Svolgimento del processo

Con citazione del 2 marzo 1976 i germani Ruggiero Rosario, Luigi, Angela e Anna fu Armando, nonché Di Resta Lotarina, rispettivamente comproprietari e usufruttuari di un quinto di fabbricato composto di due vani a piano terra, di due vani al primo piano, nonché di due sottotetti e piccolo giardino annesso, convenivano davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Fusco Maria Carmina ed il figlio Ruggiero Luigi fu Mario, acquirenti degli otto dodicesimi di proprietà degli immobili predetti per sentirli condannare alla demolizione di opere edilizie e modifiche eseguite senza autorizzazione nel fabbricato comune ed alla eliminazione di una servitù di affaccio abusivamente creata.

I convenuti resistevano alla avversa domanda assumendo di aver compiuto le opere nell’ambito del loro possesso “ab immemorabili” di quelle porzioni del bene.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio veniva per contro respinte le prove dedotte dai convenuti sulle esclusività e durata del possesso medesimo.

Con sentenza del 27.11.1979 il Tribunale adito condannava i convenuti all’abbattimento di un vano costituito nell’androne, di altro vano (o “granile”) costituito al secondo piano, e d’un box collocato nel giardino, oltre alla eliminazione di determinati tubi di scarico ed alla riduzione a luce di una finestra.

Su gravame dei convenuti la Corte d’appello di Napoli, con pronunzia del 4.5.1982, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava la statuizione afferente la finestra e l’eliminazione del menzionato tubo di scarico; disponeva la limitata riduzione del “granile” sottotetto alle pristine dimensioni; confermava la condanna all’abbattimento del vano costruito nell’androne e del box; condannando infine gli appellati al pagamento dei due terzi delle spese del doppio grado di giudizio.

Osservava la Corte che la indiscussa situazione in cui versava l’immobile era quella di una comunione incidentale di un bene suscettibile di separate utilizzazioni, per taluni parti, e precisava che solo per il concreto esercizio dei concorrenti diritti le parti si erano accordate da tempo nel senso che ciascuna aveva rinunziato al godimento dei locali o delle parti date in uso diretto agli altri comunisti, peraltro rimanendo titolare della proprietà indivisa di tutto il fabbricato e delle sue pertinenze.

Avuto riguardo al fatto che gli appellanti sembravano contestare, con l’affermazione di una pacifica ed implicita divisione di fatto attuata da tempo dai danti causa delle parti stesse, l’esistenza di uno stato di comunione, osservava la Corte che la prova testimoniale dedotta in prime cure dagli appellanti medesimi era frustranea in quanto tendente a dimostrare semplicemente il fatto pacifico della divisione del godimento dei locali e di parte del fabbricato, senza tuttavia mai accampare la pur deducibile esistenza di una avvenuta usucapione.

La sentenza “de qua” confermava infine l’applicabilità delle norme sulla comunione e ribadiva la necessità della riduzione in pristino rispetto alle opere abusive sotto il profilo della applicabilità dell’art. 1102 C.C. che disciplina le modifiche attuate da uno dei partecipanti nel proprio esclusivo interesse.

Avverso tale sentenza Fusco Maria e Ruggiero Luigi fu Mario propongono ricorso per cassazione con quattro motivi illustrati da successiva memoria.

Resistono con controricorso gli intimati.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di gravame si censura l’impugnata sentenza per difetto di motivazione del giudizio con il quale è stata affermata – sebbene non provata – e ritenuta illegittima la sopraelevazione del vano al secondo piano, opera costituita invece da un ordinario intervento manutentorio.

Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine al rigetto delle difese secondo cui le opere eseguite, in particolare nell’androne, riguardavano parti del bene comune che erano nel possesso esclusivo di essa ricorrente, e rappresentavano pertanto legittimi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, consentiti a sensi degli artt. 1110, 714 e 1116 c.c. Col terzo motivo si deduce parimenti difetto di motivazione, sul rilievo che anche la costruzione del Box rientrerebbe nelle facoltà inerente il possesso del giardino.

Col quarto motivo si denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c. sotto il profilo che le spese non potevano essere poste neppure parzialmente a carico degli appellanti.

