Svolgimento del processo
In data 1° febbraio la soc. R.A.S. nominava suoi agenti principali in Cesano Maderno Vincenzo e Luigi Pappalettera. Con scrittura privata dello stesso giorno Vincenzo Pappalettera, proprietario del fabbricato sito in Cesano Maderno, via Padulli n. 7, concedeva in locazione alla R.A.S. un appartamento costituito da sette vani al piano rialzato e tre vani al primo piano, da adibirsi ad uffici dell’agenzia.
Con apposita clausola (n. 6) gli agenti si obbligavano a pagare direttamente al locatore il canone di locazione e spese accessorie e si impegnavano a lasciare i locali alla R.A.S. in caso di cessazione del loro incarico.
Con ricorso in data 30 settembre 1982 la soc. R.A.S. chiedeva al pretore di Desio di essere reintegrata nella detenzione qualificata del predetto appartamento, in quanto i fratelli Pappalettera, dopo aver comunicato con lettera del 21 settembre 1982 di volere recedere dal contratto di agenzia, si erano rifiutati di lasciare i locali a disposizione della conduttrice ed anzi l’avevano invitata ad eseguire le operazioni di riconsegna.
I Pappalettera si costituirono nel giudizio possessorio, contestando la legittimazione attiva della R.A.S. (in quanto essi ritenevano di essere gli effettivi locatari dell’appartamento) ed eccependo, in subordine, la decadenza dell’azione possessoria, perché essi già nell’ottobre 1978 avevano comunicato alla R.A.S. la loro volontà di stipulare a nome proprio il contratto di locazione.
Il pretore di Desio emetteva ordinanza di reintegrazione, poi confermata con la sentenza del 12 giugno 1985.
I Pappalettera proponevano appello, che veniva rigettato dal Tribunale di Monza, il quale osservava:
a) effettiva conduttrice e, quindi, detentrice qualificata era la società R.A.S., mentre gli agenti Pappalettera erano i detentori materiali per ragioni del loro incarico, tanto che si erano obbligati a rilasciare i locali alla R.A.S. qualora fosse cessato il loro rapporto;
b) la lettera del 5 ottobre 1978 con cui Vincenzo Pappalettera, in qualità di proprietario dei locali, aveva dato la disdetta al contratto di locazione, non poteva costituire atto di spoglio, in quanto non proveniva dai due agenti, né aveva l’effetto di privare della qualità di detentrice qualificata la soc. R.A.S.;
c) lo spoglio si era, invece verificato allorché nel settembre 1982 i Pappalettera, dopo essersi dimessi dall’ufficio di agenti, avevano dichiarato di voler possedere in nome proprio i locali già adibiti ad ufficio ed avevano invitato la R.A.S. a sgomberare le carte e gli altri oggetti di sua pertinenza;
d) in tale comportamento doveva necessariamente ravvisarsi lo “animus spoliandi” in quanto i Pappalettera erano ben consapevoli di agire contro la volontà della detentrice qualificata, anche se in ipotesi avessero avuto la convinzione di esercitare un proprio diritto.
Ricorrono per cassazione Vincenzo e Luigi Pappalettera con quatto motivi di censura, ai quali resiste la R.A.S. con controricorso.
I Pappalettera hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
I ricorrenti deducono violazione dell’art. 1168 c.c. sotto diversi aspetti nei primi tre motivi, che riguardano rispettivamente la legittimazione attiva della R.A.S., la decadenza dall’azione possessoria e l’insussistenza dello “animus spoliandi”; nel quarto motivo lamentano omessa motivazione su punto decisivo, circa l’esistenza di un rapporto di sublocazione tra la R.A.S. e i Pappalettera.
Nel primo motivo i ricorrenti lamentano sostanzialmente che i giudici del merito non abbiano ritenuto simulato il contratto di locazione intercorso tra Vincenzo Pappalettera e la R.A.S., sostenendo che la reale situazione di fatto era in palese contrasto con l’intestazione puramente formale del contratto, alla quale è stata data ingiusta prevalenza.
La censura è infondata, poiché la sentenza impugnata ha messo chiaramente in rilievo i vari elementi di fatto dai quali risultava il carattere effettivo, e non fittizio, del contratto di locazione 1° febbraio 1970, stipulato dalla R.A.S. allo scopo di assicurarsi stabilmente la disponibilità dei locali per l’agenzia di Cesano Maderno anche nel caso ben prevedibile in cui fosse cessato il rapporto con i fratelli Pappalettera per recesso di una delle parti a norma dell’art. 1750 c.c.
