavorativa resa fuori della sede aziendale”; ed è giunto perciò alla conclusione che la trasferta forfettizzata mensile ha funzione di vera e propria retribuzione, interamente computabile nel calcolo dell’indennità, e non di rimborso delle spese di vitto, come sostenuto dall’E.N.E.L.

Tale ragionamento non presenta vizi logici che possano invalidare la soluzione accolta ed appare anzi improntato a razionalità e coerenza. Né si riscontrano errori di diritto nell’analisi interpretativa della disciplina collettiva compiuta dal Tribunale di Napoli, il quale ha applicato correttamente le regole legali di ermeneutica contrattuale ed ha spiegato, in forma sintetica ma sufficiente, le ragioni che lo hanno indotto a risolvere nel senso sopra precisato il problema della natura giuridica dell’emolumento di cui si discute.

E’ evidente, poi, che lo stesso Tribunale, una volta indicate le risultanze di causa ritenute essenziali ai fini del giudizio, non era tenuto a confutare specificamente le singole argomentazioni dedotte dal ricorrente a sostegno della soluzione opposta, queste dovendosi considerare implicitamente disattese per incompatibilità logica con la decisione adottata.

E’ opportuno, comunque, precisare che non ha fondamento l’assunto dell’E.N.E.L. secondo cui la “documentazione in atti” dimostrerebbe che – contrariamente a quanto affermato nella impugnata sentenza – le quote pro die della trasferta forfettizzata mensile non venivano corrisposti nelle giornate di “convivenza a mensa” né in quelle di assenze retribuite (per malattia, infortunio, cure termali, congedo matrimoniale) e non retribuite di qualsiasi (1) Con l’accordo in data 5.3.1975 (stipulato dopo la cessazione del rapporto di lavoro del Sabatino) si convenne poi che la determinazione delle giornate “utili” andava effettuata “al netto anche delle giornate di convivenza a mensa”. Ma, come si è precisato nella sentenza n. 1074 del 1984, tali limitazioni non contraddicono alla natura retributiva della trasferta forfettizzata mensile, “trattandosi di un elemento retributivo accessorio corrisposto in proporzione del numero dei giorni nei quali la prestazione assumeva una maggiore gravosità”. In ogni caso va ricordato come sia pacifico in punto di fatto che, anche dopo la stipulazione dei cennati accordi collettivi, continuarono ad essere considerati “utili” ai fini della corresponsione della trasferta anche le giornate di ferie, quelle di lavoro nell’ambito della zona e le festività infrasettimanali, di talché resta sostanzialmente valido, pur se privo di alcune puntualizzazioni, l’argomento adottato dal Tribunale a sostegno della soluzione accolta, argomento che fa soprattutto leva sulla mancanza di collocamento tra la corresponsione della trasferta mensile e la concreta effettuazione di una spesa rimborsabile da parte del lavoratore.

Quanto alle altre circostanze, dal cui omesso esame si duole la difesa dello E.N.E.L., deve escludersi che le medesime siano di tale rilevanza da poter condurre ad una decisione diversa da quella impugnata, come dimostrano le seguenti considerazioni, in parte desunte dalla menzionate sentenze in materia di questa Corte: 1-) La variabilità del compenso (derivante in via solo eventuale dall’accordo del 1974) non esclude la continuità della sua erogazione né la determinabilità del suo ammontare, dovendosi intendere tali elementi, agli effetti di cui all’art. 212 Cod. Civ., “in senso relativo, cioé come attribuzioni non occasionali” o eccezionali (v. cit. sent. delle SS.UU. n. 1074-84 nonché Cass. 8.8.1983 n. 5295 e 11.10.1983 n. 5892).

2-) La disposizione dell’art. 15 del C.C.N.L. 29.5.1973, secondo cui vanno sempre rimborsate, con le modalità e nei limiti stabiliti in sede compartimentale, le spese che il lavoratore “sia costretto ad incontrare per motivi di servizio”, non dimostra affatto “in modo logicamente irrefutabile” (con conseguente inammissibilità della relativa censura) “che la volontà delle parti, insita nella norma generale” sopra indicata, “si riferisca non già alle vere e proprie trasferte” (caratterizzate, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte dai requisiti della occasionalità e temporaneità), “ma al servizio prestato nelle c.d. zone extra urbane …..” con continuità o “ricorrenza” in forza di un obbligo contrattuale specifico (v. sent. n. 1074-84, e, sulla definizione della “trasferta” in senso tecnico, Cass. 23.7.84 n. 4331, 10.4.84 n. 2310, n. 1057-84, nonché la recentissima pronunzia a SS.UU. n. 3293-85, in cui si ribadisce che “non può verificarsi alcuna trasferta quando il lavoratore sia contrattualmente obbligato a rendere la propria prestazione in luoghi sempre diversi, con la conseguenza che il maggior compenso corrisposto per tali prestazioni “ha natura retributiva e non risarcitoria”).