I primi tre mezzi di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, e premesso, quanto al primo di essi, che la portata e natura di opere di sopraelevazione e non di mera sistemazione dei lavori relativi al vano definito “granile” è stata esattamente individuata e definita nella sentenza impugnata sulla base di ineccepibili riscontri oggettivi e di considerazioni in fatto esenti da riconoscibili e segnalate carenze, vizi logici o da contraddizioni, onde tale conclusione appare sottratta al giudizio, di mera legittimità, di questa Corte, si osserva, in una visione d’insieme del problema, che la Corte di Napoli ha correttamente ritenuto applicabile al caso di specie il disposto dell’art. 1102 c.c. il quale disciplina le modifiche attuate da uno dei partecipanti nel proprio esclusivo interesse, in danno degli altri comunisti.

Al riguardo la sentenza impugnata ha invero evidenziato, con piena aderenza alla realtà concreta e con argomentazioni sottratte ad ogni censura in questa sede, che a prescindere dalla amichevole attribuzione ripartita del possesso di singole porzioni dei beni comuni alle varie parti in causa, ciascuna di queste parti è rimasta nulla di meno contitolare dello intero fabbricato e delle relative pertinenze, onde deve desumersi in via generale che se l’utilizzazione della cosa comune ad opera di un condomino è bensì consentita anche in modo particolare, detta attività incontra un limite insuperabile nel divieto di impedire la pari utilizzazione degli altri partecipanti, e correlativamente di non alterare il rapporto di equilibrio fra le concorrenti analoghe facoltà spettanti a ciascuno dei comproprietari.

Discende da tale principio che anche quando intervenga un accordo per delimitare diverse aree di possesso in capo ai vari partecipanti, ciò non significa ancora che possa ignorarsi il fondamentale principio per cui non è lecita la strutturale modifica in danno e senza il formale consenso degli altri partecipanti alla cosa comune con mutamento della sua naturale originaria funzione, essendo pacifico che gli interventi consentiti sono solo quelli necessari al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla possibilità dell’attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente praticati, non senza osservare che, come correttamente rilevato dalla Corte di Napoli, è del tutto irrilevante nei rapporti privatistici discussi in causa, l’intervenuta sanatoria in via amministrativa delle opere abusive di cui si discute.

Ora, nella specie la sentenza impugnata ha chiaramente sottolineato che la parziale chiusura dell’androne comune, ovvero la sopraelevazione del “granile” e la costruzione di un box nel cortile, hanno implicato alterazioni profonde della destinazione delle relative porzioni dello stabile oggetto di tali interventi, ed hanno comportato modifiche delle loro primitive destinazioni, non consentite perché idonee a privare gli altri partecipanti della pari possibilità di utilizzazione di quei settori del bene in comproprietà così com’erano “ab origine”, ond’é che sotto questo riflesso la sentenza impugnata, la quale ha esaurientemente motivato su tale punto con ineccepibili argomentazioni in fatto ed in diritto, si sottrae ad ogni censura in questa sede.

Per quanto attiene in particolare la doglianza contenuta nel secondo motivo di gravame circa l’usucapione asseritamente intervenuta “medio tempore”, è sufficiente rilevare che non è stata articolata e dedotta dagli stessi una prova tendente a dimostrare in modo inequivoco la concreta costituzione e la adeguata permanenza di uno stato di individualità e di esclusività del possesso, rilevante agli specifici fini della prescrizione acquisitiva delle anzidette porzioni della cosa comune, talché è stata correttamente dichiarata inammissibile, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, la prova volta a chiarire le circostanze, sostanzialmente pacifiche, della mera concordata divisione del godimento fra i partecipanti di alcune porzioni del fabbricato, mentre non risulta per contro mai avanzato, nei termini di assoluta chiarezza che l’eccezione esigeva, il problema dell’asserita autonomia di possesso, fonte di usucapione sviluppato solamente nel ricorso in esame.

Per quanto attiene infine il quarto motivo sul regolamento delle spese processuali, il sindacato di questa Corte è limitato alla violazione del principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, sicché esula da tale sindacato e rientra invece nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale, con la conseguenza che la scelta della una o dell’altra soluzione è rimessa al prudente apprezzamento di detto giudice e sfugge pertanto al controllo di legittimità quando, come è nella specie, l’onere della motivazione sia scevro da vizi.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in L. 20.700 nonché al pagamento degli onorari di L. 400.000.
Così deciso nella camera di Consiglio della II Sezione della Corte di Cassazione, il 16 aprile 1985. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 23 GENNAIO 1986