In particolare il preminente interesse della R.A.S. era sancito nella clausola n. 6, che stabiliva l’impegno degli agenti di lasciare i locali in questione in caso di cessazione dell’incarico, nonché l’obbligo del locatore di comunicare alla conduttrice ogni richiesta di modifica del contratto di locazione.
Il giudice d’appello ha pure spiegato che non costituiva indizio di simulazione il diretto pagamento dei canoni da parte degli agenti al locatore Pappalettera, dato che tale onere era indubbiamente calcolato nel complesso della retribuzione spettante agli agenti e costituiva, perciò, una partita di giro nei rapporti di dare e d’avere relativi al contratto di agenzia.
Non sussiste, quindi, la dedotta violazione dell’art. 1168 c.c., né il difetto di motivazione su punto decisivo perché il Tribunale ha ritenuto, con argomentazioni chiare, corrette e convincenti, che la R.A.S. lungi dal voler porre in essere un negozio simulato ( per motivi che neppure i ricorrenti sono stati in grado di indicare) aveva inteso concludere un effettivo contratto di locazione, in modo da fornire una stabile sede alla propria agenzia, indipendentemente dal rapporto contingente con i fratelli Pappalettera.
Questi ultimi, pertanto, essendo collaboratori della compagnia assicuratrice, inseriti in modo continuativo nella organizzazione aziendale in posizione di parasubordinazione, facevano uso dei locali per svolgervi l’attività ad essi affidata dalla preponente ed erano detentori per ragioni di servizio, mentre la R.A.S., detentrice qualificata in virtù del contratto di locazione, era legittimata all’azione possessoria nei loro confronti.
Pure infondato è il secondo motivo, nel quale i ricorrenti sostengono che lo spoglio risalirebbe, se mai, all’ottobre 1978 o al gennaio 1979, per cui si sarebbe verificata la decadenza prevista dal primo comma dell’art. 1168 c.c.
Già il Tribunale lombardo ha ritenuto, con sufficiente e corretta motivazione, che la lettera 5 ottobre 1978, con cui Vincenzo Pappalettera dava disdetta alla locazione, non poteva costituire atto di spoglio, perché proveniva da un terzo e non dai detentori dell’immobile e non aveva, comunque, l’effetto di privare la R.A.S. della qualità di detentrice qualificata.
A tali esatte considerazioni è opportuno aggiungere che l’ art. 1141 c.c., nello stabilire che il detentore può acquistare il possesso mediante atto di opposizione da lui compiuto contro il possessore, si riferisce indubbiamente al detentore in senso proprio, o detentore qualificato, il quale, mutando il proprio “animus” e dichiarando di voler esercitare il potere di fatto “animo domini” da un certo momento riunisce in sè stesso gli elementi materiale e spirituale del possesso.
Tale disposizione non può, invece, applicarsi al detentore non qualificato (per ragioni di servizio o di ospitalità) al quale non basta invocare un titolo diverso dalla propria qualità di ospite o di dipendente, se continua in realtà a comportarsi come tale e non compie atto materiale di impossessamento.
Nella specie i fratelli Pappalettera, pur avendo dichiarato in più occasioni dall’ottobre 1978 in poi che intendevano considerarsi conduttori dell’appartamento, in effetti continuarono fino al 1982 ad espletare nei locali le loro funzioni di agenti della R.A.S. e non spogliarono quindi la conduttrice del godimento dei predetti locali destinati all’esercizio dell’azienda assicurativa.
Lo spoglio si verificò, invece, nel settembre 1982, allorché, dopo aver comunicato il recesso dal contratto di agenzia, si rifiutarono di rilasciare i locali stessi alla conduttrice; infatti solo allora i fratelli Pappalettera, avendo interrotto il rapporto di collaborazione con la R.A.S. e pretendendo di mantenere i locali nel proprio esclusivo interesse, avevano sottratto alla detentrice qualificata il godimento materiale dell’immobile (vedi Cass. 26 luglio 1967, n. 1979).
Palesemente infondati sono il terzo ed il quarto motivo di ricorso: l’accertamento dello “animus spoliandi” (che sussiste anche se l’autore ha l’opinione di agire secondo il proprio diritto) è questione di merito decisa nella specie con ampia e corretta motivazione, data la indubitabile consapevolezza dei Pappalettera di agire contro la volontà della conduttrice; infine l’esistenza di un qualsiasi rapporto di sublocazione è stata implicitamente esclusa in base all’esatto e motivato convincimento dei giudici del merito secondo cui l’uso dei locali era concesso dalla R.A.S. agli agenti in relazione all’incarico di collaborazione ad essi affidato, nell’ambito delle complessa organizzazione dell’impresa assicurativa.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte Suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in L. 110.450 oltre a L. 1.500.000 di onorari.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 1990.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 MARZO 1992.