3-) La circostanza che, con l’accordo 23.12.1969, sia stata concessa ai “trasfertisti” la facoltà di scelta fra la trasferta giornaliera e il rimborso delle spese a pié di lista non apporta alcun apprezzabile contributo a favore della tesi dell’E.N.E.L. A parte il rilievo che tale facoltà era limitata “per ogni singola azienda …. ai lavoratori appartenenti a unità lavorative omogenee”, essa venne di fatto soppressa con gli accordi successivi al 1972, nei quali, infatti, più non compare la relativa clausola.

4-) E’ irrilevante il nomen attribuito dalle parti all’indennità in questione; né “la circostanza che essa sia stata qualificata come rimborso spese … è preclusiva dell’indagine, che il giudice è tenuto a compiere, circa il suo effettivo contenuto e la sua concreta funzione”. E quando il risultato di tale indagine è – come nella specie – nel senso che la trasferta forfettizzata mensile costituisce un elemento integrativo dalla retribuzione per una prestazione lavorativa svolta in particolari condizioni di gravosità o disagio, “la volontà privata è assolutamente inidonea a … ridurne la effettiva portata”, inserendosi essa nel “sistema di tutela imperativa della legge” (v. sent. n. 1918 del 1978). Né sarebbe conferente rilevare in contrario che l’art. 41 del C.C.N.L. del 1973 non include detta indennità tra gli elementi retributivi ai fini del calcolo dell’indennità di anzianità, perché “non rientra tra i poteri delle parti stabilire la natura di una attribuzione, questa derivando, in base alla legge, della sua funzione obiettiva, “sicché”, stabilita la natura retributiva della trasferta, sussiste la illegittimità della sua esclusione dal calcolo predetto … per violazione della norma inderogabile di cui all’art. 2121 Cod. Civ. ” (v. sent. n. 1074-84).

5-) Appare privo di consistenza l’assunto accordo cui l’inclusione di giornate “non lavorate” (ferie, festività infrasettimanali) fra quelle “utili” ai fini della corresponsione della trasferta forfettizzata mensile sarebbe dovuta a “ragioni di semplificazioni contabile”. Lo stesso E.N.E.L. afferma, infatti, di essere dotato di un sofisticato sistema di controllo delle assenze e delle giornate di “convivenza a mensa” di ciascun lavoratore, mediante il quale si provvede al recupero di quote della trasferta mensile eventualmente corrisposte in più del dovuto.

Sarebbe stato, dunque, agevole tener conto, al fine predetto, anche delle giornate di ferie, di quelle lavorate nell’ambito della zona e delle festività infrasettimanali, senza apprezzabili complicazioni della contabilità aziendale.

In conclusione, il giudizio del Tribunale in ordine alla natura ed alla funzione retributiva del predetto emolumento, avuto riguardo alle accertate sue caratteristiche di obbligatorietà, continuità e determinabilità, si sottrae alle censure del ricorrente, le quali attengono sostanzialmente al merito della controversia e tendono a porre in discussione il risultato interpretativo al quale il giudice d’appello è correttamente pervenuto.

Deve essere, quindi, respinto il motivo di ricorso fin qui esaminato.

La doglianza di cui al terzo mezzo (omessa indagine circa l’eventuale “natura mista” della trasferta forfettizzata mensile) deve ritenersi assorbita, avuto riguardo alla decisione di rigetto del motivo precedente.

A parte la tardività della deduzione (formulata all’udienza di discussione del giudizio d’appello), rileva la Corte che dalla sentenza impugnata si desume implicitamente, ma con inequivocabile chiarezza, che il giudice del merito ha ritenuto di carattere esclusivamente remuneratorio la predetta trasferta, non avendo ravvisato in essa alcuna quota diretta a rimborsare il lavoratore della spesa per il pasto meridiano ed avendo invece attribuito all’indennità – come già si è detto – la (sola) funzione di compenso accessorio, nel quadro del precetto di cui all’art. 36 Cost., per il maggior disagio derivante dalla prestazione lavorativa eseguita fuori zona. Poiché tale apprezzamento di fatto, per le ragioni innanzi spiegate, non è sindacabile in sede di legittimità, resta confermato che l’intera trasferta forfettizzata mensile costituisce un elemento della retribuzione utile per la determinazione del trattamento legale di fine rapporto.

Né potrebbe essere di ostacolo a tale conclusione l’asserita parziale esclusione del suddetto compenso dalla base retributiva ai fini del calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, a norma dell’art. 12 della legge 30.4.1969 n. 153, operando tale esclusione nei limiti della materia e per gli effetti specifici disciplinati dalla legge speciale, e non già “su un piano generale, sì da incidere sull’oggetto delle obbligazioni principali del datore di lavoro, che rimangono regolate dagli artt. 2099 e 2121 Cod. Civ.” (c. Cass. 13.1.1983 n. 259).

E’ invece fondato, nei limiti che saranno appresso precisati, il primo motivo appresso precisati, il primo motivo di ricorso, con il quale l’E.N.E.L. si duole che, nel procedere al confronto fra trattamento contrattuale e trattamento legale di fine rapporto, il giudice del merito non abbia incluso nel primo l’importo di quattro mensilità di retribuzione corrisposto al lavoratore in aggiunta all’indennità di licenziamento, a norma dell’art. 40 del C.C.N.L. 29.5.1973.

Il Tribunale di Napoli mostra, invero, di aderire al costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nell’operare il suddetto confronto “agli effetti dell’art. 1419 Cod. Civ., si impone la considerazione unitaria, nell’unico istituto dell’indennità di anzianità, di tutte le clausole del regolamento che incidano sia sulla determinazione della base del calcolo sia sulla previsione delle varie maggiorazioni aggiuntive, dato che queste, pur collegate a specifiche previsioni di attribuzioni, concorrono ugualmente a comporre quell’unica liquidazione alla quale deve contrapporsi la valutazione, parimenti unitaria, derivante dall’integrale applicazione della norma di legge” (Cass. 19.5.1982 n. 3100; nello stesso senso v. Cass. 6.9.82 n. 4828). Ritiene tuttavia il giudice d’appello che l’importo delle mensilità “aggiuntive” non debba essere sommato, ai fini del confronto, all’indennità di anzianità determinata secondo contratto, in base all’unico rilievo che il predetto importo, essendo disciplinato dall’art. 40 del contratto collettivo sotto il titolo “preavviso – trattamento sostitutivo”, non avrebbe “nulla a che vedere con la indennità di fine rapporto regolata dal successivo art. 41”.

L’inadeguatezza e l’insufficienza di tale motivazione è di tutta evidenza sol che si consideri che il Tribunale, traendo argomento unicamente dalla sedes materiae, afferma che la somma in questione sarebbe stata corrisposta al lavoratore a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, senza darsi carico di verificare se, avuto riguardo alla causa della risoluzione del contratto di lavoro del Sabatino, il medesimo avesse, o non, diritto al preavviso (e, quindi, al trattamento sostitutivo) alla stregua della disciplina dettata a tal riguardo dal contratto collettivo.

Lo stesso Tribunale ha inoltre palesemente violate le regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. Cod. Civ.: a-) per avere interpretato la clausola di cui all’8° alinea (o 9° comma) dell’art. 40 del citato contratto collettivo (che prevede la erogazione delle quattro mensilità di retribuzione) senza tener conto del complesso delle pattuizioni contenute nello stesso art. 40 e senza operare il necessario collegamento di detta clausola con le connesse disposizioni degli artt. 39 e 41;

b-) per avere – come si è detto – dato rilevanza solo al fatto che l’attribuzione della somma in questione è prevista da una norma contrattuale (art. 40) diversa da quella che regola il “trattamento di fine lavoro” (art. 41), omettendo di rilevare, ai fini della corretta ricostruzione della volontà delle parti contraenti, che le erogazioni contemplate dallo art. 40 non sono tutte attinenti all’istituto del preavviso, ad onta della intitolazione della norma stesa, e trascurando altresì di considerare che l’espressione adoperata per definire l’attribuzione in parola (“somma da aggiungersi alla indennità di licenziamento”) contiene un evidente riferimento alla disposizione dell’art. 41, che detta i criteri per la determinazione dell’indennità di fine rapporto (denominata – appunto – “di licenziamento”, come nell’art. 40); c-) per aver omesso di prendere in esame e di coordinare con le altre norme contrattuali citate sub a) la “dichiarazione a verbale” in calce all’art. 40 (rimasta immutata anche dopo la differenziazione, introdotta dalla legge 31.3.1977 n. 91, della base di computo dell’indennità di anzianità e di quella sostitutiva del preavviso), secondo cui “il calcolo delle mensilità aggiuntive dell’indennità di licenziamento” va eseguito con gli stessi criteri “valevoli, a norma dell’art. 41 sul trattamento di fine lavoro, per il computo dell’indennità di licenziamento”.

Non è superfluo, poi,osservare che la decisione del Tribunale sul punto in discussione si discosta, senza alcuna giustificazione, da uno specifico precedente giurisprudenziale di questa Suprema Corte, con il quale è stata confermata la sentenza del giudice di appello che aveva attribuito alla erogazione delle quattro mensilità di retribuzione di cui all’art. 40 del citato contratto collettivo natura e funzione di “indennità” aggiuntiva di fine rapporto” (e non di indennità sostitutiva del preavviso), sia in base alla sua denominazione contrattuale, sia anche per la considerazione che essa “viene corrisposta al termine del rapporto per raggiunti limiti di età” nonché “nei casi in cui il preavviso non è dovuto” (v. Cass. 27.11.1982 n. 6455).

Con lo stesso primo motivo il ricorrente critica l’impugnata sentenza anche per avere il Tribunale erroneamente determinato in 43 anni e 1 mese (oltre a 7 anni ex art. 3 della legge n. 336 del 1970) l’anzianità di servizio del Sabatino, comprendendo in essa l’anzianità convenzionale di 6 anni per “benemerenze combattentistiche” prevista dall’art. 12 del contratto collettivo, della quale non avrebbe dovuto, invece, tener conto ai fini del calcolo dell’indennità di fine rapporto secondo il sistema legale.

Sotto tale profilo la censura è inammissibile. Dalla impugnata sentenza e dal ricorso dell’E.N.E.L. non risulta, infatti, che suddette questione sia mai stata prospettata e sottoposta al vaglio del contraddittorio nei precedenti gradi di giudizio; né la censura stessa può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.

In relazione all’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso la sentenza del Tribunale di Napoli va cassata con rinvio della causa per nuovo esame ad altro giudice di pari grado, che si designa nel Tribunale di Santa Maria Capua in Vetere, il quale, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati, stabilirà se la corresponsione di una somma pari a quattro mensilità di retribuzione, a norma dell’rt. 40 del C.C.N.L. 29.5.1973 per i dipendenti dell’E.N.E.L., in aggiunta all’indennità di licenziamento calcolata alla stregua delle disposizioni dell’art. 41 del citato contratto, costituisca parte integrante del trattamento convenzionale di fine rapporto spettante al Sabatino o abbia una causa diversa; procederà quindi al confronto fra il trattamento globalmente erogato al lavoratore in base alla disciplina contrattuale e quello, parimenti considerato nella sua globalità, derivante dall’applicazione degli artt. 2120 e 2121 Cod. Civ., includendo nella retribuzione utile per il calcolo del trattamento legale l’importo della trasferta forfettizzata mensile (nonché quello della indennità “auto-moto” in ordine alla quale non è stato proposto ricorso); accerterà, avuto riguardo all’esito del suddetto confronto, se la somma complessivamente corrisposta dall’E.N.E.L. al Sabatino per il titolo in questione risulti, oppur no, inferiore a quella che sarebbe spettata al lavoratore secondo il sistema previsto dalla legge e se sussista, quindi, la lamentata violazione dei principi inderogabili sanciti dall’art. 2121 Cod. Civ., riconoscendo al Sabatino il diritto al trattamento che risulterà complessivamente di maggiore importo; provvederà infine sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per nuovo esame al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Sezione Lavoro, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22 maggio 1985.
(1) natura. Gli accordi del 1967 e del 1969 richiamati dal Tribunale non prevedono, infatti, alcuna decurtazione dell’importo mensile della trasferta per assenze, per l’uso della mensa aziendale o per altre cause. Solo con l’accordo 30-4-74 venne stabilita la media delle presenze nell’arco di un trimestre (n. 39) che dava diritto alla percezione della trasferta mensile nella misura intera e vennero escluse dalla giornate “utili” quelle di assenze retribuite (per malattia, infortunio, cure termali, congedo matrimoniale) e non retribuite di qualsiasi genere.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 GENNAIO 1986